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FIRENZE E DINTORNI.
DAL "DISAGIO" ALLA PROPOSTA

Forum redazionale di Adista, Roma 24 giugno 2009


Adista

Adista Documenti

Adista Documenti n. 80 del 18/07/2009


"IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO"... IL CONCILIO CHE DOBBIAMO RILANCIARE

DOC-2167. ROMA-ADISTA. "Il motivo ultimo che ci spinge a questo invito è la convinzione che il Concilio Vaticano II sia stato e sia ancora una grande grazia, la grazia maggiore donata alla Chiesa del nostro tempo, perché essa riscopra la forza del Vangelo nella storia vissuta. Ma con molti che nella Chiesa cattolica oggi stentano ad avere voce, avvertiamo la sofferenza di non vedere al centro della comune attenzione proprio il Vangelo del Regno annunciato da Gesù ai poveri, ai peccatori, a quanti giacciono sotto il dominio del male, mentre cresce a dismisura la predicazione della Legge. Il Signore ci ha chiamati a edificare non una Chiesa che condanna, ma una Chiesa che manifesti la misericordia del Padre, viva nella libertà dello Spirito, sappia soffrire e gioire con ogni donna e con ogni uomo che le è dato di incontrare". Sono queste le ragioni ideali che hanno indotto coloro che "condividono questa sofferenza", ma al tempo stesso "la speranza del Regno e la volontà di una Chiesa umile, vicina agli uomini e tesa a scrutare i segni dei tempi", a ritrovarsi a Firenze, il 16 maggio scorso, sul tema "Il Vangelo che abbiamo ricevuto". Cristiani con storie ed esperienze ecclesiali e politiche diverse, tornati a incontrarsi per discutere, insieme, del Concilio. Del Concilio in sé come evento, ma anche di quello spirito che aveva anticipato, preparato e poi contribuito a realizzare l'evento straordinario del Vaticano II. Il Concilio come processo, come cammino di "aggiornamento" della Chiesa come struttura, del rapporto tra Chiesa e mondo, del rapporto tra la Chiesa e le altre Chiese e confessioni religiose. Un cammino non sempre lineare, a volte interrotto, altre volte bruscamente deviato. Del resto il Concilio resta uno dei crucci per quella gerarchia che continua a vedere proprio nel Vaticano II l'elemento di maggiore contraddizione rispetto al mantenimento dello stato di cose presenti. Per questo dare del Concilio una lettura esclusivamente pastorale, in un'ottica di "continuità" e non di ‘rottura' rispetto al passato, è funzionale ad occultarne, quando non a narcotizzarne, la spinta riformatrice e di autentico e radicale rinnovamento.

Ma se la generazione che, nella sua dimensione politica oltre che ecclesiale, si è battuta per un profondo rinnovamento della Chiesa ha certamente perso - in una prospettiva storica - la sua battaglia di trasformazione delle strutture di potere, nella Chiesa come nella società, ha però seminato ragioni e dubbi che hanno continuato, seppure sottotraccia, ad operare e a dare frutti. Questa generazione di cristiani "adulti", allora come oggi, ha cambiato e continua a cambiare profondamente nella sostanza, anche se non ancora nelle forme, il modo di essere di tanta parte della Chiesa, dalle parrocchie ai seminari, dalla formazione dei laici cattolici alla dimensione sociale e politica. L'arretramento degli ultimi anni ha potuto solo in parte occultare questa novità. Ed è nel segno del Concilio, di come rilanciarne, viverne, proporne oggi i contenuti, che gruppi, associazioni, persone che per anni hanno continuato a fare il proprio percorso nella Chiesa, in modo più o meno esplicitamente critico, ma sempre alla luce del messaggio evangelico, sono tornati a incontrarsi e a confrontarsi.

Adista, che è nata per dare voce a tutti coloro che si battono, da tutte le posizioni e su tutti i fronti, per una Chiesa del Concilio e per una trasformazione della società nel segno della partecipazione, della solidarietà e del riscatto degli umili, negli ultimi mesi ha seguito con attenzione questo clima di rinnovato fermento che sta animando il mondo cattolico. Ha fornito spunti, pubblicato documenti, rilanciato iniziative, fornito cronache di numerosi eventi. Ma oggi ci è sembrato necessario fare qualcosa di più. Fornire ai nostri lettori, e a tutti coloro che seguono con interesse le vicende ecclesiali, un'occasione per fare il punto della situazione e per tentare di rilanciare il dibattito su quale Chiesa in quale società, passando dal momento del disagio a quello della proposta. Il Forum che vi proponiamo nelle pagine che seguono intende rappresentare esattamente questo: il tentativo di ripartire insieme per ripensare cieli nuovi e terra nuova.



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FIRENZE E DINTORNI. DAL "DISAGIO" ALLA PROPOSTA Forum redazionale di Adista, Roma 24 giugno 2009

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FEDE, CONCILIO, LAICITÀ, AUTONOMIA, POLITICA. DOPO L'INCONTRO DEL 16 MAGGIO, QUALE LAICATO CATTOLICO PER LA CHIESA E LA SOCIETÀ DI OGGI?


Forum redazionale di Adista

Angelo Bertani (direttore responsabile di "Adista"). Benvenuti a tutti, soprattutto a coloro che hanno fatto un lungo viaggio per venire. Non abbiamo volutamente preparato una scaletta predeterminata dei temi da toccare in questo nostro Forum in modo che la conversazione sia più spontanea. Il tema "Firenze e dintorni. Dal disagio alla proposta" nasce dalla nostra esigenza, come agenzia di informazione politico-ecclesiale, di fare il punto della situazione dopo l'incontro organizzato a Firenze il 16 maggio scorso, prendendo questo evento come rappresentativo dei vari incontri e delle diverse iniziative di "base" che si sono susseguite in questi ultimi mesi.

Abbiamo quindi sentito l'urgenza di tentare un primo sommario bilancio, di fare una valutazione, di sottolineare insieme a voi le questioni più importanti emerse dal dibattito fiorentino; e soprattutto abbiamo ritenuto importante cominciare a pensare al futuro, a partire dal ruolo che Adista, come strumento di informazione, può svolgere, su come la nostra agenzia può meglio mettersi al servizio di questa nuova e crescente sensibilità ecclesiale.

L'idea era quella di proporre tre spunti di riflessione a questa conversazione:

1.         Valutazioni, impressioni sullo status Ecclesiae, sulla situazione attuale dei cristiani, i motivi di disagio, a volte anche di polemica, che ci sono in questo momento nella Chiesa italiana. Il tentativo è di delineare i nodi di questo disagio.

2.         Il senso, in questo contesto di disagio o di inquietudine, di questo  fiorire di iniziative che testimoniano il desiderio di un rinnovato protagonismo, di cui l'incontro di Firenze è il segno più visibile.

3.         Dove andare, quale ci sembra l'obiettivo più importante per noi e cosa ci sembra sia stato percepito dai partecipanti all'incontro fiorentino e dagli osservatori di quell'evento.

Di cosa ha bisogno la Chiesa e la società italiana e quindi che tipo di servizio, che tipo di iniziative si possono creare. All'interno di questo terzo punto, siamo anche interessati a capire che cosa possiamo fare noi come agenzia di informazione politico-religiosa.

Giovanni Avena (direttore editoriale di "Adista"). Aggiungo alle parole del direttore il desiderio di approfittare di questo nostro incontro anche per avere da voi, che siete "esterni" ad Adista, ma che certamente ne leggete con attenzione i contenuti e ne seguite da molti anni le vicende, appunti e disappunti sul servizio fornito dalla nostra agenzia e su come migliorarlo.

Marcello Vigli (Comunità Cristiane di Base). Io considero Adista Segni Nuovi uno dei passaggi più significativi di questo particolare momento politico-ecclesiale: perché riesce finalmente a rompere la separatezza che finora c'è stata nel campo dell'informazione religiosa, intercettando in un alveo comune ciò che si muove nell'ampio fronte del "disagio" o del "dissenso". Ma per attenermi ai tre punti proposti alla nostra riflessione, devo anzitutto sottolineare che il disagio c'è, e si vede a tutti i livelli. L'abbiamo constato sabato 20 giugno a Roma, nel corso del Convegno organizzato da tante realtà ecclesiali di base sul Concilio Vaticano II. In quell'occa-sione sono emerse posizioni diversissime tra chi è convinto che l'evento Concilio sia da considerarsi archiviato e chi invece pensa il contrario. Io insisto nell'evidenziare gli aspetti di questo disagio.

E poi altre iniziative che vanno nello stesso senso di questo Forum e del Convegno di Roma: oltre all'incontro di Firenze del 16 maggio, penso all'iniziativa, promossa da Libera, che si terrà il 25 giugno; penso a Famiglia Cristiana che scrive "Signori della Chiesa, cosa dite nei confronti di ciò che sta avvenendo?". Sono forme significative di qualcosa di nuovo che sta nascendo, di qualcosa che si muove dentro una realtà ecclesiale per molto tempo silente o silenziata.

Che cosa c'è da fare? Una funzione che Adista potrebbe assolvere è quella di una mappatura dei siti, dei mondi, delle realtà presenti sul territorio, delle voci, anche piccole, che stanno nascendo, di tutto quanto sta fermentando dentro e fuori le realtà ecclesiali.

