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www.ildialogo.org VIII giornata del dialogo-cristiano-islamico, un contributo di P.K. Dal Monte,

VIII giornata del dialogo-cristiano-islamico, un contributo di P.K. Dal Monte

ott 19th, 2009. Dal sito www.islam-online.it

Tra proposte indecenti di chi ci dovrebbe guidare e sbraiti alla Santanché e Sbai con false premure per la libertà delle donne musulmane, stigmatizzazione ad oltranza di disgrazie legate a passionalità malate (ma se sono italiane non se ne parla proprio, vedi il caso di Osimo[1]) bassi linguaggi che traducono bassi sentimenti e consacrano un popolo di basse aspirazioni, ricorre tra poco l’ottava giornata del dialogo cristiano-islamico, filo d’erba fresca in un campo inaridito.

Lo slogan che informa l’incontro di quest’anno è “La gioia del raccontarsi la vita”, che sottolinea prima di tutto come l’atteggiamento del cuore, dei sentimenti sia necessario alla volontà di dialogare, ogni dialogo che prescinda da un atteggiamento positivo è destinato al fallimento dall’inizio, come ben diceva Hans Kung: “Del resto, senza empatia, senza comunanza di sentimenti, non si dovrebbe condurre alcun dialogo interreligioso…” (H. Kung, Islam, passato presente e futuro, Rizzoli)

Sempre nel titolo, centrale appare la categoria del racconto, non della discussione, questa semmai avverrà in seguito. Il raccontare la propria fede, non è una innovazione di noi contemporanei, sia la Bibbia che il Corano conoscono e fanno ampio uso del genere letterario del racconto, che si può inquadrare nell’ambito del genere storico in senso ampio, ricordando che nei testi sacri il fare memoria del passato non è attuato in vista di una conoscenza astratta delle proprie origini o della grandezza e vicende del proprio popolo, bensì è in relazione al messaggio di salvezza per l’uomo. Questo scopo è dichiarato esplicitamente nel Corano, le storie passate, specie dei Profeti, pace su di loro, vengono rammentate per dare degli esempi dell’agire di Dio e dell’uomo e le conseguenze che ne derivano, e quindi, riflettendo, cambiare il nostro presente:

“Ecco a chi è simile il popolo che taccia di menzogna i Nostri segni. Racconta loro le storie, affinché riflettano! (VII,176)

“Nelle loro storie c’è una lezione per coloro che hanno intelletto. Questo [Corano] non è certo un discorso inventato, ma è la conferma di ciò che lo precede, una spiegazione dettagliata di ogni cosa, una guida e una misericordia per coloro che credono. (XII,111)

Così ti raccontiamo le storie del passato. È un Monito da parte Nostra che ti abbiamo dato. Chiunque se ne allontana, nel Giorno della Resurrezione porterà un fardello, resteranno perpetuamente in quello stato. Che atroce fardello, nel Giorno della Resurrezione!” (XX,99-101)

Nella storia umana si possono rilevare delle dinamiche costanti, essa non è un’accozzaglia di fatti e azioni, culture, irriducibili a qualsiasi categoria comune che non sia il caso o la necessità, ma rivela l’agire di Dio, la Sua sunna: “La Rivelazione scritta è attraversata da storie di comunità umane diverse per cultura, costumi, abitazioni, sistemi sociali o politici e quindi anche religioni. Attraverso la Storia degli uomini, la storia delle profezie evidenzia la doppia realtà della diversità e della regolarità… Dietro l’apparente diversità o addirittura il disordine delle questioni umane, esistono quindi delle costanti e dei principi immutabili che permettono di stabilire preventivamente una griglia di lettura del mondo, un metodo e delle categorie esplicative. Al di là della nostra percezione, la Storia umana risponde a una logica interna, come aveva sostenuto Ibn Khaldûn nella sua opera al-Muqaddima (Introduzione, Prolegomeni), quando elencava i principi delle fasi e del ciclo delle civiltà. Il Corano ripete spesso questa verità della coerenza e del ritorno dello stesso dietro le apparenze di una Storia senza logica né armonia e che sarebbe apparentemente impossibile ridurre a un approccio scientifico… L’intelligenza umana deve poi leggere la realtà del mondo, coglierne il significato e desumerne la grammatica: “Già avete avuto esempi in antico [leggi, regole costanti] (sunan, sing. sunna); vagate sulla terra e guardate…” Nell’Universo esiste dunque l’immutabile al di là del mutevole (le leggi naturali e i principi fisici, al-sunan al-kawniyya) e l’immutabile nel cuore del mutevole (le costanti della Storia, sunan Allah), proprio come esistono regole immutabili e transtoriche nel Testo rivelato (il credo e la pratica) e ragioni d’essere (‘ilal) costanti (da desumere) dietro la libertà interpretativa offerta dai versetti non definitivi (zannî)”[2]

Esamineremo la Sura XXVIII del Corano che è intitolata proprio Al-Qasas (Il Racconto), per cogliere queste costanti di Dio nei confronti dell’agire umano, attraverso il racconto di una vita, quella del profeta Mosè, pace su di lui. Il tema del raccontare compare dai primi versetti :

