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www.ildialogo.org IL CONCILIO, FRA RIMOZIONI E QUESTIONI APERTE. UN CONVEGNO A 50 ANNI DALL’INDIZIONE DEL VATICANO II,di Agenzia ADISTA

IL CONCILIO, FRA RIMOZIONI E QUESTIONI APERTE. UN CONVEGNO A 50 ANNI DALL’INDIZIONE DEL VATICANO II

di Agenzia ADISTA

 

35091. ROMA-ADISTA. “Tra memoria e profezia: le aperture del Concilio e le sfide di oggi” è il titolo del convegno che si è svolto a Roma, lo scorso 20 giugno, promosso da una serie di gruppi ecclesiali di base (fra cui Liberamente Noi, La Tenda, Comunità di base San Paolo, Cipax e Noi siamo Chiesa) per ricordare i 50 anni dall’indizione del Concilio Vaticano II.
Raniero La Valle ha aperto la prima delle due tavole rotonde. La sua tesi è che ciò che ha bloccato la spinta conciliare, e che deve essere rimosso, è una sorta di “convenzione” che ha visto d’accordo sia i conservatori che i progressisti. La “convenzione” è che il Concilio abbia avuto una natura essenzialmente pastorale, escludendo pertanto una sua rilevanza teologica. La Valle ha citato, tra i progressisti che, ancora recentemente, hanno fatto propria questa interpretazione riduttiva (“una pietosa bugia”, l’ha definita), il teologo Armido Rizzi, il quale sul numero di Servitium del settembre-ottobre 2008 ha sostenuto che il Vaticano II non è stato un concilio di taglio effettivamente teologico, se non per quanto riguarda, ma anche qui solo in modo parziale, l’ecclesiologia. Per Rizzi la riflessione teologica sui temi conciliari è venuta dopo; del resto, se fosse avvenuta nel corso delle sessioni conciliari si sarebbe arrivati all’anatema. Ma per La Valle questa interpretazione è sbagliata. A suo avviso già il discorso con cui Giovanni XXIII ha aperto il Concilio conteneva la chiara intenzione di porre sul tappeto questioni di dottrina. Questo era il senso del “balzo innanzi … verso una penetrazione dottrinale…” e dell’istanza di “cambiare il rivestimento della fede”, per riferire alcune delle espressioni usate da papa Roncalli. Dunque, la sfida di oggi è superare “il dogma dell’invarianza”, è riaccostarsi al Concilio come “evento che sta dentro la storia della salvezza”, che anzi è esso stesso “salvezza”. La Valle ha invitato a riprendere in mano i preamboli delle costituzioni “che sono veri e propri preamboli di dottrina, e che ri-raccontano la storia della salvezza agli uomini del nostro tempo”. “È un modo nuovo, liberante, persuasivo” di raccontare la storia della salvezza, dice La Valle a proposito di questi testi, “come non succedeva da mille anni”. Di questa novità conciliare ha portato due esempi. Uno antropologico: “Nel Concilio non è per il peccato che si lavora con il sudore della fronte, o si partorisce con dolore”. Dio, dopo il peccato originale, non ha cacciato nessuno. Il Concilio, dunque, supera il pessimismo sull’uomo che ha accompagnato tanto a lungo la Chiesa, e non induce a considerare inevitabile la malvagità della politica e del potere. L’altro fronte è teologico: il Concilio non fa menzione della dottrina (anselmiana, e poi sempre ripresa) dell’espiazione, della riparazione, del sacrificio risarcitorio di Cristo. Dio è entrato nella storia umana, con il Figlio, non per un sacrificio riparatore ma per svelare il suo segreto; per svelare “il versante divino dell’essere umano”.
