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www.ildialogo.org DA CHE PULPITO VIENE LA PREDICA!!! IL PRETE NON SA NULLA DELLA BUONA-NOTIZIA ("EU-ANGELO") E TRASMETTE SOLO VANE E GELIDE PAROLE ("VAN-GELO") DI MAMMONA E DI MAMMASANTISSIMA. Una nota di Giancarlo Zizola,a cura di Federico La Sala

BENEDETTO XVI E IL MAGISTERO DELL’"ICTUS", DEL COLPO MORTALE ALLA CHIESA E ALL’ITALIA: "DEUS CARITAS EST", 2006. IL "PESCE" ("ICHTHUS") - PRIVATO DELL'ACCA - PUZZA DALLA TESTA, E GIA’ TUTTO IL CORPO GERARCHICO E’ ORMAI "MARCIO"!!!
DA CHE PULPITO VIENE LA PREDICA!!! IL PRETE NON SA NULLA DELLA BUONA-NOTIZIA ("EU-ANGELO") E TRASMETTE SOLO VANE E GELIDE PAROLE ("VAN-GELO") DI MAMMONA E DI MAMMASANTISSIMA. Una nota di Giancarlo Zizola

Ciò che fatica a emergere (...) è il riferimento nelle prediche, per i vivi e per i defunti, della verità centrale della fede cristiana, la Resurrezione.


a cura di Federico La Sala

Se il prete non sa più parlare dal pulpito

di Giancarlo Zizola (la Repubblica, 6 gennaio 2010)

C’era una volta il pulpito. Da lassù il prete predicava contro le braccia nude delle donne, meno contro gli ebrei nudi che si scavavano la fossa. Inveiva contro la costruzione dei ponti sui fiumi veneti, che avrebbero favorito l’emigrazione delle ragazze dei paesi in città, ove avrebbero "perso la purezza" a servire i ricchi. A metà del Novecento, in piena crociata anticomunista, cacciava dalla chiesa Augusta, una ragazza di cui molti in paese erano innamorati, solo perché si era presentata a messa vestita di rosso, il colore proibito. Altro che "poltiglia insulsa" e "melassa", come ha deplorato Mariano Crociata, segretario della Cei, che qualche giorno fa ha invitato tutti i sacerdoti a rivedere il loro impegno nell’annuncio della Parola di Dio. La predica della domenica funzionava fino a qualche tempo fa (con rare eccezioni) per il buon costume, l’ordine pubblico e la lotta al comunismo. Usava l’al di là come chiave di accesso ai terreni dell’al di qua. Il pulpito mandava in scena al dì di festa l’emissario di un Dio implacabile che assumeva normalmente le fattezze del predicatore-tipo fustigato da Padre Davide Maria Turoldo, il Savonarola della Milano degli ultimi anni Quaranta.

Non è più una questione di tecnica e di eloquenza, come si insegnava nelle vecchie scuole di pastorale. Nessuno oggi immagina il ritorno ai modelli retorici lanciati nel XVII secolo dai Bossuet, dai Bourdaloue e dagli altri campioni del pulpito. È presumibile che nella bolla mediatica anche la loro arte di mischiare la "verità piena" e le applicazioni morali farebbe un flop. Le inchieste disponibili concordano sul dato che la gente che va a messa - ormai una minoranza - ricorda con difficoltà la predica all’uscita dalla chiesa, come se avesse staccato l’audio. La causa non è solo l’affollamento dei messaggi tv o internet che ingombrano i fedeli e nemmeno la cultura secolarizzata dominante, che potrebbe ostacolare la percezione del linguaggio simbolico. «Diamo l’impressione di recitare una lezione imparata a memoria - dice il cardinale Silvano Piovanelli, arcivescovo emerito di Firenze - Le parole passano sopra la teste senza entrare nella vita, percuotono le orecchie senza toccare il cuore. Siamo maestri, e neppure bravi, ma non siamo testimoni. La gente ascolta ma non si convince e non cambia in conseguenza la propria vita».

Il dato di partenza è che le aspettative, i linguaggi, i bisogni collettivi, anche del pubblico praticante, sono radicalmente cambiati. Mentre la predica «è ancora molto danneggiata dall’incapacità di molti pastori a scendere dalla loro astrattezza e genericità» ammette il "Dizionario di omiletica” (Editrice Elle Di Ci, Leumann 1998). Il punto critico principale è considerato la riluttanza del clero a prendere atto che il mondo a cui rivolge le sue prediche non è più una cristianità. Numerose le inchieste che indicano che, anche in Paesi di vecchia tradizione cristiana come l’Italia, il linguaggio cristiano non coincide più, se mai sia coinciso, con quello dominante nella società.

È una condizione che riporta la Chiesa ai primi secoli, con lo statuto della prima evangelizzazione. Come alle origini la predicazione diventa ora un rendere ragione della fede dei cristiani ad un mondo non cristiano. Questa condizione "iniziale" è una chance: determina la necessità di riqualificare la predica come strumento di evangelizzazione, sia di primo annuncio, in un ambito di esplicita missione, sia di ripresa di esso.

La "Scuola della Parola" tenuta dal cardinale Martini nel Duomo di Milano è stato il principale esperimento formativo in questa direzione in Italia dopo il Concilio: un approfondimento biblico nella comunità cristiana come chiave di lettura dei "segni del tempo". Nella crisi del regime di cristianità, Martini capiva che l’urgenza principale di una Chiesa divenuta "piccolo gregge" era di formare convinzioni e coscienze, non di organizzare manifestazioni.