Romolo Pietrobelli (ex presidente della Fuci, dei Laureati Cattolici e del Meic). Le questioni poste sono enormi. Richiamerei l'attenzione sulla responsabilità laicale, il comportamento di una parte della gerarchia - della Cei in particolare - e sul tema più delicato che è, a mio giudizio, l'ermeneutica del Concilio, che continua a riproporsi, anche ai più alti livelli della gerarchia ecclesiastica.

 All'ultimo convegno diocesano di Roma, per esempio, organizzato a 10 anni dall'anno giubilare, l'inter-vento del papa è stato molto bello per i suoi due terzi, ma ancora ripetutamente prudente, direi preoccupato, rispetto alla questione dell'interpretazione del Concilio.

A mio avviso questa parte del discorso di Benedetto XVI ha soffocato la bellezza dell'altra, quella in cui il papa ha parlato della famiglia in modo molto aperto, confortante, responsabile. Inutile che giudichi il papa e aggiunga aggettivi e commenti alle sue parole, però - ripeto - c'è sempre questo discorso dell'interpretazione da dare all'even-to conciliare, noiosamente ripetuta, questa ermeneutica che è un tema dominante e che evidentemente è sotteso a tutte le iniziative che facciamo. Come viene giudicato il Vaticano II: continuità, discontinuità rispetto al passato? Dogmatico, pastorale; dogmatico e pastorale... è un tema che tocca tutti i gradini della dimensione ecclesiale, che coinvolge tutti, quelli che vogliono bene alla Chiesa come quelli che non le vogliono bene.

Secondo discorso: la responsabilità laicale è sempre più predicata e sempre meno agevolata e praticata in un contesto di reale agibilità, per i laici cattolici, di strumenti e strutture, sia in sede cittadina, che diocesana e nazionale.

Due esempi. Il primo lo prendo ancora dall'incontro di San Giovanni, al quale erano presenti più di 4mila persone. Anche per me si trattava di una verifica, la verifica di questo decennio di azione pastorale della Chiesa di Roma. Con la preparazione che doveva esserci stata, mi sarei aspettato un esame analitico e dettagliato della realtà ecclesiale diocesana, un ampio e articolato dibattito.

Invece, il compito di compiere la verifica è stato affidato ad un parroco di Roma, che ha fatto - per carità - una bellissima relazione sul piano dei contenuti. Niente da dire, però non si trattava affatto di una verifica degli ultimi dieci anni, dal Sinodo diocesano del 2000.

Si è completamente smarrito l'obbligo dell'analisi critica, dell'ana-lisi culturale: durante questo decennio era stato proposto il tema dell'e-ducazione dei giovani - di come si fa a essere cristiani e di come si fa a diventare cristiani per i giovani d'oggi - e il tema della famiglia. Ma non c'è stato nessun ragionamento organico preciso che manifestasse preoccupazione autentica.

Viene il dubbio che ci sia stata una ordinaria amministrazione in questi dieci anni; e che la relazione sia stata affidata ad un parroco significa che non c'è stato nessun gruppo di lavoro laicale che sia stato chiamato a riflettere su questi temi.

L'altro dato, sempre rispetto alla responsabilità dei laici, è quello del mantenimento nelle mani del cardinale Ruini del fatidico progetto culturale che è sempre stato un progetto condotto dai vescovi. Anche qui la totale assenza responsabile dei laici, perché ai vari incontri è stato invitato soltanto - come noto, con una selezione rigorosa - qualche laico ogni tanto. La conduzione era vescovile, la responsabilità era vescovile.

E poi sempre su questa linea devo esprimere un giudizio - ahimè - critico delle prolusioni del presidente della Cei - prima Ruini e adesso Bagnasco - alle assemblee dei vescovi.

Per dirla con molta fraternità, volendo bene alla Chiesa, ci sono stati discorsi per tre quarti influenzati da u-na valutazione politica, quindi dal sostegno che la gerarchia chiede alla politica: un atteggiamento che evidentemente prendeva atto, in maniera quasi definitiva, che i laici non hanno possibilità di parola, non soltanto nell'ambito politico, ma - ahimè - anche nell'ambito ecclesiale.

E ancora una cosa. Negli ultimi tempi, ovviamente per la carenza della presenza dei laici, determinata in gran parte dalla forte presenza sui temi politici dei vertici della Cei, sono emerse delle interferenza molto nette, molto gravi, anche da parte di qualche cardinale. Lo stato giuridico del cardinale dovrebbe ancora di più, rispetto a quello episcopale, indurre a cautela e prudenza nell'e-sprimere giudizi circa il fatto che il presidente della Repubblica abbia o meno fatto bene a prendere posizione sulla questione del decreto legge su Eluana e sulle polemiche che sono seguite alla sua morte.

In un contesto di questo genere mi pongo seriamente la domanda di come fa la Chiesa ad essere credibile nella sua opera di evangelizzazione. Parlo di quelli che non sanno niente né di Vangelo, né di lettura dei Testi Sacri, l'80-90% della popolazione.

I cespugli di piccole iniziative che sono nati costituiscono un indice di vitalità ecclesiale – certo – che però non riesce ancora a trovare espressione in maniera organica e compiuta.

Franco Ferrari (Centro "I Viandanti"). Per quanto riguarda Adista, trovo molto positivo il nuovo dorso arancione perché secondo me completa a 360 gradi il discorso dell'in-formazione religiosa, intercettando quel mondo che è più intra-ecclesiale e intra-istituzionale rispetto al tradizionale pubblico di Adista, ma che è ugualmente molto scontento della situazione politica ed ecclesiale del Paese. Attraverso "Segni Nuovi", Adista contribuisce a far conoscere questo scontento, che finora si era manifestato più sottovoce che pubblicamente, anche perché i media cattolici - mi riferisco in particolare ad Avvenire - che dovrebbe dare voce a queste realtà in fermento, operano una evidente censura. Venendo all'incontro di Firenze, io ne do una valutazione molto positiva da un lato, ma dall'altro sono preoccupato: nel senso che a Firenze si è svolto un incontro che definirei "generazionale"; di quella generazione che ha vissuto il Concilio o le sue immediate conseguenze. Non c'e-rano i giovani, non c'erano gli under 40. L'altro aspetto di preoccupazione - anche se sicuramente non era l'intenzione né di chi ha organizzato l'incontro né di chi vi ha partecipato - è che parlando del Concilio Vaticano II rischiamo il "reducismo", di diventare cioè come tante organizzazioni di ex partigiani o combattenti. Parliamo del Concilio come di un'epoca felice, di un'età dell'oro vagheggiata e mai più raggiungibile. Ne parliamo fondamentalmente al passato, in modo anche giustamente nostalgico, mentre invece credo che le tematiche conciliari siano accanto a noi o davanti a noi.

Soprattutto mi pare che, se è giusto e necessario prendere atto che c'è stato un depotenziamento del Vaticano II in questi ultimi decenni, non è che tale situazione si risolva solo perché organizziamo e moltiplichiamo le celebrazioni del Vaticano II o perché diciamo che è stato un fatto importante per la vita della Chiesa e della società. Le contraddizioni vengono risolte se si affrontano i nodi che sono rimasti ir-risolti. Cioè se si guarda con coraggio a quei temi che forse dovrebbero essere, se non oggetto di un Vaticano III, comunque affrontati a livello di un'ampia sinodalità.

Per quanto riguarda il discorso sul senso del fiorire di tutte queste iniziative ecclesiali a livello di base, per essere breve dico che condivido quanto detto da Pietrobelli, cioè che si tratta di fatti molto positivi, che manifestano quanto esista e sia reale il disagio nella Chiesa cattolica. Un disagio che per ora ha questa caratteristica: di essere puntiforme. Si tratta di una parcellizzazione, di una frammentarietà di esperienze di base che probabilmente non riuscirà in tempi brevi a essere ricondotta ad una certa unitarietà e che forse può trovare una significatività attraverso delle forme di rete.

Questo è per esempio uno degli impegni su cui si sta lavorando con il Centro "I viandanti". Perché, dopo l'incontro di Firenze e l'articolo che Giannoni ha pubblicato su Settimana, resta l'ipotesi di un Forum, da tenersi una o due volte all'anno, durante il quale si dibatteranno utilmente alcune questioni e io ri-terrei che una delle questioni fondamentali sia il tema ecclesiologico perché è un problema che va ad intercettare anche il discorso dell'unità della Chiesa: problema, oltre che teologico, di tipo di organizzazione che la Chiesa si vuole dare. Tema che forse non viene sufficientemente affrontato e che non viene portato a livello di dibattito del laicato. Rispetto al ruolo che Adista può svolgere, credo possa essere quello di dare voce a tutti questi cespugli, di censirli – come suggeriva Vigli – di documentare che c'è una realtà molto vasta e molto diffusa.

Serena Noceti (teologa, segretaria del Coordinamento teologhe italiane). Concordo con gli interventi che mi hanno preceduto circa l'importanza del fascicolo "arancione" di Adista, perché è utile anche perché permette di passare dal livello della notizia a quella riflessione. Non si tratta di materiale con un taglio "scientifico", ma contiene al-cuni spunti utili per alimentare il dibattito in questo delicato momento ecclesiale e politico.

Riparto anche io da Firenze dove ero presente. L'impressione è stata positiva per la ricchezza delle presenze ed il desiderio di incontrarsi e confrontarsi. Condivido però la preoccupazione per il segnale di forte debolezza che arriva dall'assenza dei giovani, che penso sia il problema di fondo in questa fase. Il 16 maggio era emersa una ricchezza di proposte di carattere operativo che credo meriterebbe di essere ripresa. Quindi in questo senso Adista potrebbe non solo dare voce alle tante istanze e proposte emerse dall'incontro fiorentino, ma anche recuperare alcune delle suggestioni contenute nella sintesi che Peyretti ha fatto del dibattito, contribuendo a diffonderle.