Se, dunque, per La Valle la sfida oggi non è di difendere il Concilio, ma di proporne le prospettive teologiche sin qui non raccolte, per Giovanni Franzoni arroccarsi in difesa del Concilio è ugualmente una battaglia perdente; ma la ragione, per lui, è un’altra: il Concilio è stato solo un momento dentro un processo nato ben prima. La crescita del discorso religioso ha avuto, con il Concilio, “un’impennata” (all’interno della Chiesa cattolica), ma l’evento-Concilio non è stato determinante. I padri conciliari portavano con sé, dalle loro chiese locali, esperienze ricche di elementi di novità che il Concilio ha, in parte, raccolto, ma non certo anticipato. “I documenti conciliari – per Franzoni – erano il minimo di ciò che si potesse dire per poter continuare a fare ciò che già si faceva nelle chiese locali”, o, almeno, in molte di esse. Dunque, per l’ex abate di S. Paolo, che fu giovanissimo padre conciliare, oggi “dobbiamo difendere a oltranza non tanto i documenti del Concilio, ma le esperienze pastorali che sono in corso; per questo vale la pena di spendere la nostra vita”. Franzoni ha ricordato poi che, già nei giorni del Concilio, molti padri, fuori dall’aula conciliare, erano portatori di una “metodologia della ricerca di fede” che era ben diversa dalla “metodologia dogmatica” prevalente nella Curia romana. “La discussione fuori dall’aula conciliare avanzava dubbi su tutto”, osserva Franzoni. Ed oggi la sfida è proprio questa: stare dalla parte della discussione libera, “sempre e su tutto”, come è nelle corde dell’ebraismo; e non invece restare prigionieri dei dogmi, che sono “la negazione, la preclusione ad avanzare nella ricerca di fede”.
Paola Gaiotti ha seguito Franzoni nella lettura di un Vaticano II che, per gran parte, fu “una conferma di ciò che molti già vivevano o sentivano”. Per l’ex parlamentare due sono le sfide odierne: il pieno recupero della Chiesa come popolo di Dio e una lettura positiva della secolarizzazione. Su entrambi i fronti, per la Gaiotti, il momento più alto della Chiesa italiana del post Concilio è stato il convegno “Evangelizzazione e promozione umana” del 1976. Fu “un’esperienza unica nella Chiesa”. Fu “un modo collettivo di essere Chiesa che non avevamo conosciuto prima e che non avremmo più conosciuto dopo”. In questo senso dalla Gaiotti è venuto un ricordo grato a mons. Bartoletti, allora segretario della Conferenza episcopale italiana. E proprio alle “carte” di preparazione di quel convegno ecclesiale, che ebbe l’opportunità di studiare nell’estate precedente il convegno, ha fatto riferimento, per sottolineare quanto vi fosse di lettura intelligente e serena della secolarizzazione, vista “non come una malattia da morirne, ma come qualcosa che è a gloria di Dio”. (giampiero forcesi)



