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www.ildialogo.org Gomorra: vivere nella metastasi,di Giovanni Sarubbi

Dossier
Gomorra: vivere nella metastasi

di Giovanni Sarubbi

Questo dossier è stato pubblicato sul numero di Gennaio 2010 della rivista CEM-Mondialità di cui riproduciamo l'immagine della copertina. Per contatti con l'ottima rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia collegarsi al sito www.cem.coop , email: cemsegreteria@saveriani.bs.it  .

 
 
”… l’unica vera sconfitta è quella che noi diamo a noi stessi quando gettiamo la spugna, quando una caduta ci avvilisce e ci fa stare ai margini, quando il nostro orgoglio ferito non trova una briciola di umiltà per accettare la lezione e riprendere, con maggior forza e fede il cammino”. (Antonino Caponnetto)
 

Giovanni Sarubbi, è nato in Lucania nel 1951, napoletano di adozione, vive attualmente in Irpinia, giornalista, diplomato in teologia presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma con una tesi sul pentecostalesimo, si occupa di dialogo ecumenico ed interreligioso. E’ direttore del periodico «il dialogo» di Monteforte Irpino (www.ildialogo.org) che è il punto di riferimento nazionale del dialogo cristiano-islamico.
E’ coautore del libro «La rivincita del dialogo», ed. EMI 2002 e sempre per la EMI, di «Spirito» per la collana Le Parole delle fedi.
Ci vuole un ossimoro come “vivere nella metastasi”, che mette insieme un termine, metastasi, che richiama immediatamente l’idea di morte, di lenta e dolorosissima agonia di un malato terminale,  con quello opposto della vita, per descrivere quello che un cittadino non camorrista deve affrontare tutti i giorni in Campania o nelle altre regioni controllate dalla criminalità organizzata: cercare di sopravvivere in mezzo a metastasi che si chiamano spaccio di droga, pizzo, estorsioni, attentati, sfruttamento della prostituzione, inquinamento ambientale, politici ed istituzioni dello Stato collusi, omicidi efferati che hanno inaridito persino il cuore tradizionalmente aperto e gioviale dei napoletani, … con la Campania non più “felix” ma trasformata in “gomorra” secondo il titolo dell’omonimo e famoso libro di Roberto Saviano. Titolo che richiama alla mente la distruzione totale e irrimediabile del “sistema gomorra” punito per le sue colpe dalla giustizia divina senza che ci sia, come per la Gomorra del libro della Genesi, nessun Abramo che preghi Dio di risparmiare la città per la eventuale presenza in essa di soli 10 giusti (Gn. 18,23-33).
Ma “gomorra” non è solo la Campania o la città di Napoli dove non è sempre stato così e dove non sarà sempre così. Fino agli inizi degli anni ’60 del secolo scorso la camorra sembrava essersi estinta ed era stata derubricata a fenomeno folkloristico di un sottoproletariato molto diffuso nella città di Napoli, con i camorristi che si vedevano come una «aristocrazia della plebe» e i guappi resi famosi da film e opere teatrali. Poi alcuni fatti occasionali legati al contrabbando internazionale di sigarette, che aveva bisogno di un nuovo porto per i suoi traffici dopo la chiusura di quello di Tangeri, e alla presenza a Napoli agli inizi degli anni ‘70 di alcuni boss mafiosi lì mandati al confino, hanno trasformato una realtà fino a quel momento marginale in una potente organizzazione imprenditoriale con un proprio esercito in armi per imporre le proprie scelte. Dal “Sindaco del rione Sanità” di Eduardo de Filippo, ad una struttura internazionale capace di muovere decine e decine di miliardi di euro.
Ma gomorra può essere considerata anche una entità che comprende tutte le criminalità organizzate oggi esistenti in Italia con tutte le loro relazioni economiche, politiche, sociali, religiose. Una entità che, per la quantità di turpitudine che incorpora, può assurgere facilmente a paradigma del male. Una entità contro cui sviluppare resilienza, cioè capacità di rigenerare un tessuto devastato dalla violenza, di reagire ad un abuso evitando la coazione a ripetere che trasforma la vittima di oggi nel carnefice di domani, o, come dicono gli psicologi, capacità di affrontare con tenacità e durezza tutte le avversità personali e sociali.
 