Il Concilio aveva raccomandato di affidare il ministero della Parola anche ai laici, ma di fatto esso è rimasto riservato al clero. Oberato dal carico pastorale di tre, quattro messe ogni domenica per altrettante parrocchie, il prete non può che sbrigare la predica in modo seriale. La proposta di formare gruppi che condividano con i ministri ordinati il peso dell’omelia nella propria comunità, con apporti veramente laicali, è rimasta largamente inevasa. Il risultato è che la predica difficilmente somiglia a quella raccomandata da Padre Turoldo, cioè totalmente immersa nella Sacra Scrittura e insieme nella storia, con tutta la criticità necessaria. "Il Predicatore - diceva - è condannato a entrare con la Parola nella carne e nel sangue della storia».

Poi c’è il riflesso sulle prediche degli standard gerarchici per la selezione del clero, in una fase di restaurazione: netta la preferenza delle curie per i curricula esenti da stili profetici o da creatività apostoliche. Proprio quando, paradossalmente, le teorie manageriali d’impresa puntano sulle leadership creative, abili a inventare nuovi modi di considerare la realtà, di mobilitare energie e immettere nuova linfa nelle strutture organizzative.

Il linguaggio del clero ripiega invece su moduli conformisti, destorificati, a-critici, attenti a non disturbare il senso comune, piuttosto ad accodarsene. Proprio quando, per usare formula di Marcel Gauchet, l’aspettativa spirituale collettiva è per un "Messia alla rovescia", per un cristianesimo non rinunciatario. Di minoranza certo, ma significativo, anche per i non credenti, purché osservi le condizioni indicate da Albert Camus quando diceva: «Io prenderò la Chiesa sul serio quando i suoi capi spirituali parleranno il linguaggio di tutti e vivranno anch’essi la vita pericolosa e miserabile condotta dai più».

Pier Giorgio Rauzi ha registrato l’insorgenza di nuovi codici nelle omelie del clero nel Trentino, città e valli. Quattro anni di indagine del suo Istituto di Sociologia Religiosa a Trento hanno verificato un mutamento di paradigma precisamente nelle prediche delle liturgie dei defunti, le più esposte al rischio del linguaggio ovattato dello spiritualismo consolatorio in funzione della rielaborazione del lutto.

Il risultato è stato che l’universo simbolico tradizionale, imperniato sulla figura del Dio giudice implacabile del "Dies Irae", è stato abbandonato. In cento prediche analizzate non ricorrono mai le parole inferno, dannazione, morte eterna. Mai "purgatorio". Raro anche il riferimento al Paradiso. Rarissimamente la parola "giudice". Anzi, in 21 casi su 24 ricorre l’affermazione che "Dio non è giudice", è invece padre misericordioso. Il giudizio finale è evocato per il mondo, mai per il defunto. «Non una evoluzione, ma una discontinuità radicale di linguaggio» assicura Rauzi. «Cambia la visione del divino e dell’al di là. E abbiamo anche notato un certo imbarazzo del clero di dover parlare nella liturgia dei defunti: come se il silenzio fosse il modo più appropriato per condividere l’angoscia dinanzi alla morte. Infatti l’omelia non era prevista nelle liturgie dei defunti prima del Concilio».

Ciò che fatica a emergere, piuttosto, è il riferimento nelle prediche, per i vivi e per i defunti, della verità centrale della fede cristiana, la Resurrezione.

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SUL TEMA, IN RETE, SI CFR.:

LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

SINODO DEI VESCOVI 2008

  TUTTO A "CARO-PREZZO": QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". IL VANGELO DI RATZINGER, BERTONE, RUINI, BAGNASCO E DI TUTTI I VESCOVI.

  MESSAGGIO EV-ANGELICO E SANTO PADRE?! ABUSO DEL TITOLO E MENZOGNA. L’ERRORE DI RATZINGER.

FUORI I SOLDI, SUBITO: IL DIO-VALORE ("CARITAS") DI RATZINGER LO VUOLE!!! La CEI sollecita il governo a non avere pietà e di mettere sotto i piedi la Costituzione e la Scuola Pubblica.

  LA "CHARTA CHARITATIS" (1115), LA "MAGNA CHARTA" (1215) E LA FALSA "CARTA" DELLA "DEUS CARITAS EST" (2006).

  L’IDEOLOGIA CATTOLICO-FASCISTA DEL MAESTRO UNICO E L’ART. 7 DELLA COSTITUZIONE, UN BUCO NERO CHE DISTRUGGE L’ITALIA E LA STESSA CHIESA CATTOLICA. 
  Per un ri-orientamento teologico-politico

  MONSIGNOR RAVASI, MA NON E’ POSSIBILE FARE CHIAREZZA? SI TRATTA DELLA PAROLA FONDANTE E DISTINTIVA DELLA FEDE CRISTIANA!!! DIO E’ AMORE ("Charitas") O MAMMONA ("Caritas")?! Ha dimenticato l’esortazione di Papa Wojtyla ("Se mi sbalio, mi coriggerete")?!

  PER UNA NUOVA TEOLOGIA E PER UNA NUOVA CHIESA. 
  L’INDICAZIONE DI GIOVANNI XXIII E DI GIOVANNI PAOLO II: LA RESTITUZIONE DELL’ANELLO DEL PESCATORE A GIUSEPPE. 
  Il loro successore ha il cuore di pietra e se lo tiene ben stretto. 
  Per lui Dio è Valore e tutto ha un caro-prezzo ("Deus caritas est")!!!

LA QUESTIONE MORALE, QUELLA VERA - EPOCALE. AL GOVERNO DELLA CHIESA UN PAPA CHE PREDICA CHE GESU’ E’ IL FIGLIO DEL DIO "MAMMONA" ("Deus caritas est", 2006) E AL GOVERNO DELL’ITALIA UN PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEL PARTITO "Forza Italia" (1994-2008). Questo è il nodo da sciogliere

 

 



Mercoledì 06 Gennaio,2010 Ore: 17:22
 
 
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