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www.ildialogo.org La chiesa come “madre dei credenti”,di Ermanno Genre

Giovanni Calvino
La chiesa come “madre dei credenti”

di Ermanno Genre

La comune “chiesa madre dei credenti”
è ancora una madre feconda oppure è una madre sterile?
 
 Quale interesse può avere oggi questa nozione di ecclesia mater che Calvino ha difeso da una unilaterale appropriazione cattolico romana, e che i protestanti hanno successivamente trascurato? Nella prospettiva di Calvino la nozione di chiesa come “madre dei credenti” è intimamente legata al problema della trasmissione della fede. Una metafora dunque che interroga il fondamento e il senso dell’esercizio dei ministeri nella chiesa, la loro pertinenza e finalità; in altre parole, una metafora che intende fotografare il compito di edificazione della chiesa e di ogni suo singolo membro. Evocare la nozione di chiesa madre dei credenti significa dunque guardare alla crescita nella fede dei credenti e alla loro maturità, ad una chiesa che promuove e rispetta l’autonomia spirituale dei suoi figli e figlie, “finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Ef.4,13).
   Chi è questo riformatore che nel XVI secolo rivendica per le Chiese protestanti questo concetto di chiesa madre dei credenti?
 
Un esule difensore della riforma a Ginevra
 
Un avvenimento paradossalmente “ecumenico” dell’epoca in cui visse il riformatore ci aiuterà a capire il personaggio di cui ricorre quest’anno il 500 anniversario della nascita.
   Il 26 marzo 1539 il Piccolo Consiglio di Ginevra si vide recapitare una lettera dalla Francia, da Carpentras, mittente un autorevole cardinale, Jacopo Sadoleto, che con Ginevra non aveva mai avuto a che fare. Che cosa spingeva il cardinale Sadoleto a scrivere ai ginevrini? L’argomento è precisamente la chiesa, la chiesa madre, la chiesa cattolica romana da cui i ginevrini si erano distaccati, a detta del cardinale istigati da alcuni predicatori che avevano portato la discordia nella chiesa: “persone astute, nemiche dell’unità e della pace cristiana”. Il popolo di Dio si trova ora fuori dai solchi della vera tradizione conservata nella chiesa cattolica avendo “rifiutato l’autorità della Chiesa” e si trovano, a suo dire, in mezzo a insanabili conflitti. Si può rimediare? Come rimediare? Vi è una sola strada percorribile, sostiene Sadoleto con parole misurate e affabili: ritornare nella comunione di santa madre chiesa romana e pronunciare la parola fine a questa parentesi riformata. Questo in sintesi il messaggio che viene da Carpentras da questo illuminato cardinale di origine italiana, convinto di fare il proprio dovere per l’unità della chiesa.
 Ci possiamo immaginare l’imbarazzo che colse il Piccolo Consiglio della città quando si vide recapitare questa lunga lettera del cardinale che metteva in questione la realtà stessa di Ginevra, come chiesa e come città. Chi sarà in grado di trovare le giuste argomentazioni per rispondere a quella lettera che mostrava attenzione pastorale ma che al tempo stesso era velenosa come il morso di un serpente? L’uomo che avrebbe saputo rispondere a tono e difendere la decisione del popolo ginevrino che prese la decisione di riformare la chiesa il 4 giugno 1536, a mano alzata sulla piazza della cattedrale, era appena stato cacciato dallo stesso Consiglio di Ginevra dopo due anni di intenso lavoro con Guillaume Farel, ed aveva dovuto trovare rifugio nella Strasburgo di Martin Bucer. Come si poteva interpellare il riformatore dopo averlo cacciato dalla città e chiedergli ora di difendere quella stessa città e quella stessa chiesa riformata da cui era stato allontanato? Dopo non poche esitazioni ed incertezze, alla fine fu la diplomazia bernese a rintracciare Calvino a Strasburgo e a convincerlo di rispondere a Sadoleto. La questione andava ben oltre il fatto personale dello scontro tra Calvino ed il Consiglio della città, qui era in gioco il senso stesso della riforma, del movimento di riforma europeo cui anche Ginevra aveva aderito. Non solo, era in questione il fondamento della fede riformata.
