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www.ildialogo.org Jean-Arnorld De Clermont: “Diffondere la cultura del dibattito: ecco il nostro ruolo”,a cura di Gaëlle Courtens

INTERVISTA
Jean-Arnorld De Clermont: “Diffondere la cultura del dibattito: ecco il nostro ruolo”

a cura di Gaëlle Courtens

Roma (NEV), 8 luglio 2009 - "Chiamati a un'unica speranza in Cristo": questo il tema della prossima Assemblea generale della Conferenza delle chiese europee (KEK) che si svolgerà dal 15 al 21 luglio a Lione, in Francia, durante la quale verrà celebrato anche il cinquantenario della dell’organismo ecumenico. L'Agenzia Stampa NEV ha intervistato il presidente della KEK, il pastore riformato Jean-Arnold De Clermont, il cui mandato termina con la prossima assemblea.
 
Presidente De Clermont, l'integrazione nella KEK della Commissione delle chiese per i migranti in Europa (CCME) fa della stessa KEK un organismo sempre più complesso. Come conciliare questa complessità di compiti con la visibilità della KEK nel panorama europeo?
Le chiese sono chiamate a difendere i diritti e la dignità degli esseri umani. In quest'ottica, ai tanti compiti della KEK, che in tutti questi anni si è spesa nella costruzione di un'Europa solidale e sostenibile, non può non aggiungersi quello riferito alle migrazioni. Il ruolo delle chiese è quello di affrontare questa sfida diversamente da come viene "risolta" dai politici. Troppo spesso le politiche contemplano solo la parte normativa, per esempio dei rimpatri o delle espulsioni, e questo a scapito di una seria politica dell'accoglienza. Le chiese mettono l'accento su quei problemi che troppo spesso sono negletti dall'Unione Europea (UE): insistiamo sulla libertà di circolazione delle persone, mentre contrastiamo l'idea di voler rinchiudere l'umanità in fortini ben delimitati.
La KEK, se vuole guadagnare in visibilità, ha bisogno di capire quali sono quei pochi argomenti dai quali non può prescindere, e cominciare a comunicarli efficacemente. Sarà questa infatti una tra le sfide della prossima assemblea: per questo sarà necessario che le chiese membro si riapproprino della KEK, per poi - a partire dalla definizione di alcune grandi piattaforme tematiche - reimpostarne il lavoro. Per farsi sentire nel brusio generalizzato del mondo bisogna sapere esattamente quali sono i messaggi che si vogliono veicolare, altrimenti c'è il rischio che questi si mescolino al brusio generalizzato.
 
La scorsa assemblea si svolse sei anni fa in Norvegia. Molte sono le cose che rispetto ad allora in Europa sono cambiate, a cominciare dalla crisi economica e finanziaria, a quella ambientale, alla crescente povertà. In questo scenario qual è il ruolo delle chiese oggi?
Naturalmente la KEK non può tacere - e nei mesi scorsi non lo ha fatto - sulla crisi economica in atto, o sul futuro ambientale del nostro pianeta, oppure sulla povertà, o ancora le migrazioni. I lavori assembleari saranno utili però per definire insieme quali riteniamo essere le priorità rispetto alla necessità di far intendere la speranza di Dio per il suo popolo. In questo contesto il ruolo delle chiese è di far comprendere che Dio ha una speranza per l'umanità. Dobbiamo lanciare il suo messaggio e dire chiaro e forte che il Regno di Dio è possibile. Non dobbiamo rassegnarci alla fatalità del caso, alle crisi finanziare, alle divergenze tra Nord e Sud. Non dobbiamo rassegnarci al fatto che il nostro pianeta verrà distrutto per l'ingordigia di alcuni consumatori. Invece dobbiamo dire che la costruzione di un mondo più giusto e solidale è possibile, il regno di Dio è possibile, non si tratta di un'utopia, bensì di una realtà: questo è il messaggio di speranza che come chiese cristiane siamo chiamati a diffondere.
 
Recentemente la KEK si è impegnata molto sul fronte del dialogo tra cristiani e musulmani in Europa. C'è ancora molto lavoro da fare in questo campo?
Ce n'è ancora tantissimo: stiamo imparando solo adesso a conoscerci. Sotto un profilo religioso e culturale l'Islam in Europa è stato storicamente negletto. Ma se vogliamo aumentare l'efficacia nel dialogo, allora l'incontro con l'islam va assolutamente sviluppato anche in collaborazione con la chiesa cattolica. Si tratta di un campo di azione nel quale dovremmo mettere ancora più energie. Poi c'è da proseguire nel lavoro di sensibilizzazione presso le istituzioni europee, che sono ancora restie nell'includere nel dialogo interculturale anche quello interreligioso. Quello che a noi può sembrare un'ovvietà, a livello politico non sempre va da sé. La KEK, attraverso la sua Commissione Chiese e società, ha già lavorato in questa direzione e continuerà a farlo.
 
Lei ha dedicato sei anni della sua vita all'ecumenismo in Europa. Un ecumenismo con alti e bassi. Come vede il futuro del movimento ecumenico?
La battaglia ecumenica è senza fine, anche a causa e forse grazie alle tensioni ecclesiologiche e teologiche che esistono tra le varie confessioni. In questo senso mi ha senz'altro segnato la Terza assemblea ecumenica europea svoltasi nel 2007 a Sibiu in Romania. Credo che nonostante il raffreddamento sul piano ecumenico di cui tanto si parla, sia assolutamente necessario proseguire nel dibattito. Anche sulle questioni che più ci dividono e penso in particolare alla bioetica.
Ed allora ecco il ruolo della KEK: creare una cultura del dibattito. Va detto che questo stesso dibattito esiste anche in seno alla chiesa cattolica. Vorrei tanto che questi diversi dibattiti comunicassero tra loro. Il mio auspicio è poter condividere le nostre posizioni, riflettere, capire, anche se siamo in disaccordo, anche se rimaniamo sulle nostre posizioni. Non vi è nulla di più prezioso del confronto. Solo con un sano dibattito è possibile controbilanciare le derive integraliste e le correnti "nazional identitarie" e "tribali" interne alle chiese.
L'obiettivo della KEK è quello di facilitare le relazioni ecumeniche tra le chiese: non esiste un'altra ipotesi di lavoro. Sposiamo quella portata avanti a Sibiu, e che è quella di una testimonianza comune in base a quanto si afferma nella Charta Oecumenica.


Giovedì 09 Luglio,2009 Ore: 17:19
 
 
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