Conoscere per sviluppare resilienza
Ma come sviluppare resilienza alla entità gomorra e comecostruire una società nella quale fenomeni simili non possano più essere possibili? Non si può parlare di resilienza a gomorra senza parlare di che cosa essa è, senza tentare di delinearne una conoscenza quanto più dettagliata possibile, senza indagarne le sue radici economiche, ideologiche, culturali e persino religiose. Ed è questo, forse, l’unico modo che abbiamo per sviluppare resilienza ad essa, per cercare di sconfiggere la metastasi e far trionfare la vita. Ed è anzi questo il primo compito che i resilienti a gomorra devono mettere in pratica, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni.
Una domanda preliminare si impone. E’ possibile sviluppare resilienza a gomorra o è tempo perso? Possiamo fare qualcosa o dobbiamo rimetterci al giudizio divino e che i giusti non siano costretti a scappare?
Guardando ai numeri forniti dalle relazioni ufficiali della DIA[1] e limitandoci alla sola camorra c’è di che essere sconfortati. Nonostante i colpi che gli sono stati inferti, le attività camorriste si sono moltiplicate. Nel 1992, ai tempi dell’unica relazione parlamentare sul fenomeno della camorra da parte della Commissione Antimafia, i clan camorristici censiti erano in totale 111 con oltre 6700 affiliati. Nell’ultima relazione disponibile della DIA del secondo semestre 2008, i clan sono aumentati a 122: 40 nella sola città di Napoli, 55 nella provincia di Napoli, 9 in quella di Benevento, 4 in quella di Avellino, 13 in quella di Salerno, 1 in provincia di Caserta, quello dei “Casalesi” che controllano capillarmente tutto il territorio casertano attraverso una decina di gruppi minori e hanno una struttura identica a quella mafiosa di “Cosa Nostra” a cui sono affiliati. Oggi – sostiene Saviano nel suo libro - la camorra è l’organizzazione criminale più corposa d’Europa, con più affiliati, con più forza di fuoco, con più soldi e capacità manageriali. Ma non bisogna lasciarsi impressionare da questi numeri. Diceva Giovanni Falcone che la mafia è un fenomeno umano e come tutto ciò che è umano ad un certo punto morirà.
Da quando le indagini sulla criminalità organizzata sono state centralizzate nella DIA, di gomorra si conosce tutto, il numero dei clan, i loro nomi, le loro aree di influenza, i loro affari, le loro ramificazioni nazionali e internazionali. E quello di cui non si ha conoscenza può essere abbastanza agevolmente intuibile. Il fenomeno è ormai andato molto al di la della Campania o delle altre regioni. La camorra ha in Campania la sua roccaforte, come  Cosa nostra e stidda[2] l’hanno in Sicilia, ma oramai le segnalazioni di attività, soprattutto economiche, ad esse collegate riguardano soprattutto il nord Italia. La relazione della DIA del 2006 metteva in evidenza come il 60% delle segnalazioni legate alla criminalità organizzata provenivano dalle regioni del nord Italia, il 18% dalle regioni del centro e solo il 22% da quelle meridionali dove il controllo del territorio da parte della criminalità organizzata è totale. Evidentemente dove ci sono soldi la c'è gomorra che non è più solo un fenomeno circoscrivibile in determinati ambiti territoriali.
Ma quali sono le radici di gomorra?
 
