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www.ildialogo.org Sulla sociologia della conoscenza: tipi diversi di conoscenza,di Giuseppe P. Fazio

Rubrica SPUNTI SOCIOLOGICI/3
Sulla sociologia della conoscenza: tipi diversi di conoscenza

di Giuseppe P. Fazio

Non è difficile intuire, a questo punto, che il termine conoscenza si è, nel corso del tempo, caricato di così tanti significati differenti da indurre, in una prima analisi, in confusione. La reale questione, quindi, non è l’esame delle diverse concezioni che al termine conoscenza si sono ancorate ma è, al contrario, capire se questi diversi tipi di conoscenza stiano nello stesso tipo di rapporto con la loro base sociologica e se, ipotizzando rapporti diversi per i diversi tipi, è possibile operare delle distinzioni fra le diverse sfere di conoscenza.

A tal proposito Scheler, nel suo studio, distingue un gran numero di forme di conoscenza. Il compito primario della Sociologia della Conoscenza, in questo contesto, è di scoprire le leggi in base alle quali avvengono le trasformazioni di questi tipi differenti. La Sociologia della Conoscenza deve occuparsi quindi di tracciare le basi esistenziali della verità, della illusione sociale, della superstizione, degli errori socialmente condizionati e delle forme di inganno. Queste conoscenze, che costituiscono dei prodotti organici e si sviluppano soltanto nei lunghi periodi, possono mutare attraverso la mescolanza di razze, linguaggi e culture. Sopra queste conoscenze, che mutano in modo relativamente lento, vi sono le così dette conoscenze artificiali, ossia tutte quelle che al contrario, non rientrano nelle forme precedentemente citate. Il ritmo di mutamento di questi tipi di conoscenza è scandito dal loro grado di artificiosità. Quanto più artificiali sono questi tipi di conoscenza, maggiore è il ritmo in cui queste mutano[1].

Durkheim, dal suo canto, estende questo tipo di esame introducendo l’analisi delle genesi sociale delle categorie di pensiero. In questo contesto, fondamentalmente tre sono i presunti tipi di evidenza[2]:

  1. le variazioni culturali, nelle categorie e nelle regole della logica provano che esse dipendono, almeno in parte, da fattori storici e di conseguenza sociali;
  2. dato che i concetti sono compresi proprio nel linguaggio che un individuo apprende, e dato che alcuni di questi termini concettuali si riferiscono a cose di cui gli individui non hanno mai fatto esperienza, è chiaro che essi sono un prodotto della società[3];
  3. l’accettazione o il rifiuto di concetti è non solo determinato dalla loro validità, ma anche dalla loro coerenza con altre credenze dominanti.
Per Durkheim, l’origine sociale delle categorie non è completamente arbitraria, in un certo qual modo, queste sono adeguate all’oggetto ma, poiché inevitabilmente le strutture sociali sono soggette a continue variazioni, non è possibile evitare l’elemento soggettivo nelle costruzioni logiche che sono peculiari di una società e in essa diffuse. Gli elementi soggettivi vengono progressivamente eliminati con l’aumentare degli scambi culturali, attraverso i quali, culture diverse, venendo a contatto tra loro, smussano gli schemi sociali iniziali riorganizzandosi poi in altre forme: “(…) il pensiero veramente e propriamente umano non è un dato primitivo ma, un prodotto storico[4]”.

 


[1] Analisi simile, costruita sul concetto di ritmo di cambiamento, è quella di Alfred Weber per il quale, il mutamento della civiltà è precedente al mutamento culturale.
[2] da E. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Milano, Edizioni di Comunità, 1982.
[3] E’ possibile attribuire una grande importanza al linguaggio, questi può essere considerato come lo strumento che raccoglie e fissa concetti e modi di pensiero prevalenti nella mente degli individui.
[4] É. Durkheim, Le forme elementari della vita religiosa, Milano, Edizioni di Comunità, 1982.


08 aprile 2008
 
 
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O Ruofolo - Periodico della Comunita' di fede di Sant'Angelo a Scala (Av)

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