Rispetto al tema del "disagio", lo leggerei sotto quattro diversi aspetti. Il primo è quello già svolto da Ferrari, cioè il passaggio di generazione, perché mi sembra che la memoria del Concilio sia stata trasmessa solo in una forma indiretta. Tutti noi nati dopo il Concilio ci sentiamo suoi figli, ma non tutti hanno gli strumenti e la consapevolezza per poter cogliere in cosa è consistito il passaggio e quindi la discontinuità che si sarebbe creata. Sono d'accordo che il problema sia l'ermeneutica ecclesiologica. Il nodo, in particolare, è il tema del popolo di Dio - che è il tema rimosso per eccellenza - e la forma di Chiesa ad esso connessa. È la storicità del soggetto ecclesiale ad essere messa in discussione, insieme al modello di presenza della Chiesa nella storia.

Il dibattito sulla laicità di questi anni recenti ha in fondo voluto dire questo in Italia. Con una necessaria premessa - però - che non va assolutamente trascurata: entrambe le modalità di interpretazione del dibattito sulla laicità sono fondate sul Concilio, perché in realtà uno degli snodi di fondo - su cui si discute ancora troppo poco - è che ci sono posizioni diverse nei documenti conciliari e quindi la lettura un po' troppo ingenua fatta negli anni passati non favorisce in questo momento una ripresa critica di quegli stessi documenti.

Per quanto riguarda il passaggio generazionale, a mio parere l'unica possibilità che abbiamo è quella di fornire alle nuove generazioni, nate dopo il Concilio, degli strumenti di analisi critica della realtà in una maniera sistematica e strutturata. E qui arrivo alla mia preoccupazione su Firenze: ho l'impressione che non si sia pensato il momento di Firenze all'interno di un percorso più ampio, con uno sguardo sul futuro. In questo senso, a mio parere, va anche l'idea di organizzare una serie di forum, o di convegni, una o due volte l'anno e che si pensi di esaurire il processo di venuta a presenza, di venuta a pensiero della realtà, esclusivamente con una serie di eventi di tipo assembleare. Io credo che i convegni siano sempre utili, ci permettono di vivere insieme, scambiarci idee e confrontarci sulle nostre convinzioni e punti di vista, ma non influiscono sui processi strutturali.

Qui arrivo all'ultimo punto, che secondo me è quello del disagio maggiore: sostanzialmente noi siamo in una fase ancora di passaggio dal modello tridentino di Chiesa, che si fonda su un principio di autorità, perché è il principio di autorità che rende possibile l'unità del corpo sociale.

L'ecclesiologia del Vaticano II, invece, non vive del principio di autorità, ma del principio della soggettualità cosciente, responsabile e libera di tutto il popolo di Dio. E vive anche dei processi di sinodalità.  Esperienze come quella di Firenze nascono dalla possibilità dell'auto-coscienza riflessa dell'essere popolo di Dio, ma senza che ci sia un processo di strutturazione progressivo e complessivo di Chiesa e di forma di Chiesa.

Io penso che se vogliamo influire in qualche modo sui processi trasformativi non possiamo semplicemente limitarci a metterci in rete: è un primo passo ma dobbiamo studiare una strategia complessiva di penetrazione di quell'ambiente che sente il disagio, e che in questo momento semplicemente sta ai margini oppure tende ad allontanarsi.

Mancano spazi volutamente dati per ascoltare la vo-ce di chi ha delle competenze professionali anche in altri campi e quindi vorrebbe offrirle nel contesto ecclesiale. Legato a questo c'è tutto il discorso della teologia: qualcosa si sta muovendo, ma questa è una Chiesa che non ha teologi in grado di parlare, con una teologia afona e ancora non sufficientemente in a-scolto dei linguaggi e dei paradigmi che nascono altrove: dopo il Vaticano II questa era la stata la grande sfida della teologia, un po' abortita a mio giudizio; oggi si avverte la necessità di un maggiore confronto e una migliore ricerca, guidata da una maggiore libertà e responsabilità in teologia.

Dico un'ultima cosa, riprendendo ciò che già qualcuno ha accennato: l'ultima preoccupazione su Firenze riguarda il rischio di autoghetizzazione, di sentirci una minoranza pensante, significativa e di lasciare il popolo devozionalistico a sé. Questo è un rischi che vedo molto presente.

Romolo Pietrobelli. Vorrei chiederti, Serena, se ritieni ci sia nella Chiesa gerarchica imbarazzo e sofferenza in ordine agli interventi del card. Martini, che mi sembrano di grande rilievo, specialmente le indicazioni contenute nei suoi ultimi due volumi. È vero, come io percepisco, che c'è una insofferenza per il parlare e lo scrivere di questo eminentissimo testimone della nostra Chiesa attuale, e timore a toccare i temi che lui non ha invece paura di affrontare?

Serena Noceti. Credo di sì. Ma c'è tutta una parte di teologi che dice: "Meno male che parla il card. Martini e che qualcuno ascolta"...

Luigi Sandri (Noi Siamo Chiesa). Il mio è un intervento che pronuncio anche a nome di Vittorio Bellavite, che avrebbe desiderato molto essere qui con voi oggi, ma non gli è stato possibile. Io credo che tutte le nostre interessanti osservazioni fatte si-nora vadano proiettate in una dimensione internazionale. L'Italia è solo una piccola provincia, per di più berlusconiana. Se noi guardiamo la Chiesa italiana dal mondo, cioè superando gli orizzonti nazionali, le cose sono molto differenti. E la differenza fondamentale è che guardando la Chiesa da fuori dell'Italia la speranza cresce, perché fuori da qui - dove capita ancora che un monsignore possa alzare un telefono e far cadere un governo - ci sono delle esperienze ecclesiali molto interessanti; è vero, sono poco conosciute anche perché moltissime esperienze si fanno ma non si dicono. Ma esistono. Ci sono in Sudamerica, come in Africa preti sposati che dicono messa. E il vescovo lo sa, e i fedeli anche... e ci sono esperienze reali di collegialità pratica nelle parrocchie..

Questo per quanto riguarda la Chiesa vera, quella che vive la quotidianità delle relazioni nei diversi contesti sociali ed ecclesiali. L'atra Chiesa, quella del potere, è arroccata nella sua struttura che definirei "totalitaria". Solo nella Chiesa cattolica il pontefice nomina i cardinali che poi eleggeranno il suo successore. Il problema della nomina dei cardinali è di una gravità assoluta perché essi rispondono al papa e a nessun altro. Eppure, in un contesto del genere, ci sono vescovi autorevolissimi, basta citare Ivo Lorscheider in Brasile, che non sono stati fatti cardinali perché non erano in linea con la Curia vaticana. C'è quindi una distonia totale tra quello che potrebbe rappresentare per tanti credenti e per il mondo una certa Chiesa e l'immagine che l'attuale gerarchia intende comunicare di sé e della comunità ecclesiale.

Detto ciò, io penso che - l'ha spiegato benissimo Serena Noceti - il problema di fondo sia il Concilio, o meglio, come si interpreta.

L'insistenza di Ratzinger sull'ermeneutica della continuità è di una gravità assoluta perché è impossibile riformare la Chiesa con quella premessa e quindi la difficoltà, la sofferenza all'interno del corpo ecclesiale aumenterà fino ad esplodere. Perché, è bene che ce lo diciamo, le contraddizioni prima o poi verranno a galla, anche se - soprattutto in Italia - la gerarchia fa finta di nulla, ignora i problemi e tira a campare.

Per fare un passo in avanti secondo me, soprattutto rispetto ai giovani che sono i grandi assenti, serve un vero, serio, aperto dibattito. Se tu dici: "Facciamo un grande convegno e parliamo dell'amore, e dite ciò che volete sulla pillola, la sessualità, ecc.." e quello che emerge da questi incontri ha poi un significato per le decisioni che verranno prese, qualcosa cambia per forza. Certamente il popolo di Dio, e specialmente i giovani, torneranno ad appassionarsi delle vicende ecclesiali. Ma se tutto in questa Chiesa, soprattutto italiana, è stato stabilito a priori sui punti nodali della sessualità, del celibato, del ruolo dei laici, delle donne, ecc. e deve rimanere immodificabile, i ragazzi continueranno a disinteressarsi delle loro comunità ecclesiali. Anzi, le abbandoneranno in numero sempre maggiore. Non è possibile che a 40 anni dall'Humanae vitae la gerarchia continui a ripetere sempre la stessa solfa. E qui si apre una questione: o Dio ha stabilito che la sessualità va regolamentata secondo quanto affermano i documenti magisteriali, oppure siamo di fronte ad una oppressione spaventosa, alla volontà di pochi di imporre pesi enormi che Dio non ha voluto per i suoi figli. Questo è il nodo fondamentale. Quando la gerarchia afferma: non possiamo cambiare la verità, la questione da dirimere è questa: ciò che voi proclamate, Dio lo vuole o non lo vuole? Se non lo vuole, chi è il papa che osa mettere questo peso sulla coscienza e chi è il vescovo che dissente e non osa denunciare questa ingiustizia? Un pastore che nomina Dio quando Dio non c'entra è in stato di peccato mortale. Se non vanno all'inferno loro, non ci va nessuno.