   Ci si può ben immaginare il volto di Calvino nel leggere certe affermazioni del cardinale…lui un nemico dell’unità e della pace cristiana, un sobillatore? Calvino rompe gli indugi e decide di assumersi questo compito: risponderà al cardinale, per Ginevra certamente, ma anche per sé, per difendere la dignità evangelica del suo ministero, per la libertà dell’evangelo di Gesù Cristo.
   Nella sua risposta il nostro esule concentra la riflessione sulle due grandi questioni che stanno dietro alla lettera di Sadoleto, vale a dire la dottrina della giustificazione per fede e la questione della Chiesa. E’ dunque al tema ecclesiologico che qui mi ricollego per riprendere più in dettaglio il tema della Chiesa come madre dei credenti.
 Sadoleto, nella sua lettera, pone ai ginevrini la questione fondamentale che concerne la loro salvezza e lo fa in questi termini: “…se pensate sia più giovevole alla vostra salvezza e sia più gradito a Dio il credere ed il seguire ciò che in tutto il mondo la Chiesa cattolica approva, con generale consenso, ormai da più di millecinquecento anni…; o se pensate giovino di più alla vostra salvezza le innovazioni introdotte in questi ultimi venticinque anni, contro una tradizione in uso ormai da secoli e contro l’indiscussa autorità della Chiesa, da uomini scaltri o, come loro si stimano, intelligenti: ma che certo non rappresentano la Chiesa cattolica”.
   Come si noterà, lo stile del cardinale è pastorale, misurato, fine ma anche velenoso se si tiene conto della realtà della Ginevra riformata. L’epistola si era aperta con parole di pace ma che nel frangente storico della città erano una dichiarazione di guerra: “La pace sia con voi e con noi, cioè con la Chiesa cattolica, madre di noi tutti e vostra ad un tempo…”. E’ proprio su questo punto che Calvino introduce la sua critica: “Se mi è concesso…suggerirti una definizione più pertinente della Chiesa, e tu l’accetti, esprimiti d’ora innanzi in questi termini: la Chiesa è l’insieme di tutti i santi dispersi nel mondo intero ma uniti da un unico insegnamento, quello di Cristo, e che mantengono l’unità della fede, insieme alla concordia e alla carità fraterna, unicamente in virtù del suo Spirito. Fra questa Chiesa e noi non sussiste alcun contrasto, anzi la consideriamo come una madre, con il rispetto dovuto, e l’unico desiderio nostro è di essere sempre in comunione con lei” (mia sottolineatura).
   Calvino dunque fa suo il concetto di chiesa come “madre”, e con ciò spunta la freccia di Sadoleto che vorrebbe riferire questa nozione alla sua chiesa soltanto. Questa rivendicazione ecclesiologica di “chiesa madre” rappresenta un novum nel pensiero ecclesiologico di Calvino. Invano lo si cercherà nella prima edizione della sua Institutio del 1536 in cui l’ecclesiologia ha un posto assai modesto nella sua trattazione – soprattutto se lo si paragona all’ultima edizione del 1559 in cui la problematica ecclesiologica comprende l’intero libro quarto. E’ lecito porre la domanda: da dove Calvino ha ripreso questa concezione di “chiesa madre” che sino a questo momento non era rintracciabile nei suoi scritti? Calvino conosceva certamente questa nozione avendo frequentato i Padri della chiesa, ma è a Strasburgo e in particolare alla scuola di Martin Bucer che questa nozione diviene reale si impone di necessità. Certamente Calvino l’aveva incontrata già nel Grande Catechismo di Martin Lutero, ma è nel suo esilio a Strasburgo, a contatto con i riformatori di questa città, che scopre la reale “chiesa visibile” di matrice evangelica, diversa da quella di cui aveva fatto esperienza quand’era studente a Parigi e che lo aveva costretto all’esilio per non finire in prigione e rischiare la vita come era successo a molti altri.