Ti racconteremo secondo verità la storia di Mosè e di Faraone, per un popolo di credenti”

vi è in effetti raccontata diffusamente la vita di Mosè, pace su di lui, preceduta da un termine che la qualifica come veritiera, “Secondo verità” recita il versetto citato, ad indicare come siano possibili diverse interpretazioni dei fatti di una vita e cogliere il senso della propria storia individuale o collettiva non sia sempre facile…

Come per Mosè, in fuga nel deserto di Madian, per un certo verso colpevole della sua situazione avendo ucciso un uomo per difendere uno del suo popolo: “Avvenne che, entrando in città in un momento di disattenzione dei suoi abitanti, trovò due uomini che si battevano, uno era dei suoi e l’altro uno degli avversari. Quello che era dei suoi gli chiese aiuto contro l’altro dell’avversa fazione: Mosè lo colpì con un pugno e lo uccise. Disse [Mosè]: “Questa è certamente opera di Satana! È davvero un nemico, uno che svia gli uomini”. Disse: “Signore, ho fatto torto a me stesso, perdonami!”. Gli perdonò, Egli è il Perdonatore, il Misericordioso.” (v.15)

  • stremato dalla fatica del suo peregrinare e dall’incertezza del senso di ciò che viveva tanto da dire affranto: “ “Davvero, Signore, ho molto bisogno di qualsiasi bene che farai scendere su di me”. (v.24)

riceve luce da un uomo che non conosceva, il senso degli avvenimenti successi gli è rivelato da uno straniero: “Una delle due donne gli si avvicinò timidamente. Disse: “Mio padre ti invita, per ricompensarti di aver abbeverato per noi”. Quando giunse al suo cospetto e gli raccontò la sua storia, disse [il vecchio]: “Non temere, sei sfuggito a gente ingiusta”. (versetto 25 che dà il nome alla sura), e questa luce gli giunge dopo che nonostante il suo dolore, i suoi problemi personali, ebbe compiuto un gesto che mostrava la sua dirittura morale e la sua generosità verso un debole, una donna che era sottoposta alla prepotenza dei più forti: “Quando giunse all’acqua di Madian, vi trovò una moltitudine di uomini che abbeverava e scorse due donne che si tenevano in disparte trattenendo [i loro animali]. Disse: “Cosa vi succede?”. Risposero: “Non abbevereremo finché i pastori non saranno partiti; nostro padre è molto vecchio”. Abbeverò per loro…” (vv.23-24)

Da questo gesto, si dipana la soluzione dei suoi interrogativi, e il racconto mette in evidenza come sia una donna ad avere fiducia in lui per prima e a cogliere in quel suo gesto di aiuto, la verità del suo essere, con quell’intuito che è proprio dell’essere femminile: “Una di quelle disse: “O padre mio, assumilo: è davvero il migliore che tu possa assoldare: è forte e fidato”. (V.26)

La storia di Mosè, pace su di lui, dall’inizio è molto intricata, piena di luci ed ombre, quella che sembra una gioia si rivelerà poi fonte di grande tristezza, viceversa il dolore iniziale si tramuterà in letizia. Le ayat giocano infatti con i termini di afflizione e gioia, la madre di Mosè patisce o svuotamento del distacco dalla propria creatura poi lo riavrà e ne sarà consolata, alla moglie del Faraone invece è data una letizia iniziale che cela la punizione che Dio ha stabilito per il Faraone e la sua gente.

“Rivelammo alla madre di Mosè: “Allattalo e, quando temerai per lui, gettalo nel fiume e non temere e non essere afflitta: Noi te lo restituiremo e faremo di lui uno degli Inviati”. Lo raccolse la gente di Faraone, sì che potesse diventare loro nemico e causa di tristezza. Davvero Faraone e Hâmân e le loro armate erano colpevoli. Disse la moglie di Faraone: “[Questo bambino sarà] la gioia dei miei occhi e dei tuoi! Non lo uccidete! Forse ci sarà utile, o lo adotteremo come un figlio”. Non avevano alcun sospetto. Il cuore della madre di Mosè fu come fosse vuoto[3]. Poco mancò che non svelasse ogni cosa, se non avessimo rafforzato il suo cuore, sì che rimanesse credente… Lo restituimmo a sua madre affinché si consolassero i suoi occhi, non fosse più afflitta e si convincesse che la promessa di Allah è verità. Ma la maggior parte di loro non sanno nulla.” (vv.7-13)

Sembra che il Corano ci voglia qui indicare come i sentimenti che proviamo davanti ai fatti della vita non siano segno della benedizione o maledizione divina, non è in relazione ad essi che si devono operare le scelte, ma sulla base del timore di Dio. E tuttavia c’è una ricompensa prima o poi anche in questa vita per chi fa il bene:

“Quando raggiunse l’età adulta e il pieno del suo sviluppo, gli demmo discernimento e scienza. Così ricompensiamo coloro che operano il bene.” (14)