 
35092. ROMA-ADISTA.Al convegno romano sul Concilio Vaticano II (v. notizia precedente) era presente la moderatora della Tavola Valdese, Maria Bonafede, che ha ricordato la duplice lettura del Concilio da parte protestante: se, esemplificando, Vittorio Subilia, pastore e teologo valdese, vi lesse soltanto un aggiornamento, che non cambiava di molto le cose, Paolo Ricca vi lesse invece l’emergere di un movimento innovatore che apriva ad un fruttuoso cammino ecumenico. La moderatora ha offerto una lettura parzialmente positiva del post Concilio, per il cammino ecumenico posto in essere in questi quarantacinque anni. Ma ha detto anche che ora il Concilio va assolutamente difeso perché i motivi di preoccupazione sono tanti. L’affermazione, ribadita recentemente in un documento pontificio, che “la Chiesa di Cristo sussiste in quella cattolica romana”, se al tempo del Concilio aveva significato un’apertura perché suonava come non esclusione delle altre confessioni cristiane, ripetuta oggi è come voler dire, da parte cattolica, che “l’ecumenismo va bene ma la vera Chiesa è quella cattolica”. Altre preoccupazioni, per la Bonafede, vengono dai reiterati divieti dell’intercomunione, dalla reintroduzione della messa tridentina (che, al di là del latino, è un “depotenziamento del Vaticano II”) e dalla beatificazione congiunta di Pio IX e Giovanni XXIII. Più in generale, Maria Bonafede ha osservato che “la critica dei vertici della Chiesa cattolica alla modernità e alla secolarizzazione è anche una critica al protestantesimo, il quale ha una paternità nella modernità”.
Interessanti gli interventi che hanno fatto seguito alla prima tavola rotonda. In particolare, Lorenzo D’Amico, del Gruppo “La Tenda”, ha osservato che “con il Concilio sono diventati cristiani adulti anche i poveri, non solo gli intellettuali”. “Prima – ha aggiunto – ai poveri era riservato soltanto il rito; non era dato loro di pensare. Con il Concilio questo è cambiato”. Se questo è vero, è però anche vero – secondo Maria Letizia Giordano (del gruppo romano del Sae-Segretariato per le Attività Ecumeniche) – “che oggi a Roma è difficile sopravvivere come cristiani adulti. Siamo schiavi del fatto che se un prete non ci dà il via libera, non andiamo da nessuna parte”.
Altre riflessioni sono state aperte dalla tavola rotonda pomeridiana, coordinata da Francesca Koch, storica e membro della Comunità cristiana di Base di San Paolo. L’ex parlamentare Giancarla Codrignani, di Bologna, si è soffermata sulla “anomalia di una Chiesa che resta l’unica istituzione tutta maschile”. Luigi Pedrazzi ha insistito molto sull’esigenza di far conoscere il Concilio oggi. “Non serve – ha detto – riunirsi solo per parlare male del papa e della Chiesa. Oggi il Concilio è più attuale che dieci o quindici anni fa”. È vero però che la Chiesa “ha ricordato poco il Concilio”. Pedrazzi ha criticato il progetto culturale “con cui Ruini ha voluto sostituire l’unità politica dei cattolici”, e si è chiesto: “Ma non c’era il Concilio?”. Cioè, è nel Concilio che troviamo le indicazioni necessarie al cammino ecclesiale. Mi dicono, ha aggiunto Pedrazzi: “Perché ti occupi del Concilio e non del fatto che non c’è più Dio nella società?”. La domanda, sembra dire l’anziano politologo cattolico, si commenta da sola. Lui intanto va avanti con la sua iniziativa di far fermentare un po’ in tutta Italia piccoli gruppi di lettura di tutta l’esperienza conciliare, a partire dall’annuncio di Giovanni XXIII nel 1958 fino al termine della quarta ed ultima sessione conciliare, nel 1965” (vedi Adista nn. 87/08, 3 e 57/09).
Anche p. Alberto Bruno Simoni, animatore della rivista Koinonia di Pistoia, ha proposto di rifarsi ai testi conciliari e in particolare di riprendere in mano la Dei Verbum, che reputa “l’ago della bilancia dell’intero Concilio”, la sua “chiave interpretativa“, ed anche “un terreno ancora inesplorato”. In questa costituzione conciliare, che è stata frutto di un serrato dibattito sulle fonti della fede, si può ricavare un’ecclesiologia assai ricca, che deve essere integrata a quella della Lumen Gentium. In questo senso p. Simoni ha proposto una lettura parallela del primo paragrafo di ciascuno dei due documenti. In particolare, le righe iniziali della Dei Verbum aprono, secondo il padre domenicano, a una “nuova economia della salvezza”. “Se si fosse seguita la Dei Verbum, negli anni del post-Concilio, avremmo avuto - secondo p. Simoni - una Chiesa meno istituzionalizzata, più profetica”. Oggi due nodi vanno sciolti per fare spazio ad una Chiesa del Vangelo, dello Spirito. Bisogna ripensare le forme di ricezione del Concilio. Citando un recente scritto di Christoph Theobald, comparso su Il Regno, p. Simoni ha affermato che “sta nascendo un’altra figura di Chiesa”, che prende corpo dall’adozione piena del principio di pastoralità, secondo il quale “non c’è annuncio del Vangelo di Dio senza farsi carico del destinatario”. D’altra parte, ha avvertito p. Simoni “non si può avere la pretesa che la Chiesa possa essere tutta e solo profezia”. Rimarrà sempre una tensione dialettica tra istituzione e profezia, se già Ezechiele profetizzava sulle ossa aride. (giampiero forcesi)
 

 

 

Articolo tratto da
ADISTA
La redazione di ADISTA si trova in via Acciaioli n.7 - 00186 Roma Telefono +39 06 686.86.92 +39 06 688.019.24 Fax +39 06 686.58.98 E-mail Sito www.adista.it



Lunedì 29 Giugno,2009 Ore: 17:36
 
 
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