   Nel suo scritto pastorale  Sulla vera cura d’anime pubblicato nel 1538, Bucer utilizza abbondantemente le metafore della paternità e della maternità della chiesa per sottolineare in particolare l’atteggiamento che i pastori devono avere nei confronti della loro comunità. L’amore che Cristo ha manifestato verso i suoi deve trovare – sostiene Bucer – una analoga relazione del pastore (Seelsorger) verso la comunità: il pastore “non deve porsi come un dominatore, essere scortese, al contrario deve essere umile e materno così come una balia si prende cura del suo bambino”. Calvino è però più audace di Bucer e, come abbiamo notato nella replica a Sadoleto, usa l’espressione “chiesa madre” propria della tradizione patristica, soprattutto di Cipriano e di Agostino, per non concedere nulla a Sadoleto. Non si tratta però di un espediente polemico per contrastare l’avversario, bensì di una convinzione teologica che Calvino motiva al seguito dell’interpretazione dei Padri della chiesa e del Nuovo Testamento. Mi limito qui a citare un brano significativo dell’ Institutio edita nello stesso anno 1539, dunque appena prima della sua lettera a Sadoleto:
  ” E’ chiaro dunque quanto sia necessario credere la chiesa, infatti per essere rigenerati in vita immortale bisogna che essa ci concepisca, come la madre concepisce i suoi bambini: per essere conservati occorre che essa ci intrattenga e ci nutra nel suo seno. Perché essa è la madre di tutti noi a cui nostro Signore ha affidato tutti i tesori della sua grazia: affinché essa ne sia custode e li dispensi per mezzo del suo ministero”.
   Questa nuova acquisizione della concezione della chiesa (visibile!) sarà mantenuta e ampliata nelle successive edizioni dell’Institutio. Non si tratta, come qualcuno ha voluto sostenere, di un aspetto “cattolicheggiante” dell’ecclesiologia di Calvino, bensì di una maturazione teologica del riformatore di Ginevra, formatasi nell’esegesi biblica, nella patristica e nella condivisone del ministero pastorale con i colleghi di Strasburgo. Nella chiesa riformata, a Strasburgo come a Ginevra, l’ecclesia mater è di casa, lo è nella pratica della catechesi, nella predicazione, nella pastorale, è nel cuore stesso del processo di riforma che non ha fine. Nel pensiero teologico di Calvino questa nozione assumerà, in crescendo, una funzione pedagogica e didattica legata in modo indissolubile all’esercizio del ministero pastorale. Alla scuola dell’unico maestro Gesù Cristo, dice Calvino nel commento a Efesini, “non dobbiamo vergognarci di essere discepoli della chiesa a cui Cristo ha affidato il compito di istruirci”. Calvino dunque ha inteso questa nozione di chiesa “madre dei credenti” in un orizzonte di educazione e di promozione della fede e della cultura evangelica che costituisce oggi ancora una sfida teologica, pedagogica ed ecumenica. Eredi di una cultura secolarizzata e di modernità avanzata, è utile ricordare che la catechesi e la formazione nella chiesa non sono un terreno che può essere trascurato o appaltato al primo arrivato; non è una forma di self-service, di un fai da te ecclesiastico, di un bricolage dove tutti fanno tutto. Chi la pensa così, ammonisce Calvino, contribuisce alla dissipazione della chiesa! La domanda che Calvino pone oggi al protestantesimo e all’ecumene cristiana è molto chiara: la comune “chiesa madre dei credenti” è ancora una madre feconda oppure è una madre sterile?
Ermanno Genre
 

Articolo tratto da:

FORUM (170) Koinonia

http://www.koinonia-online.it

Convento S.Domenico - Piazza S.Domenico, 1 - Pistoia - Tel. 0573/22046



Mercoledì 04 Novembre,2009 Ore: 16:12
 
 
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