Le radici di gomorra
La più antica criminalità organizzata è stata la camorra napoletana le cui origini si possono far risalire al periodo della dominazione spagnola a Napoli fin dal 1500. La parola camorra deriva infatti dallo spagnolo e significa rissa o litigio. Camorear sta per litigare e camorrista è un litigioso. In siciliano ancora oggi per indicare una prepotenza si usa il termine camorra.
«La Camorra potrebbe essere definita l’estorsione organizzata: essa è una società segreta popolare, cui fine è il male. E’ utile studiarla da vicino non solo per osservar costumi ancor poco conosciuti e offrire qualche singolarità di più alla curiosità del pubblico, ma soprattutto per mostrare i veri ostacoli che l’Italia incontra a Napoli»[3]. Questa frase apre il meno noto ma altrettanto documentato libro sulla camorra di Gigi di Fiore, giornalista de “Il Mattino” di Napoli, che intitola significativamente l’introduzione del suo libro “Un cancro al quinto secolo di vita”. E un cancro non può durare tanto a lungo senza l’appoggio del corpo nel quale nasce e che gli da la linfa per crescere a dismisura ed occupare tutti gli spazi vitali. Un cancro che ha la sua storia intrecciata con quella del potere politico ed economico della Campania e dell’Italia. Si perché la camorra è sempre stata usata dal potere per i propri fini, si potrebbe anzi dire che è stata ed è l’altra faccia del potere in Campania. E’ successo nel 1500 con gli spagnoli, è successo nel 1860 con l’unificazione d’Italia e l’arrivo dei piemontesi a Napoli, quando la camorra venne arruolata nella Guardia nazionale per mantenere l’ordine dall’allora prefetto di Napoli Liborio Romano[4]. E’ successo con l’affare Cirillo nel 1981 quando la Nuova Camorra Organizzata (NCO) di Raffaele Cutolo fece da tramite con le Brigate Rosse per ottenere la liberazione dell’assessore regionale campano Ciro Cirillo che esse avevano rapito il 27 aprile 1981[5]. Storia simile per la mafia siciliana, con elogi della mafiosità fatti da uomini dello Stato fin dai tempi della monarchia. Si veda ad esempio la dichiarazione di mafiosità del 1925da parte di Vittorio Emanuele Orlando, già presidente del consiglio dei ministri, o l’elogio della mafia fatto dal questore di Caltanissetta nel 1949, o le dichiarazioni di Andreotti riportate dal pentito Buscetta secondo cui di uomini come i mafiosi ce ne sarebbe voluto uno per ogni strada di ogni città italiana.[6] Del resto come dimenticare che lo sbarco in Sicilia durante la Seconda Guerra mondiale è stato favorito dall’intervento della mafia?
La politica
Scrive Saviano a pag. 57 del suo arcinoto “Gomorra”: «Mai si era avuta una così grande e schiacciante presenza degli affari criminali nella vita economica di un territorio come negli ultimi dieci anni in Campania. I clan di camorra non hanno bisogno dei politici come i gruppi mafiosi siciliani, sono i politici che hanno necessità estrema del Sistema». E’ una tesi non nuova, lo ha scritto per primo la Commissione Antimafia nel 1992: «L’altra faccia della camorra è rivolta verso il potere, in un rapporto di interscambio dal quale emerge che, nella storia, è più spesso il potere ad avere bisogno della camorra che la camorra del potere».[7] Da allora nulla è cambiato se non in peggio. Nelle ultime elezioni amministrative della primavera del 2009 la vittoria o la sconfitta di uno degli schieramenti in campo nelle province della Campania o nei comuni dove si è votato è stato determinato dal sostegno esplicito delle famiglie camorristiche locali, che hanno appoggiato indifferentemente il centrodestra o il centro sinistra a seconda dei propri interessi. Come del resto hanno sempre fatto gli imprenditori cosiddetti “legali”, che con i loro soldi hanno condizionato la vittoria di questo o quello schieramento. E succederà così anche alle prossime elezioni regionali.
E i rapporti stretti fra camorra e politica sono dimostrati anche dall’elevato numero di comuni sciolti in Campania per infiltrazioni mafiose dal 1991 al 2006, ben 71, con solo nove comuni su novantadue della provincia di Napoli risultati indenni da inchieste legate alla criminalità organizzata. O dai lucrosissimi affari che le imprese camorristiche hanno potuto fare con la ricostruzione post terremoto del 1980 in Campania o con i vari appalti legati alla TAV o ai lavori autostradali o alle grandi opere in genere, dove la mano pubblica ha avuto la funzione di elargire alle cosche e alle loro imprese migliaia di miliardi di vecchie lire senza garantire fra l’altro alcun beneficio vero alla popolazione locale. Come sarà per il ponte sullo stretto di Messina. E rapporti simili ci sono fra mafia e politica, fra stidda e politica, fra ‘ndrangheta e politica come le tante inchieste e i tanti processi, alcuni ancora in corso, dimostrano.
 