Perché Dio è il sacrario della coscienza, soprattutto dei giovani. E perché mai un giovane dovrebbe ascoltare chi millanta di parlare in nome di Dio? Eppure ormai tutto viene fatto in nome di Dio.

Ho lavorato diversi anni in Medio Oriente, come corrispondente dell'agenzia Ansa. Quando si parla in nome di Dio a me si rizzano i capelli perché di solito l'uso strumentale di Dio legittima ogni tipo di violenza. Bisogna finirla di nominare Dio, e cominciare a dire "secondo me", tanto più perché il Vangelo non parla della maggior parte degli argomenti per i quali si chiama in causa la verità divina. Nella Chiesa, è vero, talvolta si leva la voce del card. Martini, che anche nel suo ultimo libro ha detto alcune di queste cose. Anche se, quando ha presentato il suo libro, ha fatto una lavata di capo alla stampa come se i giornalisti non avessero capito il senso delle sue affermazioni. Mi dispiace, ma la stampa ha capito benissimo. Capisco che Martini subisce delle pressioni, però dobbiamo essere adulti, soprattutto da cardinali.

Passando alla questione della collegialità, essa serve a parlarci: perché in Italia non si fa collegialità? Perché non si può discutere. E perché non si può discutere? Per il principio, giustamente richiamato da Serena Noceti, che la gerarchia decide sine populo. Ha deciso quei punti chiave che riguardano sempre la sessualità e la legge naturale, questo interessa in questo Paese, non può discutere perché sarebbe contraddetta e quindi non può discutere per nulla. Ma non si può discutere in questo Paese neanche di cose banali dal punto di vista teologico, come sul Concordato. Avete mai visto una discussione franca, pubblica, con posizioni diverse sul tema del Concordato nei vari convegni ecclesiali? Mai. Questa Chiesa, in questo Paese specialmente, è stata scientificamente e deliberatamente privata della possibilità di discutere alla luce delle Scritture e dello Spirito Santo. Questo è il punto. Senza una discussione sulla laicità vera non si va da nessuna parte. Ma la gerarchia non discuterà mai della laicità, né accetterà che i teologi e i credenti ne dibattano seriamente, perché affrontare certe questioni minerebbe le scelte strategiche compiute dalla Cei negli ultimi decenni. Basti ricordare il referendum del 2005: poteva Ruini, sempre in nome di Dio, dire: "Disertate le urne"?

In un Paese in cui viviamo una situazione gravissima, abbiamo bisogno non di un profeta, che è troppo impegnativo, ma di gente che dica quello che pensa con coraggio e questo servirà alla Chiesa di domani, perché cosa risponderemo a chi ci chiederà: "Perché hanno taciuto?".

Per non creare scandalo, risponderà qualcuno. Per non turbare la "comunione ecclesiale". Ma nella Chiesa, è necessario rendersene conto, il concetto di "comunione ecclesiale" è usato come un bavaglio alla libertà di coscienza e alla libertà di pensiero. Con la "comunione ecclesiale" hanno sabotato un referendum sulla fecondazione assistita e - soprattutto - hanno messo su il signor Berlusconi, salvo poi oggi fare qualche piccola critica, per avere le mani libere e cambiar cavallo, se e quando sarà opportuno. E in tutto questo - e concludo - è mai possibile che questa piccola Pravda italiana che è l'Avvenire escluda scientificamente voci differenti da quelle ufficiali, le quali - peraltro - spesso non rappresentano che se stesse?

Francesco Cagnetti (La Tenda). L'esperienza della Tenda è nata a causa del disagio che provavano molti credenti, qui a Roma, già da molti decenni nei confronti di una Chiesa locale che per molti aspetti delle sue strutture e della sua condotta rappresentava un allontanamento dal Vangelo, un ostacolo per la crescita cristiana dei fedeli. Inoltre, all'interno delle realtà parrocchiali praticamente non vedevamo la possibilità di intraprendere discorsi realmente liberi, perché anche laddove un parroco abbia la capacità e la voglia di fare qualcosa, lo fa sempre in una prospettiva che definirei "pedagogica": ci sono i fedeli che devono apprendere e lui che deve insegnare.

E allora tanti anni fa noi abbiamo pensato – e continuiamo a farlo – di riunirci, nella speranza che un domani sia possibile discutere liberamente anche all'interno delle parrocchie. Nell'attesa di quel momento, noi intanto dibattiamo di questioni e problemi che riguardano la Chiesa ed il nostro essere cristiani senza remore, senza impacci di nessun genere.

Nell'ottobre 2007, abbiamo fatto un Convegno di studio e di condivisione sui "poveri e la Chiesa", durante il quale abbiamo riesumato dei documenti dell'epoca del Concilio, in particolare i discorsi del cardinal Lercaro, li abbiamo associati ad una serie di esperienze vissute in diverse parti d'Italia da gruppi, realtà diverse che hanno lavorato nel campo della carità e della vicinanza coi poveri.

Questo convegno ci ha portato a riflettere un po' al di là di ciò che Lercaro sosteneva, cioè dobbiamo essere non più una Chiesa per i poveri ma una Chiesa dei poveri, cominciando a cambiare il nostro modo di essere. Aveva fatto anche una specie di scaletta, di strategia: intanto cominciamo ad abolire titoli onorifici e privilegi, poi facciamo una vita più sobria. Tutte cose giustissime, però penso che il nodo sia più profondo: finché avremo una Chiesa strutturata in questa maniera rigida, piramidale, con il Vaticano che in qualche modo dirige e controlla tutto ciò che avviene nel mondo cattolico, la Chiesa non potrà mai essere una Chiesa povera. Quindi il problema della povertà della Chiesa è un problema ecclesiologico: cioè, finché non verrà restituita ai vescovi piena dignità e autonomia, finché non si ritornerà alle forme originarie del rapporto tra le varie diocesi e il papa - cioè a considerarlo come un punto di riferimento per questioni su cui c'è disaccordo -finché questo non avverrà, finché ci sarà questo organismo, uno Stato addirittura, che domina ogni cosa, il discorso della povertà della Chiesa non potrà fare passi in avanti. Capisco che è un obiettivo utopistico, ma bisogna cominciare a guardare in questa direzione: per questo sono d'accordo con chi di voi ha detto che non basta che ci riuniamo per evocare il Concilio Vaticano II, ma che dobbiamo anche cominciare ad approfondire certi temi del Vaticano II in rapporto alla situazione attuale.

Al convegno romano sul Concilio del 20 giugno sono state dette molte parole importanti, è stata un'occasione per conoscerci, ma è rimasta sfocata la parte che avrebbe potuto essere più interessante e cioè la parte propositiva, o perlomeno programmatica, rispetto alle linee essenziali di un futuro lavoro comune. Sotto questo profilo sono d'accordo con chi dice che bisogna dare a questi incontri una forma più strutturata, nel senso che si deve cominciare davvero ad approfondire questi problemi insieme, ciascuno con il suo contributo.

Quanto al rapporto con le nostre parrocchie, i membri della Tenda sono tutti inseriti nelle nostre parrocchie come catechisti, come animatori ecc. e io credo che questo sia importante: mantenere un legame con le strutture diocesane, perché il rischio che corriamo è di perdere il contatto con la maggioranza dei credenti, che è poi ciò che fornisce alla gerarchia l'alibi per il mantenimento delle cose presenti; perché si potrà sempre dire: "Ah, ma voi pensate a cose strane, mentre la gente vuole altro"; dove l'"altro", è – in sostanza – ciò che la gerarchia fa credere e volere ai praticanti.

Per quanto riguarda Adista: credo che sia giusta la proposta che l'agenzia dia spazio a questi contributi e quindi fornisca uno strumento di comunicazione più legato a questa realtà molteplice che sta e-mergendo. Grandi prospettive di cambiamento mi pare che per ora non ci siano, ma questo lavoro che stiamo facendo col tempo sicuramente darà i suoi frutti.

Maurizio Mannocci (La Rosa Bianca). Il disagio c'è, è presente; ma è un disagio, non è un dissenso: l'hanno detto benissimo a Firenze; prima del Convegno, nei materiali preparatori, ed il 16 maggio è stato riconfermato.

Ciò che sta montando è un fenomeno di questi ultimi anni, sicuramente esacerbato da progressivo atteggiamento di chiusura assunto dalla gerarchia; questo atteggiamento esisteva anche prima, solo che adesso il disagio della base cattolica emerge oggi maggiormente perché sempre più si chiede ai laici di sottoscrivere ma non di pensare. Noi, come Rosa Bianca, questo disagio lo avvertiamo profondamente perché è fonte di sofferenza , come lo è qualsiasi separazione non voluta. Va interpretato con attenzione, ma evitando che divenga dissenso. Noi cosiddetti "laici" dovremmo protestare meno e produrre di più, scrivere di più, "fare teologia" nella vita di o-gni giorno, nelle scelte di ogni giorno, declinando il verbo "amare" secondo la nuova declinazione del III° Millennio: più sul come che sul perché... accogliere il diverso, il migrante, il gay, il divorziato, vivere la propria li-bertà di scelta su co-me vivere o come morire… Insomma contribuire con contenuti intelocutori che invitino ad una ricerca comune…non ad una contrapposizione… La contrapposizione la lasciamo a chi nella Chiesa s'illude di evangelizzare con le leggi più che con l'amore.

