TRADIZIONE CONCILIO VATICANO II E SANTA MESSA

di Giancarla Codrignani

Giancarla Codrignani sul momento ecclesiale


Le paure di futuro che investono l’umanità nelle epoche di trasformazione producono esiti particolari nel campo del sacro: in mancanza di consapevolezza reale circa le scelte religiose, tornano ad essere considerati con fiducia culti di nuovo conio, esoterismi terapeutici, "valori non negoziabili" che nascondono tentazioni identitarie. Se le sette protestanti americane contrabbandano miracoli per televisione, non fa meraviglia che ci sia gente che chiede la messa in latino per recuperare un sentimento mistico/magico che può ancora affascinare.
Siccome l’aspetto liturgico delle religioni attrae anche laici e laicisti che non distinguono il sacro dalla fede, e i "teocon", ben accetti dalla chiesa cattolica, si dichiarano laici e, addirittura, noncredenti, sarebbe bene rifare il punto sul "senso" che è stato divulgato con la riforma del Concilio Vaticano II, un Concilio assistito - come tutti - dallo Spirito santo. Pare necessario far capire - non solo ai credenti, che lo dovrebbero sapere (anche se è forte il dubbio che il cattolico italiano si limiti a ritenersi "praticante" se va a messa la domenica) - che cosa ha realmente rappresentato la liturgia voluta da Paolo VI, che ha portato l’altare davanti al popolo, l’uso della lingua parlata, l’autorevolezza alla partecipazione dei laici, la cancellazione delle espressioni contro gli ebrei e il rispetto ecumenico.
Il senso profondo si rifà alla rinnovata considerazione del "popolo di Dio": la celebrazione non è esclusiva clericale del prete, ma dei fedeli tutti che partecipano in prima persona e sono costitutivi del rito. Il mistero che si celebra è vita condivisa: chi ha ascoltato la parola del Signore ed è compartecipe con i fratelli della "comunione", esce del rito pronto a vivere secondo i principi del Vangelo che ha ascoltato e accolto.
Non riesce più, invece, a condividere esperienze di segregazione dall’altare, di sacerdozio astratto e concentrato sul cerimoniale, di soggezione del fedele che alla tavola del Signore non prende responsabilmente con le sue mani il pane, ma viene imboccato come un bambino che non può avere voce propria nella preghiera.
Consentire ai tradizionalisti la celebrazione della messa di Pio V divide la Chiesa non su fatti formali, ma consente la negazione di un pezzo significativo di verità del Vaticano II. Le suggestioni tradizionaliste possono trovare accoglienza anche al di fuori dei trecentomila lefevriani che, nel mondo, sono rimasti nostalgici di un passato oggi inesistente; e possono creare divisioni, se i vescovi non si attiveranno a far capire il senso autentico delle pratiche di fede cristiana. Se, anche tra chi si dichiara praticante, pochi frequentano abitualmente la messa domenicale, non è per perdita di fede: è perché la Chiesa non ha formato né un clero capace di fare testimonianza nel segno del terzo millennio, né un laicato consapevole; soprattutto, non accetta quell’autonomia e quell’autorevolezza dei laici che il Concilio Vaticano II ha riconosciuto.
Tornare alla messa del 1536, per un giovane scarsamente informato sulla storia della chiesa di cui dice di far parte, rappresenta solo una scelta anche inconsapevolmente integralista e potenzialmente reazionaria: avrà in testa il Dio che ha fatto vincere gli occidentali a Lepanto contro i turchi e non crederà che Dio stia al di sopra dei nomi con cui lo chiamiamo, uguale per tutti.
Riconoscere, poi, il diritto formale di esimersi dall’applicare le norme dell’ultimo Concilio universalmente valide per la cristianità, significa cancellare ogni possibilità di accusare qualcuno di apostasia e concedere la libertà della ricerca in materia teologica, due cose auspicabili a cui Benedetto XVI non pensa assolutamente quando ragiona in latino (e ci ragiona così fedelmente, che ha fatto pervenire in sala stampa ai giornalisti il motu proprio sulla riforma del conclave senza traduzione).
In ogni caso - gli dispiacerà molto perché lo ritiene un vizio della mente - ma davvero sembra essersi adeguato al relativismo.

Contestualmente la Congregazione per la Dottrina della Fede ci fa sapere che i protestanti non sono Chiesa di Cristo. Credevo che Lui fosse presente ogni volta che due o tre s’incontrano nel suo nome.


Giancarla Codrigani

Articolo tratto da:

FORUM (63) Koinonia

http://utenti.lycos.it/periodicokoinonia/



Martedì, 17 luglio 2007