L’economia
Ma non si riuscirà a comprendere nulla sull’entità gomorra se non la si inserisce nel sistema sociale nel quale è nata e vive, nel sistema sociale liberista, basato, come quelli che lo hanno preceduto, sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, sull’accumulazione infinita in poche mani di capitale finanziario, di materie prime, di strumenti di produzione, senza lacci e laccioli legali o morali di alcun tipo. La dice chiaramente Saviano nel suo libro quando descrive gli affari della camorra e descrive i camorristi come i più spregiudicati e competenti imprenditori che abbiamo in Italia, quelli che liberi da impacci di ogni tipo e forti di un proprio esercito in grado di imporre le proprie volontà con le armi, sono in grado di prevedere in anticipo dove investire e come meglio far fruttare i propri soldi. Sono stati gli imprenditori camorristi i primi ad aprire al mercato cinese. Sono gli imprenditori camorristi che determinano i prezzi di merci importanti come ad esempio il cemento per le costruzioni di cui controllano l’intera filiera.
Lo scrive chiaramente la DIA che a proposito del clan dei Casalesi, il maggiore della Campania, lo descrive come «modello di camorra imprenditrice, con traffici illeciti estesi in un assetto geoeconomico- criminale di livello addirittura transnazionale» tanto che non è incorretto parlare di un vero e proprio “settore terziario avanzato” della realtà camorristica, quasi esclusivamente riconducibile al cartello dei Casalesi[8].
Del resto guardando a ciò che le cronache riportano sui temi economici, l’illegalità non solo nel nostro paese è diffusissima. La crisi finanziaria mondiale scoppiata un anno fa ha messo in luce una gomorra planetaria provocata dai vari responsabili delle politiche finanziarie degli stati che o erano gli autori delle truffe o hanno fatto finto di non vedere ciò che stava accadendo, salvo poi a lamentarsi dopo della mancanza di regole. Se si potesse fare un’indagine a tappeto sulla legalità delle attività economiche anche di importanti aziende nazionali ed internazionali, si può essere certi che nessuna azienda ne uscirebbe indenne. Non c’è azienda che non si sia creato un meccanismo di esportazione illegale di capitali all’estero che sfugga ai controlli del fisco. Non c’è praticamente grande o piccola impresa del nord che non abbia fatto affari con la camorra sulla questione dello smaltimento dei rifiuti, soprattutto di quelli tossici. Che differenza c’è fra l’imprenditore del nord-est ed il camorrista campano che gli smaltisce i rifiuti tossici? Nessuna, perché sono entrambi disposti ad infrangere le leggi, la dove esistono, per realizzare il proprio profitto. Il tutto in nome del libero mercato e della libertà di impresa che diventa sinonimo di libertà di delinquere. E cosa sono le evasioni fiscali per oltre 300 miliardi all’anno di euro, le migliaia di infortuni e di morti sul lavoro, lo smaltimento illegale di rifiuti, la riduzione progressiva del potere di acquisto di stipendi e pensioni se non la violazione della nostra legge fondamentale, la Costituzione, che definisce l'Italia come una Repubblica fondata sul lavoro e non sul suo sfruttamento selvaggio e considera l'impresa finalizzata all'utilità sociale e non al profitto privato?
Uscire da gomorra si può se riusciamo ad uscire da un sistema patologicamente ingiusto, che consente a pochi individui di essere super ricchi e alla stragrande maggioranza della popolazione di sopravvivere a stento.
 
