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www.ildialogo.org Breve premessa alla lettura della “Caritas in veritate”,

Breve premessa alla lettura della “Caritas in veritate”

VATICANO II “NUOVA TRADIZIONE” DELLA CHIESA
Nell’abituale clima di enfasi e di osanna che accompagna ogni nuova enciclica, quasi fosse sempre l’ultima parola risolutiva, diventa difficile una lettura più disincantata, nel tentativo di coglierne la prospettiva di fondo sul tipo di presenza della chiesa nel mondo e un possibile apporto di maturazione della coscienza ecclesiale. Trattandosi d’altra parte del testo di un “Papa teologo”, come si sente ripetere - e quindi di un documento a carattere teologico - non si può escludere che si possano dare visioni e impostazioni di pensiero diverse, alle quali neanche una enciclica si può sottrarre.
 
E per la verità, una lettura limitata alla introduzione e al capitolo 1, che ne chiariscono l’impostazione, porta a dire che la “Caritas in veritate” voglia in effetti privilegiare una interpretazione teologica ben precisa per neutralizzarne altre o in particolare un’altra: quella emersa nella Chiesa col Vaticano II, che si cercherebbe di riportare nell’alveo di una tradizione pregressa. Naturalmente è tutto da vagliare e da approfondire, ma in attesa di poter fare insieme ad altri questo lavoro, mi permetto di suggerire una possibile chiave di lettura: invece di leggere il Vaticano II all’interno della Tradizione della Chiesa, leggerlo come la Tradizione della Chiesa, e cioè come rivisitazione e ripresentazione di tutto un patrimonio di fede e di dottrina che rimane tale nella sua sostanza ma che è nuovo nel suo rivestimento teologico e culturale.
 
Ragion per cui, anche una rilettura della Populorum progressio andrebbe fatta nella linea del Vaticano II e non come motivo per oscurare il Concilio nel suo specifico. Strano, ad esempio, che in queste poche pagine lette si faccia una sola citazione del tutto secondaria della Pacem in terris, che parlava già direttamente di Verità e di carità (o solidarietà), ma anche di giustizia e di libertà come i cardini di ogni convivenza umana. Cosa dirà di nuovo la “Caritas in veritate” nella sostanza? E se dice qualcosa di nuovo nel modo, è per affiancarlo a quello di Giovanni XXIII o per cancellarlo?
 
Prima di lasciarsi affascinare dalle sottili considerazioni e distinzioni dell’enciclica, non sarebbe male chiarire questi interrogativi, credo legittimi, per sapere se ci troviamo davanti ad una operazione di omologazione dottrinale o se rimangano aperti spazi reali di profezia vissuta.
 
Ad un certo momento sembra di assistere ad un rovesciamento di quanto si dice in 1Corinzi 13,1: “Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna”. In questo senso: la carità senza la verità è semplice azione umanitaria o assistenziale. Così come si ha l’impressione che si voglia proporre una teologia della liberazione purificata e separata dalla prassi, ridotta appunto a dottrina e a quella verità di cui solo la Chiesa cattolica è depositaria. Quello che conta è solo ortodossia, e non parliamo più di ortoprassi o simili!
 
Tutto questo si gioca intorno alla nozione della “Dottrina sociale”, che viene presentata come l’unica forma di presenza e di intervento della Chiesa nella storia, come chi debba dare un’anima alla società e alla politica standone ufficialmente al di sopra o al di fuori, dove dare un’anima non è partecipazione diretta alle gioie e alle pene dell’umanità, ma insegnamento e dettami di verità dall’alto!
 
Perché queste osservazioni non sembrino gratuite, possiamo leggere qualche passo dell’enciclica: “L’amore nella verità - caritas in veritate - è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione... Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante… La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende «minimamente d’intromettersi nella politica degli Stati». Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori - talora nemmeno i significati - con cui giudicarla e orientarla. La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8,32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l’annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile. La sua dottrina sociale è momento singolare di questo annuncio: essa è servizio alla verità che libera. Aperta alla verità, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa l’accoglie, compone in unità i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della società degli uomini e dei popoli” (n.9).
 
È abbastanza chiaro che Chiesa qui sta per Magistero. Ma dove si voglia andare – e qui è anche la risposta all’interrogativo posto – lo possiamo capire dal n.12: “Il legame tra la Populorum progressio e il Concilio Vaticano II non rappresenta una cesura tra il Magistero sociale di Paolo VI e quello dei Pontefici suoi predecessori, dato che il Concilio costituisce un approfondimento di tale magistero nella continuità della vita della Chiesa. In questo senso, non contribuiscono a fare chiarezza certe astratte suddivisioni della dottrina sociale della Chiesa che applicano all’insegnamento sociale pontificio categorie ad esso estranee. Non ci sono due tipologie di dottrina sociale, una preconciliare e una postconciliare, diverse tra loro, ma un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo”.
 
È così anche se si parla di Giovanni XXIII e della sua Pacem in terris? Ma allora di nuovo la domanda: il Concilio “nella tradizione” della Chiesa o come “nuova tradizione” della Chiesa? A seconda di come si risponde, rimane da decidere quanto può rientrare nell’allineamento al pensiero teologico unico e quanto c’è da buttare al macero di tutta una stagione addirittura “epocale”. Il nodo è sempre lo stesso, ma non pare ci sia in giro tanta voglia di scioglierlo!
 
ABS

Articolo tratto da:

FORUM (156) Koinonia

http://www.koinonia-online.it

Convento S.Domenico - Piazza S.Domenico, 1 - Pistoia - Tel. 0573/22046



Domenica 19 Luglio,2009 Ore: 17:20
 
 
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Dottrina della fede secondo Ratzinger

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