Tonio Dell'Olio (Libera-Cipax). Io non lo so se ho fatto bene a venire, lo dico con grande semplicità. Seguo con molta attenzione questo dibattito, ma mi interessa ad un livello soprattutto intellettuale. La mia non intende essere una critica, ma una disamina. L'ambito del mio impegno infatti, mi verrebbe da dire, sarebbe lo stesso, che ci fosse o non ci fosse la Chiesa. Vi racconto un aneddoto: quando ho detto al mio vescovo che da Pax Christi mi sarei orientato più decisamente su Libera, lui si è preso una settimana di tempo per darmi una risposta, che peraltro non gli avevo chiesto, ma che non mi dispiaceva ricevere. Alla fine la sua risposta è stata: "Tu sai che un paio di volte il card. Ruini mi ha telefonato chiedendomi di riprenderti in diocesi perché stavi combinando troppi guai in giro per l'Italia. Penso però che il tuo impegno in Libera piuttosto che in Pax Christi possa essere più proficuo perché tocca temi che non sono ecclesiali. Parlerai della legalità, delle mafie: forse questa è la tua strada". Io l'ho ringraziato, ho letto i segni dei tempi anche lì, nel senso che il Signore forse si serviva anche di questa circostanza.

Ma la gente che in-contro non avverte il disagio o il dissenso. Anche se, quando vede un modo di essere Chiesa differente, se ne accorge, mostra interesse e disponibilità.

Sono d'accordo con Luigi Sandri: in quelle occasioni capisci che davvero quando le persone incrociano una Chiesa che è capace di condividere il disagio, la povertà allora dicono: "Questa è la Chiesa che vorrei". Ma è così in quel momento; prima quelle persone non sentivano la mancanza della Chiesa. Anche se poi sarebbe interessante valutare la partecipazione giovanile che riesce a riempire le piazze in certi grandi eventi come le Giornate Mondiali della Gioventù. Salvo poi continuare a fare la propria vita a prescindere da ciò che dice la Chiesa...

Io ribalterei davvero la discussione per renderla, dal mio punto di vista, più efficace: piuttosto che chiedersi Concilio o non Concilio, penso che dovremmo partire da alcuni temi. La sessualità, certo; ma anche la socialità. Di lì scopriremmo come evidentemente il Concilio ha inaugurato un nuovo modo di essere accanto alle gente o comunque ne ha intuito alcuni processi.

Poi, diciamocelo francamente: la parola dissenso ci vuole. E anche quando si parla del Concilio. Non tutti noi, ad esempio, e non tutti nella Chiesa hanno condiviso le prospettive del Concilio. Io mi sarei aspettato parole diverse sulla pace dal Concilio e ho sentito una sorta di arretramento, se non di tradimento, da parte del Vaticano II rispetto alla Pacem in Terris. Però accolgo quell'apertura e quell'arretramento non come qualcosa di immutabile, dato per sempre, ma come un processo, un percorso. Questo sì mi riguarda. Però se noi continuiamo a porre i problema a partire dal Concilio e non a partire da questioni assai più concrete e incarnate nella storia e nella società rischiamo di affrontare le sfide che abbiamo di fronte in modo falsato.

In questo senso, a mio giudizio, paghiamo anche lo scarto generazionale, perché probabilmente quello che dicevo per la gente comune, vale al quadrato per i giovani, nel senso che fanno la loro vita, non si preoccupano di questioni che pure a noi sembrano tanto importanti. Le vivono come qualcosa di astratto e lontano.

Davvero ci deve essere un cambio di prospettiva: i temi devono essere i problemi, i disagi veri, e il Concilio la declinazione di quei temi, il percorso che ciascuno dovrebbe intraprendere per leggerli ed affrontarli. In ogni caso, non c'è dubbio che all'interno della comunità cristiana c'è una percezione, sicuramente molto più ampia rispetto a qualche tempo fa, di un - diciamo così, tanto per mediare - "disagio dissensuale" rispetto ai continui arretramenti della Chiesa rispetto alle grandi sfide del nostro tempo.

Valerio Gigante (redazione di "Adista"). Vorrei riprendere un paio di argomenti svolti negli interventi precedenti per riproporli alla vostra attenzione. Mi sembra anzitutto importante sottolineare il pericolo che il discorso sul Concilio venga ridotto a questione da intellettuali o - peggio - a qualcosa di folkloristico, un po' come le associazioni degli ex combattenti e reduci.

Insomma, una situazione in cui quelli "nostalgici" del Concilio è bene che abbiano il loro spazio, la loro riserva indiana; si ritrovino, organizzino i loro convegni... e questo è anche uno dei rischi che mi sembra corra l'evento di Firenze, nell'ipotesi - peggiore - che momenti come questo vengano alla fine ritualizzati, addirittura istituzionalizzati come una sorta di valvola di sfogo. "Si sentono a disagio? Si sfogassero pure un po': finito il carnevale, però, si ricomincia a fare Chiesa così come diciamo noi". E per "noi", evidentemente, intendo la ge-rarchia. La prospettiva del che fare dopo Firenze mi pare acquisisca urgenza proprio alla luce di questo pericolo che incontri del  genere portano inevitabilmente con sé.

L'altro aspetto legato all'"evento Firenze" che mi sembra importante rimettere al centro della discussione è la saldatura - no, forse saldatura è troppo - diciamo la rinnovata possibilità di incontrarsi e di interloquire, creatasi tra anime diverse del mondo ecclesiale che per molti anni non si sono parlate e a volte si sono guardate in cagnesco. C'è stato un periodo - quello che noi chiamiamo Concilio in fondo non è solo l'e-vento conciliare in sé, ma tutto il processo che ha preceduto, preparato accompagnato e poi seguito il Vaticano II - che direi si conclude a metà anni ‘70, in cui le diverse anime, quelle più critiche e barricadere, quelle che tentavano in maniera a loro giudizio più saggiamente riformista di stare dentro la Chiesa per cambiarne i meccanismi dall'interno, si sono parlate e hanno fatto battaglie importanti insieme. Penso al movimento del ‘68 cattolico, ai "cattolici del no" al referendum del 1974, alle tante esperienze politiche che vedevano insieme, oltre e contro la Dc, anime diverse del mondo ecclesiale di base.

Poi queste diverse tendenze conciliari hanno preso strade diverse. Si può dire che entrambe abbiano vissuto una sconfitta, che è ecclesiale, ma che più in generale riguarda tutta intera una generazione che ha tentato "l'assalto al cielo". Ma questa sconfitta non mette in ombra il fatto che lo spirito conciliare ha proseguito la sua strada: nonostante gli arretramenti, le censure e le manipolazioni esso si è fatto storia nel-l'America Latina, nei discorsi per la legalità, per la pace e la nonviolenza. Seppure sottotraccia, tutto questo ha continuato a vivere. Il Concilio è lì, nessuno può negarlo. La storia ha camminato. E indietro non torna. Si arretra, ma certe conquiste restano ineliminabili.

Semmai sono mancate le occasioni di dibattito, confronto, legame tra tutte queste diverse realtà che resistendo alla normalizzazione che il contesto ecclesiastico e politico ci ha imposto in questi ultimi 20 o 30 anni, hanno continuato a portare avanti quello spirito. Oggi c'è un nuovo fermento: come si può intercettare, come fare in modo che si crei una opinione pubblica nel mondo cattolico-cristiano?

Perché se i giovani non sono al nostro fianco è anche per questo: perché non c'è di fatto opinione pubblica e "la piccola Pravda" di cui diceva Luigi Sandri, in-sieme ai giornali laici che a volte fanno informazione religiosa in modo peggiore di quanto non facciano quelli cattolici, danno un'im-magine monolitica di Chiesa che non ne rappresenta tutte le diverse articolazioni e sensibilità.

Giovanni Avena. Vorrei introdurre qualche altro elemento per continuare a discutere e chiarirci, visto che siamo meno che a Firenze e quindi è più facile colloquiare. Esiste un problema a parlare di "dissenso"? E questa parola non è stata troppo demonizzata?

Può darsi che sia una questione terminologica: evitare certe parole per non impressionare i fedeli semplici, che si scandalizzano se sentono dire dissenso dalla gerarchia, e per non impressionare il buon parroco o il buon vescovo che non vuole essere aggredito dal dissenso.

Però qui ce lo potremmo chiarire: il dissenso c'è stato, c'è ancora. C'è dentro la Chiesa, non solo come comunità di tutti i cristiani, ma anche dentro la gerarchia, naturalmente camuffato. Anche il buon Martini quando dissente deve poi dire che i giornalisti hanno capito male...

Chiedo per esempio a Pietrobelli: è proprio vero che chi ama la Chiesa criticandola la ama di meno di chi la ama e basta? Non è possibile che quelli che la criticano la amino almeno quanto quelli che non la criticano? Serena Noceti parlava di lacune nell'incontro di Firenze, di un percorso senza un'idea di futuro, ma è possibile che si possa fare un percorso che preveda che i cristiani possano prendere la parola? Io chiedo: come e dove questo dibattito? Sulla stampa, in assemblee? Perché qui a deliberare sono solo i chierici. Su tutto. Stabiliscono - come diceva Luigi Sandri - dove c'è Dio e dove non c'è.

E allora: è possibile che si raggiunga un livello in cui i laici, le donne, i giovani, possano riprendere la parola: io mi accontenterei che prendessero la parola liberamente, ma poi - eventualmente ci prendessero gusto - potrebbero anche deliberare. Non vedo infatti perché sui temi che riguardano le donne, la sessualità, i giovani, la scuola, la professione, l'eco-nomia, i laici non possano contribuire alla produzione di documenti, all'elaborazione delle scelte strategiche della Chiesa.