L’ideologia
Ma qual è l’ideologia che sostiene la camorra? E si può dire che la camorra abbia una sua cultura?
Giovanni Falcone diceva che «è un errore considerare queste organizzazioni come prive di ideologia. Se così fosse basterebbero pochi drappelli di poliziotti» per sconfiggerle. Per mantenere organizzazione ferree come sono le organizzazioni criminali sono necessari dei valori forti di riferimento.
L’entità gomorra condivide certamente la base ideologica della borghesia capitalista: libero mercato, libertà d’impresa, proprietà privata dei mezzi di produzione e libero sfruttamento del lavoro umano, libertà piena su tutta la natura, su tutte le materie prime, su tutto ciò che è commerciabile e può produrre ricchezze. E se c’è chi si mette di traverso si fa guerra se non si riesce a sconfiggerlo pacificamente o ad allearsi con lui. Così come fanno gli Stati che aggrediscono gli altri Stati per depredarne le risorse.
L’entità gomorra può essere senz’altro definita come una anfizionia[9] attorno al tempio del dio denaro. L’uomo o la donna di gomorra si possono considerare “il capitalista perfetto”, quello che meglio di altri incarna lo spirito del capitalismo che è teso alla ricerca del massimo profitto.
Non è solo l'arricchimento facile che da nuova linfa a gomorra ma anche l'idea che sia legittimo essere ricchi sfondati ai danni di milioni di altre persone che soffrono la fame. E per questa ricchezza si può uccidere e fare di tutto, anche inquinare i pozzi della regione dove si vive, nulla è vietato.
L’entità gomorra si nutre di egoismo sfrenato, di libidine violenta, di consumi sfrenati, di sballo continuo, di idee di superpotenza. Idee proiettate migliaia di volte al giorno dagli schermi della TV o dai microfoni della radio o dalle pagine dei giornali o da internet. E’ la diffusione di queste idee che crea consenso popolare e consente ad alcune migliaia di persone di controllarne alcuni milioni nelle regioni a forte presenza gomorrista.
Le varie criminalità organizzate hanno poi loro specificità, loro atteggiamenti tipici che derivano da dove esse sono nate. La camorra napoletana ha mantenuto uno stile “guappesco”, provocatorio, rissoso, tipico del sottoproletariato urbano da cui ha tratto origine. La mafia, la cui origine è pastoral-rurale, è silenziosa, di poche parole, sai che c’è ma non la vedi platealmente. Mafiosi e camorristi si nutrono di miti, di quei miti che i film sulla mafia hanno contribuito a diffondere come scrive Saviano nel suo libro. E c’è stato anche qualche camorrista che non ha resistito alla tentazione di interpretare una parte nel film tratto dal libro di Saviano, finendo poi arrestato qualche tempo dopo, a dimostrazione di come sia sempre difficile fare film su gomorra perché c’è sempre il rischio di fargli pubblicità ed aumentarne la mitizzazione e la forza di coercizione.
 
La religione
Ma gomorra ha anche la sua religione. Lo testimoniano i riti iniziatici che i vari gruppi adottano per l’affiliazione di nuovi adepti. Riti che non è difficile definire “sacri”, per i gesti che vengono compiuti e per le parole che i partecipanti dicono, per le immaginette di santi e madonne che ognuno dei partecipanti ha con se, per il sangue del nuovo adepto che viene usato come se fosse quello di un agnello sacrificale da spargere sull’altare del “dio” di cui si chiede la protezione[10].
In un suo recente libro dal titolo “Il Dio dei mafiosi”, Augusto Cavadi, giornalista, sociologo e teologo palermitano tra i maggiori esperti del rapporto fra cattolicesimo e associazioni criminali (già nel 1994 aveva pubblicato, in due volumi, Il vangelo e la lupara. Materiali su Chiese e mafia), ha analizzato a fondo il rapporto fra mafiosi e cristianesimo ed in particolare quello con la Chiesa Cattolica, cercando di capire come sia stato possibile ad una società a stragrande maggioranza cattolica partorire Cosa nostra e stidde in Sicilia, ‘ndrangheta in Calabria, camorra in Campania e sacra corona unita in Puglia. E le partorisca non come aborti mostruosi irriconoscibili, ma come associazioni in cui tutti hanno una Bibbia. E tutti pregano. E tutti hanno un santo protettore a cui sono fedelissimi e di cui sostengono il culto e le feste.
Secondo Cavadi esiste una vera e propria “teologia mafiosa”, cioè un sistema di credenze, riferimenti simbolici e pratiche devozionali che caratterizzano la religiosità delle cosche mafiose che è strettamente legata ad una certa visione di Chiesa. Si tratta di un terreno finora poco indagato. Chi ha affrontato la questione si è limitato in genere alla denuncia di fatti specifici come la benedizione, anche da parte del Papa, di matrimoni di mafiosi eccellenti, che fa del resto il paio con la benedizione e l’amicizia stretta di Papi vescovi e cardinali con dittatori sanguinari e regimi autoritari in giro per il mondo, vedi Pinochet in Cile o Videla in Argentina, per non parlare di Hitler e Mussolini.  Amicizie che hanno avuto ed ancora hanno consistenti risvolti economici. Ricorda Cavadi nel suo libro che il pentito Calcara in un’intervista a “Repubblica” del 15 ottobre del 2002, dichiarò di aver preso parte a una “missione” per recapitare a Roma «a Marcinkus (allora presidente dello IOR la banca del Vaticano) e al banchiere Calvi due valigie contenenti molti miliardi appartenenti a clan mafiosi». Della serie «pecunia non olet»!
L’ultima benedizione papale ad una coppia proveniente da famiglia mafiosa, che non poche polemiche ha suscitato, risale agli inizi di ottobre 2009 quando nella cattedrale di Reggio Calabria viene sposata la figlia di Pasquale Condello[11] , ritenuto il capo della ‘ndrangheta reggina.
Nel suo libro Cavadi sostiene che la teologia cattolica si sia strutturata nei secoli in maniera tale da costituire per i mafiosi un modello “esemplare” ed una miniera di credenze e di norme da rispettare che facilitano e giustificano la propria mafiosità. Ed è partendo da questo assunto che egli tenta non solo di evidenziare le inquietanti somiglianze fra la visione cattolica e la visione mafiosa del mondo, ma anche di abbozzare una teologia critica diversa: una teologia che (riscoprendo il messaggio evangelico originario) sia, “oggettivamente”, inutilizzabile come armamentario ideologico dalle cosche mafiose.
Il “dio” dei mafiosi, secondo Cavadi, è un “dio” onnipotente ma senza tenerezza e in questa onnipotenza egli in realtà proietta la sua volontà di potenza. Il “dio” dei mafiosi, ha scritto don Nino Fasullo, sarebbe un mafioso di gran lunga più potente di ogni altro pronto a punire chiunque non si pieghi alla sua legge. E’ il “dio” utilizzato dalle classi dominanti di tutti i tempi per perpetuare il proprio potere e che quindi anche i mafiosi prendono come proprio riferimento. Un “dio” trascendente senza immanenza, un “dio” accessibile solo per mediazione attraverso santi e chierici, con i primi che hanno per i mafiosi un ruolo importantissimo. Non è un caso che li chiamino mammasantissimi. Ma il “dio” dei mafiosi è anche il “dio” che, secondo la dottrina del cosiddetto “sacrificio vicario”, ha voluto spargere il sangue del suo stesso figlio sulla croce per la salvezza dell’uomo. Questa dottrina che tantissimi cristiani ora ritengono aberrante, stando a tante dichiarazioni di pentiti, è alla base degli omicidi feroci persino di bambini dei nemici dei mafiosi: se lo ha fatto “dio” lo posso fare anche io. Non ha caso, scrive Cavadi, di Gesù Cristo si venerano in mille modi passione, crocifissione e sangue sparso sulla croce ma quasi mai la resurrezione il che equivale a negare alla radice il Vangelo.
 