Così la punizione coglie già in questa vita chi opera il male:

“Davvero Faraone era altero sulla terra; divise in fazioni i suoi abitanti, per approfittare della debolezza di una parte: sgozzava i loro figli maschi e lasciava vivere le femmine. In verità era uno dei corruttori.Invece Noi volevamo colmare di favore quelli che erano stati oppressi, farne delle guide e degli eredi. [Volevamo] consolidarli sulla terra e, loro tramite, far vedere a Faraone e Hâmân* e alle loro armate quello che paventavano. (4-6)

Anche se la ricompensa chiara e totale è rimandata al Giorno ultimo:

Tutti i beni che vi sono stati concessi non sono che un prestito di questa vita, un ornamento per essa, mentre quello che è presso Allah è migliore e duraturo. Non comprendete dunque? Colui al quale facemmo una bella promessa e che la incontrerà, è forse paragonabile a colui cui diamo godimento effimero in questa vita e che, nel Giorno della Resurrezione, sarà di quelli che saranno condotti [al fuoco]? [Allah] dirà loro, il Giorno che li chiamerà: “Dove sono coloro che pretendevate essere Miei consoci?” (vv.60-62)

Le costanti dell’agire di Dio che possiamo rilevare nel racconto della storia di Mosè, sono quelle legate al tema della giustizia, Dio è dalla parte di coloro che fanno il bene e questo prima o dopo trionfa, e Dio è dalla parte degli oppressi contro gli oppressori, Sunna di Allah, oggi come ieri.

La sura infatti, dopo aver raccontato le vicende legate alla liberazione dei figli di Israele, va al presente, alla predicazione del profeta Muhammad (pbsl), in cui si verifica la stessa situazione di allora, Lui c’è quando noi non c’eravamo e domina la storia degli uomini:

“Tu non eri sul lato occidentale, quando demmo l’ordine a Mosè, tu non eri fra i testimoni. Abbiamo creato generazioni la cui vita si prolungò; tu non dimoravi tra la gente di Madian per recitare loro i Nostri segni: siamo stati Noi a inviare [i messaggeri].” (44-45)

“Se una disgrazia li colpisce, per quel che le loro mani hanno commesso, dicono: “Signore, perché mai non ci hai inviato un messaggero? Avremmo seguìto i Tuoi segni e saremmo stati credenti!” Ma quando giunse loro la verità da parte Nostra, hanno detto: “Perché non gli è stato dato quello che è stato dato a Mosè?” Ma già non furono increduli di quello che fu dato a Mosè? Dicono: “Due magie che si sostengono a vicenda”. E dicono: “Sì, non crediamo in nessuna”.(47-48)

Oggi come ieri, gli ingiusti accampano scuse, e sono bravi in questo, ma la verità è che essi seguono le loro passioni e non la guida di Allah:

“E se non ti rispondono, sappi allora che seguono [solo] le loro passioni, niente di più. Chi è più sviato di chi segue la sua passione senza guida alcuna da parte di Allah? In verità Allah non guida gli ingiusti.” (v.50)

La sura parla al plurale ci mostra ancora, come l’ingiusto non sia solo il faraone che possiede il potere, ma anche coloro che lo seguirono, e così facendo ci fa capire come ognuno di noi sia responsabile della giustizia: non possiamo scusarci pensando solo di non essere d’accordo con le ingiustizie promosse da chi governa, è necessaria un’azione di contrasto e ferma coscienza della responsabilità della cosa pubblica. L’obbedienza non è sempre una virtù, come diceva Don Milani.

“Fu superbo sulla terra, senza ragione, e le sue armate insieme con lui. E davvero credevano che non sarebbero stati ricondotti a Noi! 40. Lo afferrammo, lui e i suoi soldati, e li gettammo nelle onde. Guarda quale è stata la fine degli ingiusti! (vv.39-40)

Tante le storie che in questo giorno ci potremmo raccontare e il cui insegnamento ci trova uniti, musulmani e cristiani, il raccontarle in questa giornata di dialogo ci rafforzi nella lotta per il bene e la giustizia, ci rinfranchi nella solidarietà con gli oppressi, che anche oggi esistono e hanno un nome, spesso coperto dalle manovre dei potenti di questo mondo, fiduciosi che Colui al Quale appartiene ogni potere, con le parole del nostro profeta Muhammad, che ingiuriato e respinto, nell’anno della tristezza, dopo il fallimento di Ta’if, pregò così:

“Mi rifugio in Te, Signore, [afflitto] dalla mia debolezza e dalla mia impotenza. Tu sei il Dio dei deboli, Tu sei il mio Signore e il mio Dio. Mi abbandonerai a stranieri nemici? Se non ho suscitato il Tuo corruccio, non temo alcunché. Mi rifugio nella Luce del Tuo Volto che ha illuminato. Non c’è forza e non c’è potenza se non in te”.



Luned́ 19 Ottobre,2009 Ore: 14:51
 
 
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