Ultimamente c'è stato un vescovo, mons. Ghidelli, che all'ultima Assemblea Generale della Cei si è lamentato pubblicamente che i documenti della Conferenza Episcopale sono spesso infarciti di pensieri e percorsi che provengono dalla redazione di Avvenire, e precisamente - anche se questo lui non l'ha detto, ma si capiva benissimo - dal suo direttore, che è lì ancora come longa manus del card. Ruini; così come a gestire la Cei, e i suoi collegamenti con il mondo economico, sociale e politico è ancora il card. Ruini, attraverso il suo progetto culturale.

In un contesto del genere, come è possibile che questa cattolicità abbia la possibilità di prendere la parola liberamente su questi temi, se noi già troviamo difficoltà a prendere liberamente la parola anche in ambiti come quello di Firenze? Perché a Firenze - va detto - qualche "disagio sul disagio" lo abbiamo avvertito.

Mario Campli (Collettivo europeo delle Comunità di Base). Non sono stato fisicamente a Firenze ma, leggendo Adista e parlando con chi ci è venuto, sono stato molto felice che ci sia stata questa "autoconvocazione" e sono molto attento a seguirne gli sviluppi.

I due parametri che ha utilizzato Marcello Vigli - disagio e dissenso - mi paiono due parametri utili per una ricognizione, per misurare l'attualità e il peso di questi mondi che si sono ritrovati il 16 maggio. Così come concordo con lui sull'esigenza di una mappatura di queste realtà. Mentre è stata pronunciata questa parola pensavo a quel libro L'altra Chiesa in Italia, edito da Mondadori nel ‘70, che fece scoprire all'opinione pubblica che c'era disagio e dissenso. E che c'erano molti modi di essere Chiesa, dentro e fuori le parrocchie. Però un lavoro di quel genere merita tempo e noi invece dobbiamo star dentro alle dinamiche di trasformazione di questi mesi.

Vengo quindi al secondo punto. Per analizzare le ragioni di questo fiorire di iniziative, andrebbero però a questo punto abbandonate le categorie del "disagio" e del "dissenso", perché potrebbero essere più dannose che utili. Quello che invece dovremmo comunicare con i nostri strumenti è una normalità - deve essere una normalità - di fare Chiesa. Quella che vorrei è una Chiesa in cui si viva la comunione delle differenze, in cui tutti si sentano convocati e responsabili. Anche Ruini, che se lo scorda, è un convocato come gli altri. La normalità è l'assemblea delle diverse risposte: noi dobbiamo cercare di evitare di ripetere un po' la storia degli ultimi 40 anni, che conosciamo bene; dovremmo evitare di cadere nel rischio che si ripeta un pezzo di quella storia: proprio per essere figli del Concilio, dobbiamo ritenere normale una comunità ecclesiale plurale, ed anormale una configurazione nella quale questa realtà venga negata.

Noi dobbiamo coltivare quella speranza. E l'accento lo metto sul coltivare: seminare, innaffiare, potare. Bisogna dare continuità a voci come quelle di Firenze: Adista è già ricca, con i suoi quattro numeri. Quello dell'informazione non è il mio mestiere, quindi non mi arrischio a dare consigli. Però a mio giudizio è necessario dare voce e possibilità di esprimersi e farsi conoscere a tutte quelle realtà ecclesiali che oggi sono in fermento, senza gerarchie o primogeniture. Registrare questa pluralità e affermare che è normale è una grande operazione di marketing.

Credo che molto spesso ciò che noi definiamo dissenso non è altro che teologia. Perché se uno afferma che oggi i credenti devono sospendere l'uso della parola Dio, come ha affermato Luigi, io credo che stia facendo un'analisi teologica, oltre che politica ed ecclesiale.

Bisognerebbe organizzare questo collegamento. A Vienna, dove dopo sei anni si sono ritrovate per un incontro le comunità di base di tutta Europa, i promotori hanno cercato di informare sul fenomeno delle reti. L'esperienza che ci è sembrata più interessante e quella delle Redes cristianas in Spagna, 120-150 realtà che hanno ac-cettato il compromesso minimo di essere stabilmente in rete. Sarei contento se si raggiungesse almeno questo obiettivo, che tutte queste realtà - fermo restando che nessuno deve rinunciare alla propria storia - accettassero di essere stabilmente collegate in modo che possa esserci una comunicazione più vasta a livello ecclesiale di base.

E poi bisogna guardare alla Chiesa ed alla società fuori dai nostri angusti orizzonti italiani, come ha già detto Luigi Sandri.

A Vienna l'incontro del Collettivo europeo delle CdB è stato ospitato da una parrocchia, all'interno della quale ci sono anche due comunità, diretta da una gentile signora che mi pare lì chiamino "assistente ecclesiale". Lei percepisce uno stipendio per svolgere questo lavoro. Prima al suo posto c'era un prete. Solo che alcuni anni fa è andato in pensione, e non è stato possibile sostituirlo. L'an-ziano ex parroco oggi vive dall'altra parte della strada e la domenica viene in parrocchia e celebra la messa. Ma la parrocchia è amministrata da una laica. Ci è stato detto che situazioni come questa, nelle parrocchie del nord Europa appartenenti a Santa Madre Chiesa, sono molto diffuse, con la benedizione di vescovi e cardinali. Insomma, nonostante i documenti della gerarchia e dei vescovi, nonostante la riproposizione di un modello di Chiesa tridentino, lo Spirito sta già operando. Con strumenti "inusuali", come la secolarizzazione, il calo delle vocazioni, l'età media molto avanzata di preti e religiosi. Ma sta operando. E non si può fermare.

Per quanto riguarda la Chiesa di base, dobbiamo - a mio giudizio - e-vitare due difetti: l'au-toreferenzialità e l'iper-organizzatività.

Per quanto riguarda invece Adista io trovo che sia uno strumento utile e penso quindi che debba continuare il suo lavoro così come lo sta facendo, prendendosi carico anche del compito di dare voce e continuità a questa esperienza originale e significativa che abbiamo visto realizzarsi a Firenze.

Marcello Vigli. Ciascuno di noi ha trovato il tema sul quale impegnarsi: pace, legalità, cultura, teologia. O-gnuno continua a fare la sua strada: non possiamo a mio giudizio pensare di trovare qui, in questa sede, un tema per un comune impegno. Dobbiamo, invece, cercare più realisticamente un terreno d'intesa nell'in-dividuazione dei problemi più urgenti. Possiamo cominciare ad interrogarci se esista ancora una radicale diversità fra clero e laicato dopo la definizione della Chiesa come popolo di Dio, al cui interno ci si distingue per funzioni. Non ha pertanto senso parlare ancora di teologia del laicato, quasi fosse uno status. Essa va riassorbita totalmente all'interno di una teologia che affronti il rapporto tra profezia e istituzione nella Chiesa. Nella gestione di questa istituzione ci sono tanti laici quanti preti. Non basta quindi essere laico per rappresentare un punto di vista altro rispetto al panorama ecclesiale che abbiamo oggi di fronte. Siamo d'accordo sull'eliminazione di questa differenza? Facciamo ancora chiarezza, almeno terminologica: siamo d'accordo sull'eliminazione della differenza tra chi ama la Chiesa e chi non la ama? La amava Rosmini e non l'amava Antonelli? L'ama Franzoni e non l'ama Ruini, o viceversa? Cominciamo ad eliminare almeno tra noi queste distinzioni e prendiamo atto di questo: a dare forza ai laici e al clero che intendono gestire le istituzioni ecclesiastiche in un certo modo non è una fede, sono quelle forze politiche che hanno in-teresse ad avallare certe logiche. Vi siete dimenticati come in Italia l'O-pera dei Congressi ha avuto un enorme spazio ed è stata significativa perché c'era stata Porta Pia? E l'Azione Cattolica, che si era sviluppata in un certo modo e che fu "corretta" da Pio XI per diventare supporto all'apostolato della gerarchia ecclesiastica dopo che nel 1929 Mussolini aveva firmato i Patti Lateranensi? Dobbiamo necessariamente renderci conto di questo intreccio tra poteri ecclesiastici e poteri politici, perché essi giustificano e legittimano un certo modo autoritario e clericale di gestire la Chiesa da parte della gerarchia. L'Obolo di san Pietro quando è nato? Quando non c'era l'8 per mille. La Chiesa campava lo stesso, quindi, e forse anche meglio, ma non poteva creare strumenti come quello del progetto culturale, che in questi anni è stato funzionale a supportare determinati obiettivi politici, ancor più che ecclesiali. E guarda caso, una parte dell'8 per mille, è destinata proprio al progetto culturale...

Se cominciamo a essere d'accordo su questo, cadono le distinzioni sul termine "disagio" e "dissenso": del resto, se voi parlate a Giovanni Franzoni di "dissenso", vi dirà che il dissenso non esiste, che esiste solo un consenso - ampio - per una Chiesa diversa. Il dissenso è stato un modo per bollare ed emarginare esperienze dal basso che proponevano e vivevano un modo diverso di essere Chiesa.

Quando l'arcivescovo di Firenze, il card. Florit, volle far capire a Enzo Mazzi che doveva andarsene fuori dai piedi gli disse che quello dell'Isolotto era solo un gruppo politico, fuori dalla comunione ecclesiale. Vent'anni dopo un altro arcivescovo di Firenze, Piovanelli, andò all'Iso-lotto a dire: "Meno male che esiste un'esperienza come la vostra". Allora, dove sta il "dissenso"?