Il controllo del territorio
La politica, l’ideologia, l’economia e la religione sono ciò che consentono a gomorra di esercitare il controllo pieno sulle regioni delle singole criminalità organizzate che tendono ad allearsi fra di loro, come dimostrano le indagini sulle infiltrazioni mafiose nelle grandi opere. Non c’è comune della Campania, della Sicilia, della Calabria, della Puglia dove non ci sia un referente di gomorra. Lo si vede per le attività tradizionalmente delinquenziali (droga, contrabbando di sigarette, prostituzione, pizzo) ma soprattutto per il controllo degli investimenti pubblici. La dove ci sono investimenti pubblici ed opere da realizzare, piccole o grandi che siano, si può essere certi che gomorra è lì pronta a papparsi la torta. Ai tempi della ricostruzione post terremoto del 1980, che ha costituito il momento di maggior sviluppo della camorra in Campania, esisteva un accordo preciso fra camorra e amministratori pubblici: fino ad un importo di 100 milioni di lire gli appalti potevano essere decisi “liberamente” dal potere politico, oltre quel limite era la camorra a decidere quali imprese dovevano aggiudicarsi i lavori. Oggi anche quei limiti sembrano cancellati, nulla viene lasciato alla “libertà” dei pubblici amministratori.
I referenti di gomorra, soprattutto in Campania, spesso sono imprenditori edili che non hanno precedenti penali. Ma tutti sanno chi sono. Te ne accorgi da come viene pronunciato il loro nome o meglio ancora il soprannome. Soprannomi unici, come racconta Saviano, che qualificano inequivocabilmente il personaggio ed il suo potere. E poi ci sono i professionisti di vario tipo (avvocati, commercialisti, medici) che danno le loro consulenze tecniche ai gomorristi. E poi ancora ci sono gli insospettabili, impiegati o piccoli commercianti o semplici operai, che in cambio di soldi accettano di detenere nelle proprie case “pacchetti” di droga in quello che si può definire una sorta di “deposito a rete”: se la polizia ne scopre uno gli altri nodi della rete continuano a funzionare con perdite minime e con nessuno che conosca tutta la rete. E poi ci sono i trasporti di materiali illegali (droga ed armi) che viaggiano su camion “puliti”, con la merce che viene trasbordata da camion ad altri camion in piazzole di servizio autostradali dove nessuno controlla.
In genere gli affari di gomorra si svolgono in silenzio, nessuno vede, nessuno sente, nessuno parla. Ci sono i comuni sulla bocca di tutti, dove maggiormente si concentrano le attenzioni dei mass-media (chi non ha mai sentito parlare di Casal di Principe?), ma poi ce ne sono altri cento dove gomorra ha le sue retrovie e di cui i mass-media non si occupano. Ti accorgi di essere in uno di questi comuni quando leggi che quel tal prete che avevi visto in giro per il paese e che è stato  arrestato era in realtà un pericoloso latitante, e la notizia viene data con un piccolo trafiletto solo perché non se ne può fare a meno, e nessun giornale si preoccupa di capire cosa c’è dietro quella latitanza a pochi passi da Napoli. Oppure quando la DDA di Napoli sequestra interi quartieri del paese dove vivi perché appartenenti a società della camorra, senza che la magistratura locale dove avvengono i sequestri abbia mai neppure lontanamente scalfito la ragnatela di interessi delinquenziali operanti in quel territorio da decenni.
La delega alla DDA per le indagini relative alla criminalità organizzata, che toglie al magistrato locale la titolarità dell’inchiesta su fatti di criminalità organizzata, ha consentito di acquisire conoscenze molto precise su gomorra, ma dall’altro lato ha lasciato inalterato il suo potere economico diffuso sul territorio che non è solo spaccio di droga. Le indagini sono concentrate in un piccolo pool di magistrati che vivono una vita d’inferno, sovraccarichi di lavoro e spesso con gravi carenze di personale fidato. Magistrati che devono guardarsi molto spesso dai propri collaboratori e che finiscono altrettanto spesso per essere isolati all’interno stesso della magistratura. In alcuni casi sono venuti a galla persino intercettazioni fatte ai danni di importanti procuratori della Repubblica da parte di organizzazioni non meglio identificate. Una vera e propria polizia parallela centralizzata che raccoglie informazioni su tutti quelli che hanno un qualche potere politico per poterle usare come strumenti di ricatto.
Per combattere la camorra la magistratura dovrebbe mettere il naso negli affari che passano all’interno stesso dei “palazzi di giustizia“, dovrebbe verificare le procedure di fallimento di imprese e piccoli artigiani, spesso provocate da usurai, o le vendite all’asta di beni che finiscono tutte acquistate sempre dalle stesse società. In Campania partecipare ad un’asta pubblica in un tribunale è impossibile per il semplice cittadino che non faccia parte di una qualche famiglia camorristica.
 
Una pista per la resilienza
Per sconfiggere gomorra non bastano e forse neppure servono i meccanismi repressivi e giudiziari per quanto perfezionabili essi possano essere, cosa che oggi fra l’altro è anche messo in discussione dal governo con la radicale modifica della legge sulle intercettazioni telefoniche, che comporta praticamente la loro abolizione, e con la cancellazione di importanti reati finanziari attraverso il cosiddetto scudo fiscale. Non vanno dimenticati neppure le infiltrazioni che gomorra ha avuto e continua ad avere nelle stesse forze di polizia e nella stessa magistratura. La relazione sulla camorra della Commissione Antimafia del 1992 rilevò come su un totale di 41 magistrati ben 16 erano quelli collusi con la camorra. Non saranno polizia e magistratura a sconfiggere gomorra.
Per sconfiggere gomorra bisogna innanzitutto sconfiggere il suo potere economico e la sua egemonia culturale che è poi quella della società liberista nel cui brodo gomorra vive e prospera. In Campania, in Sicilia, in Calabria, in Puglia ci sono alcuni milioni di persone che sostengono apertamente gomorra o per paura o per legami economici o perchè “così fan tutti”. Non sarebbe possibile fare quello che gomorra fa in queste regioni senza il consenso della gente che, per esempio, non ha visto migliaia di camion scaricare rifiuti tossici in Campania. E chi ha visto e ha denunciato è finito ammazzato.
L’egemonia culturale di gomorra è così forte che quando essa si sente minacciata da un movimento che ne mette in discussione il potere, non deve far altro che far girare la notizia che quel movimento è in realtà manovrato proprio da gomorra, e la sua fine è certa. E’ successo in Campania con tutte le battaglie di vari comitati civici che si opponevano alla costruzione degli inceneritori e alla devastazione del territorio. Succede con tutti coloro che si oppongono al potere di gomorra e che magari ne sono stati vittima. Recentemente, ad esempio, c’è stato chi in parlamento ha parlato dell’omicidio di don Peppino Diana, prete di Casal di Principe ucciso dalla camorra 15 anni fa, come di un regolamento di conti interno alla camorra.
Come spezzare l’egemonia culturale, politica, economica e persino religiosa di gomorra? Quale granellino di sabbia bisogna inserire nella potente armatura di cui è rivestita gomorra, novello Golia dei nostri giorni, per impedirne i movimenti ed abbaterla?
E’ questo il compito che i resilienti debbono svolgere con le loro azioni, con il loro impegno che per essere vincente deve essere sempre più scientifico e rigoroso e basarsi su analisi di gomorra innanzitutto economiche. Comprendere l’economia di gomorra, direbbe il vecchio Marx, è la chiave che ci consentirà di sconfiggerla. Avere dunque le conoscenze adeguate e gli strumenti di analisi della realtà è dunque l’elemento indispensabile per sviluppare resilienza.
 