Quindi, eliminiamo "disagio" e "dissenso", eliminiamo assurde categorie per cui ci sarebbe chi ama la Chiesa e chi non la ama. Eliminiamo tutte queste inutili distinzioni e prendiamo atto che il potere ecclesiastico si rafforza attraverso il potere politico, e viceversa. Una volta assunto questo presupposto, diciamoci che cosa possiamo fare per costruire un percorso che porti ad un cambiamento di questo stato di cose. Stando certi che nessuno di noi deve rinunciare a ciò che è ed a ciò che è ed a ciò che sta facendo, perché ognuno di noi ha fatto delle scelte ed è giusto che continui a vivere in sintonia con la propria storia ed il proprio stile ecclesiale.

Io vengo da un'esperienza, un po' lontana: appena nato il Concilio la rivista Questitalia, nella cui redazione collaboravo, ne scrisse meraviglie. Morto Giovanni XXIII, dopo che il Vaticano II prese un'altra strada, ci interrogammo sulla posizione più corretta da assumere. Ci trovammo in disaccordo con altre riviste, come Testimonianze, che diceva: "Bisogna attuare il Concilio"; mentre noi dicevamo: "Bisogna andare avanti, oltre il Concilio. Il Concilio è un punto di partenza". E ci stiamo accorgendo che forse non avevamo torto, perché non è vero che la gerarchia non abbia stabilito in che modo si debba esercitare la collegialità: ha inventato il sinodo, ma l'ha fatto in un certo modo: non ha realizzato la collegialità, ha solo inventato un sistema affinché sembrasse che la collegialità esistesse.

Io non mi scandalizzo che l'istituzione tenda ad autoconservarsi, mi pare ovvio: è una legge naturale. Pensate che Pio IX non avrebbe fatto volentieri a meno delle cannonate di Porta Pia? Tanto lo sapeva che i bersaglieri dovevano entrare a Roma. Ma poiché lui era convinto che il potere temporale aveva un senso, la sua funzione di capo di una Chiesa teocratica e temporalistica era quella di fare tutto il possibile per mantenere questo tradizionale strumento di potere del papato.

A quell'epoca, chi criticava il potere temporale della Chiesa era demonizzato. Dopo alcuni decenni, tutti hanno riconosciuto, anche Paolo VI, che il potere temporale della Chiesa era anacronistico e dannoso, senza però riconoscere che coloro che quel potere lo avevano criticato - pagando di persona - non avevano avuto torto. E allora che senso ha la demonizzazione del dissenso dal momento che chi dissente oggi può avere le sue ragioni riconosciute domani? Il Concilio va assunto e non abbandonato perché a mio avviso è un punto di forza: all'interno della storia della Chiesa c'è stata una svolta significativa: l'assunzione della storia come dimensione del divenire dell'umanità e la pacificazione con la modernità.

Se noi vogliamo dare uno scopo a questo nostro incontro è quello di verificare se, continuando ciascuno di noi a fare ciò che sta facendo, riusciamo a trovare una forma efficace per riaffermare insieme il diritto dei cristiani - preti, laici, religiosi, vescovi - a intervenire sul modo di gestire la comunità ecclesiale. Dobbiamo far passare l'idea che non siamo indifferenti al modo in cui la Chiesa viene gestita, per questo ci occupiamo delle sue finanze, dei suoi rapporti politici. E ci occupiamo per esempio del fatto che nei seminari, negli istituti teologici, nella pastorale non si parli più del Concilio.

Dobbiamo trovare un modo di collaborare, individuando obiettivi concreti sui quali unire i cristiani che c'erano a Firenze e tanti altri e temi sui quali pronunciarsi, che non siano, però, solo la pace, la legalità, l'ambiente, perché su questi sicuramente saremmo d'accordo. Noi dobbiamo toccare questioni che ri-guardano il modo in cui la Chiesa deve essere gestita, il modo con cui deve essere finanziata (unica questione su cui a Firenze è emersa una proposta concreta); indicare, cioè, una linea di intervento che lasci a ciascuno la sua autonomia di analisi e giudizio, ma che scelga coraggiosamente di non marginalizzare né chi resta attaccato alla mammella di Santa Madre Chiesa,  né chi pensa che anche il latte artificiale può nutrirlo in modo altrettanto efficace.

Don Albino Bizzotto (Beati i Costruttori di Pace). A Firenze si è cercato di esprimere come ci sentiamo ora all'interno della Chiesa. Si è scelto, e giustamente, di sentirci interni a un processo complesso senza accettare identità o etichette contrapposte, di essere inclusivi e non escludenti. Ma a mio parere è stato trascurato un elemento importante. È vero che nella Chiesa non siamo abituati a far emergere i conflitti, ma il conflitto che esiste nella Chiesa oggi è enorme e noi facciamo finta di non accorgercene, perché da secoli non siamo abituati a discutere e ognuno vive nella Chiesa come ha deciso a livello personale.

Bisognerebbe invece avere il coraggio di affrontare le contraddizioni, di evidenziare il conflitto che per ora appare solo in alcuni momenti clou per esempio durante la dolorosa vicenda di Piergiorgio Welby: l'eucarestia negata ai funerali di Welby ha detto con chiarezza che Ruini non era la Chiesa cattolica, e che la Chiesa era concretamente coloro che rifiutavano all'unanimità il suo comportamento senza misericordia.

Aiutiamo la nostra comunità ecclesiale anzitutto affermando che i conflitti esistono, anche perché troppa gente nella Chiesa questi conflitti li ha rimossi abbandonandola, ad esempio i giovani e tanti cattolici che non si riconoscono nelle scelte dei valori "non negoziabili" del Vaticano e della Cei, nelle affermazioni di principio contrapposte alla negazione della realtà umana con i suoi limiti e le sue attese. Molte persone abbandonano la pratica religiosa, ma non il loro riferimento di fede, anzi.

Per quanto riguarda il Concilio: per me è stato e rimane una pietra miliare che ha rovesciato la concezione ma anche l'atteggiamento della Chiesa nel suo porsi nella storia. Credo quindi che si debba recuperare lo spirito dell'evento conciliare, più che i documenti in quanto tali, spesso frutto di grande elaborazione e mediazione, oltre che di grandi aperture teologico-pastorali.

Oggi siamo dentro a una grande mutazione riguardo al nostro sentirci Chiesa e al modo in cui ci rapportiamo con essa. Addentrarci nello spirito del Concilio significa concepire la Chiesa non in concorrenza, né parallela né affiancata all'umanità, ma Chiesa inerente e relativa al mondo, quindi interna ai problemi dell'u-manità e a suo servizio: la "Chiesa del grembiule". Oggi da una parte siamo in presenza, a livello gerarchico, di una grande preoccupazione identitaria e di una gestione centralista e verticistica sempre più arroccata, ma sempre meno significativa e soprattutto sempre meno riconosciuta e accettata proprio in nome del riferimento di fede. E dall'altra una presa di coscienza, a volte anche solo individuale, altre volte più comunitaria, di comportamenti e di scelte sempre più autonome e laiche, nel senso di condivise quotidianamente con le realtà più diverse. Vedo una grande miopia della gerarchia, che difendendo la scuola cattolica, sta preparando l'avvento delle "scuole coraniche" in Italia; la scuola concepita come luogo esclusivo di conservazione delle culture, delle religioni, delle identità. Non contaminazione, rapporto diretto, pubblico, dialettico con ciò che è diverso da me, ma ancora e sempre solo problema identitario. Lo stesso vale per il mantenimento dei privilegi economico-finanziari, per la conservazione e l'espansione delle strutture cattoliche, il controllo sugli insegnanti di religione e le ingerenze politiche.

Una chiusura che deriva anche dal fatto che dal Concilio la gerarchia della Chiesa ha continuato a curare più l'ortodossia, intesa come preoccupazione della definizione dogmatica, piuttosto che fare emergere la verità cattolica dentro la storia nei rapporti con gli ebrei, con i non credenti e con la modernità, tutto quello che riguarda i problemi dell'umanità, senza presunzioni precostituite e senza imposizioni, partecipando alla fatica della ricerca.

Oggi siamo dentro anche a una grande mutazione, direi rivoluzione, dell'idea di Dio: dall'idea di un Dio astratto che vive in un suo cielo, dove Gesù è stato una parentesi terrena per poi essere riportato nella sua realtà divina, mi sembra che oggi stia prendendo piede, gradatamente e nelle forme più diverse, l'idea che l'unico Dio che possiamo conoscere, incontrare e sperimentare non è il Dio astratto delle verità eterne e dei dogmi precostituiti, ma Gesù nella sua umanità. Tutta la costruzione gerarchica delle verità e l'imposta-zione pastorale e catechetica di una religione fondata sulla accettazione dei "misteri", delle verità eterne e della morale conseguente da praticare sta saltando. Il Dio che con il paradiso, l'inferno e il purgatorio premiava i buoni e castigava i cattivi, la morale del dovere da compiere tutta rivolta all'aldilà, per molti credenti sta scomparendo di fronte alla scoperta e all'accoglienza del Dio di Gesù dentro la carne della storia e della quotidianità. Un Dio capace di amare e di essere misericordia, che è un tutt'uno e si rivela attraverso l'uma-nità di ciascuno, il Vivente.