Bibliografia
Gigi Di Fiore, La camorra e le sue storie, Utet 2005
Roberto Saviano, Gomorra, Mondadori 2006
Commissione Antimafia, Rapporto sulla Camorra, l’Unità 1994
Augusto Cavadi, Il dio dei mafiosi, San Paolo 2009
Barbagallo, Il potere della camorra, Einaudi 1999
Giancarlo Caselli, La vera storia d’Italia, Tullio Pironti Editore Napoli 1995
Elisabetta Sergio, Mafia & Tangenti, Signorelli editore, Roma 1994
Nando dalla Chiesa, Storie, Einaudi 1990
Centro di Documentazione mensa bambini proletari, Rassegna stampa sulla camorra, coop Sintesi, Napoli marzo 1982
Corrado Staiano, Mafia L’atto di accusa dei giudici di Palermo, Editori Riuniti 1986-1992
Umberto Santino, Storia del movimento antimafia, Editori Riuniti, 2000
Pino Arlacchi, Addio cosa nostra, BUR 1996
Francesco Forgione, Amici come prima, Editori Riuniti, 2004
Enrico Deaglio, Raccolto rosso La Mafia l’Italia, Feltrinelli 1995
 
Giovanni Sarubbi
2-11-2009


[1] Direzione Investigativa Antimafia
[2] "Stidda" in dialetto siciliano significa stella; con tale termine si fa riferimento ad una costellazione di gruppi criminali, caratterizzata da forti limiti strutturali e dalla particolare mancanza di rigide gerarchie verticistiche.
[3] Marco Monnier, La camorra, 1863, citazione in Gigi di Fiore, La Camorra e le sue storie, Utet 2005
[4] Rapporto sulla Camorra, Commissione parlamentare Antimafia del 21 dicembre 1992, edizioni l’Unità pag. 37 paragrafo 2.3
[5] Ibidem cap. 16
[6] Cit. in Augusto Cavadi, Il Dio dei mafiosi, SanPaolo 2009, pag 28
[7] Rapporto sulla Camorra, paragrafo 1.15 pag. 28
[8] Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e sui risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia 2° semestre 2008. pag. 159-160
[9] Anfizionia: nell'antica Grecia, confederazione di popolazioni limitrofe aventi in comune il culto di una divinità, oltre a interessi politici
[10] Vedi la cerimonia di affiliazione alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo in La camorra e le sue storie, di Gigi di Fiore op. cit. pag. 330, dove la camorra viene definita “divina e sacra”.
[11] Adista Notizie n. 102 del 17/10/2009, “REGGIO CALABRIA: LA FIGLIA DEL BOSS SI SPOSA IN CATTEDRALE. E IL PAPA INVIA LA SUA BENEDIZIONE”.
 


Venerd́ 12 Febbraio,2010 Ore: 14:36
 
 
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