Credo che questo comporterà da un punto di vista dell'ortodossia una rivoluzione totale, ma soprattutto dal punto di vista pastorale nascerà un fermento straordinario, perché le contaminazioni nelle quali siamo dentro a tutti i livelli - in questo momento vissute solo come una perdita di identità e una incapacità della Chiesa di rapportarsi con il mondo secolarizzato - rappresentano una ricchezza straordinaria. Anche la progressiva diminuzione delle vocazioni è un segno della nascita di un modo nuovo di essere comunità-Chiesa. Credo che la scelta di impegnarsi a livello umano tout court ci vedrà allora non più separati, a motivo della nostra appartenenza, ma insieme a vari livelli.

È secondo me un momento nuovo nella Chiesa questo che affrontiamo con gli immigrati, con tutte le altre diversità culturali, etniche e religiose. E ho la sensazione che l'attuale gestione della Chiesa intesa come organismo guidato da un gruppo ristrettissimo di potere sia destinata ad entrare presto in crisi. I vescovi non hanno nemmeno il coraggio di dibattere le problematiche insieme con le comunità e contano sempre meno nella vita della gente. Le parole del papa non sono punto di riferimento e non cambiano più la vita a nessuno Il più delle volte sono motivo di critica. Sono le scelte politiche, i silenzi su problemi importanti della società, le tattiche diplomatiche, i comunicati pesati e asettici, le prese di posizione di principio e non pastorali che scandalizzano e portano a scelte di distacco o di abbandono della Chiesa

Io starei più attento - come diceva Tonio dell'Olio - anzitutto a stare dentro alle vicende umane e in esse scoprire un altro modo di rapportarci e di valorizzare lo Spirito, costruendo comunità aperte. È un grande limite l'atteggiamento di chi, preoccupato di mostrare e costruire la Chiesa, smette di riconoscere la realtà di Dio dentro l'umanità, che si esprime in modalità straordinarie seppure non legate ad appartenenze e pratiche religiose; un Dio felice della nostra umanità. Questa idea che solo Gesù è il Dio che posso in-contrare e conoscere sconvolge tutte le nostre acquisizioni precedenti e porterà a una riorganizzazione della Chiesa che troverà riferimenti e modelli nelle prime comunità cristiane non più in questa mastodontica e farraginosa organizzazione mondiale diretta e dipendente da un'unica persona con tutti i suoi dicasteri. Per me sta soffiando forte lo spirito della Chiesa precostantiniana, anche se tanti movimenti si propongono ancora, per esistere, come portatori dell'obbedienza e del culto al papa. La crescita della coscienza e della responsabilità delle persone come singole e come comunità senza altra mediazione di potere porterà inizialmente ad una grande crisi, ma segnerà infine una nuova Pentecoste.

Giovanni Avena: Albino, tu hai ragione a dire che oggi di quello che dice il papa, Ruini ed i vescovi non interessa più molto a nessuno. È però altrettanto vero che quello che affermano le gerarchie ecclesiastiche influenza il mondo politico, il governo, il Parlamento e i media. E tutte questo poi ha importanti ricadute sull'opinione pubblica. Per questo noi non possiamo disinteressarci di ciò che fa la gerarchia.

Albino Bizzotto: In questo senso io mi sono molto pentito di non essermi offerto di celebrare una messa di suffragio per Welby, quando morì. Avrei dovuto aprire un conflitto, e non l'ho fatto.

Maurizio Mannocci: No, non userei la parola "conflitto". Sembrerebbe altrimenti che io scelga di celebrare una messa per Welby per fare un dispetto al cardinal Ruini. Lo faccio invece per amore e carità cristiana, in virtù di quegli insegnamenti che ho ricevuto dalla stessa Chiesa di Pietro che mi è madre, anche quando non ne condivido talune scelte.

Luigi Sandri: La signora Welby dopo la decisione di Ruini di negare i funerali in chiesa, parlò con Giovanni Franzoni e insieme alla Comunità di San Paolo ipotizzammo di tenere la celebrazione funebre nella nostra comunità. Poi ragioni di opportunità portarono ad optare per il funerale in piazza, a Cinecittà, ma la settimana dopo le esequie, Mina Welby tornò a trovarci e celebrammo l'eucarestia insieme. La Comunità di San Paolo fu tra i pochissimi luoghi che si resero disponibili ad accogliere i funerali di Piergiorgio e di celebrare l'eucarestia per lui. Era il nostro amore o dispetto? Amore, certo. E protesta, verso la scelta scandalosa ed antievangelica di Ruini, che aveva deciso di rifiutare un fratello che aveva sofferto immensamente e ingiustamente.

Serena Noceti. Riprendo brevemente alcune suggestioni che provengono dagli interventi di Mario Campli e di Giovanni Avena. Il disagio può essere più o meno larvato o consapevole. Un dissenso può essere parziale o generale rispetto a quello che dice la gerarchia. Ma il mio problema oggi non può essere quello di disquisire di disagio o dissenso, ma di cercare di incarnare la Chiesa del "consenso" - che non è "assenso" - che si costruisce anche con il conflitto e certamente attraverso le differenze. Questa è stata la sfida su cui l'incontro di Firenze si è concentrato, che ha intuito, ma non completamente sviluppato. Il gruppo che si è ritrovato a Firenze deve essere il custode di Lumen Gentium 12: per il fatto stesso di essere battezzato, ciascun credente è già nella condizione di prendere la parola. Si tratta di garantire le strutture e le forme - oltre che di formare coscienze veramente ecclesiali, affinché questa parola possa esprimersi in libertà ed efficacia. Finora - e qui rispondo a Marcello Vigli - si è garantita nella Chiesa la collegialità, non la sinodalità: e non è la stessa cosa. Per realizzare ciò, bisogna a mio parere anzitutto interrompere l'unidirezionalità nella comunicazione ecclesiale.

Aggiungo che va interrotta la parzialità dell'immagine Chiesa=gerarchia. Non c'è un'opinione pubblica perché di fatto la stampa non garantisce un minimo di spazio di espressione alla pluralità delle voci e delle presenze ecclesiali.

Inoltre, dobbiamo tenere presente che le istituzioni eterogenee e di grandi dimensioni possono cambiare solo attraverso proposte formative complessive e modifiche progressive dei processi di istituzionalizzazione. Né auto-ghettizzazione, quindi, né i processi iper-organizzativi, ma la consapevolezza di quali siano le dinamiche processuali di trasformazione, di formazione e di organizzazione. E qui ritorno alla rete. Mi sembra parziale l'idea di una rete che interviene solo quando c'è una situazione critica, di conflitto aperto. Forse è giunto il tempo di organizzare una rete di tipo formativo, diffusa sul territorio, all'interno della quale ciascuno mantenga una propria autonomia, ma in cui, con una copertura adeguata anche dei mezzi di informazione, ci sia la possibilità anche di fare un percorso comune. Ognuno con il suo stile e le sue modalità. Possiamo trovare un tema comune; ad esempio la libertà religiosa a partire dalla Dignitatis humanae, un tema che mi sembrerebbe importante affrontare oggi e farlo tutti contemporaneamente nello stesso anno, parrocchie, gruppi, movimenti, CdB, associazioni.

Nell'ermeneutica conciliare si stanno giocando altre due partite: quella di una ecclesiologia universalistica - laddove il Concilio aveva aperto la strada ad una ecclesiologia a partire dalla Chiesa locale - e poi il passaggio dalla concezione di presbitero a quella di sacerdote intermediario di Dio, quindi il ritorno ad una concezione pienamente sacrale del ruolo del prete. Sono i due punti su cui dobbiamo insistere se vogliamo sperare di poter incidere, nella costruzione di una Chiesa fragile e permeabile, come tanti fedeli la desidererebbero.

Tonio Dell'Olio: io aggiungerei scalza.

Giovanni Avena: ... e con il grembiule.

Tonio Dell'Olio. Rispetto alla precisazione-provocazione di Giovanni sulla questione del disagio-dissenso, non credo vi sia oggi tra i cattolici una presa distanza dal dissenso in quanto pratica. Penso invece che l'imbarazzo sul termine "dissenso" riguardi il fatto che quella parola richiama una stagione ecclesiale in cui "cattolici del dissenso" venivano definiti - con una semplificazione giornalistica che stava stretta agli stessi protagonisti di quel periodo - quei credenti che negli anni '70 hanno animato esperienze di Chiesa dal basso delle quali molti di noi - anche per ragioni generazionali, oltre che di scelte - non hanno condiviso le pratiche. Oggi parlare di dissenso richiama alla memoria quell'esperienza e tende ad identificare i processi attuali con quelle dinamiche. Da qui, a mio giudizio, i tanti distinguo terminologici, che non toccano però la sostanza.

Anche per questo concordo con Serena Noceti nel pensare che sia meglio superare categorie come "disagio" e "dissenso", ma proiettarci concretamente al positivo delle sfide che ci attendono, partendo dai problemi per individuare le soluzioni con uno stile che è quello che ci ha insegnato il Concilio. Allora Serena - se mi permetti - direi più che una Chiesa del consenso, una Chiesa del Concilio.

Angelo Bertani: Il mio auspicio è che le occasioni di dibattito e le iniziative si moltiplichino e che anche Adista, per la parte che le spetta, possa divenire sempre più un luogo di incontro e di confronto per tutti coloro che, siano essi stati a Firenze o meno, intendano proseguire con noi questo cammino di riflessione e di proposta.



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Mercoledì 15 Luglio,2009 Ore: 14:36
 
 
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