Il Papa alla Sapienza
Scongiurare un nuovo "papacentrismo"

di Rosario Amico Roxas

Questo articolo è stato scritto prima che giungesse la notizia che il Papa rinunciava ad andare alla Sapienza.


La polemica circa la presenza del pontefice all’Università "La Sapienza" di Roma, ha origini antiche, che stanno esplodendo adesso, cogliendo un’occasione sbagliata.
Il quesito da impostare e da studiare con estrema attenzione è un altro, e serpeggia nei cuori e nelle menti e si accentua ad ogni intervento di Benedetto XVI.
Papa Ratzinger sa bene di non potere affermare un nuovo "papacentrismo" sulla base delle opere di misericordia, di proselitismo dell’amore, di globalizzazione della solidarietà, valori dai quali si è sempre dimostrato lontanissimo, anche quando li esalta nelle omelie.
Si affida alla dottrina, alla teologia, alla dialettica per affermare il primato della Chiesa cristiana, al quale dovrebbe corrispondere il primato di Pietro: "Tu es Petrus".
Finiscono con lo scontrarsi la fede dei popoli, inalterata e inalterabile, e la dottrina degli uomini in costante agitazione, a volte evolutiva, ma più spesso involutiva.
Così si formalizza il quesito che altre religioni monoteiste hanno risolto da sempre, e cioè il rapporto trascendente tra Dio e l’uomo e la mediazione che nella religione cristiana si sviluppa in un itinerario gerarchico, che culmina nel dovere all’obbedienza, imposta per volere degli stessi uomini ai quali tale obbedienza sarà dovuta, e la pretesa di infallibilità, sancita come dogma sempre dagli stessi uomini, per cancellare a monte ogni ipotesi dialettica di confronto.
Ma il diritto all’infallibilità decorre dal momento della proclamazione, oppure ha, come sarebbe più logico dedurre, validità retroattiva ?
Leggendo le parole con le quali il pontefice Pio IX impose l’infallibilità del pontefice, sorgono parecchi dubbi:

"« Richiamandoci dunque fedelmente alla tradizione, come l’abbiamo assunta dalle prime epoche del Cristianesimo, noi insegniamo, ad onore di Dio, nostro Salvatore, per gloria della Religione Cattolica e per la salvezza dei popoli cristiani, con l’approvazione del sacro Concilio, e dichiariamo quale dogma rivelato da Dio: ogni qualvolta il Romano Pontefice parla ex cathedra, vale a dire quando nell’esercizio del Suo Ufficio di pastore e Maestro di tutti i cristiani, con la sua somma Apostolica Autorità dichiara che una dottrina concernente la fede o la vita morale dev’essere considerata vincolante da tutta la Chiesa, allora egli, in forza dell’assistenza divina conferitagli dal beato Pietro, possiede appunto quella infallibilità, della quale il divino Redentore volle munire la sua Chiesa nelle decisioni riguardanti la dottrina della fede e dei costumi. Pertanto, tali decreti e insegnamenti del Romano Pontefice non consentono più modifica alcuna, e precisamente per sé medesimi, e non solo in conseguenza all’approvazione ecclesiastica. Tuttavia, chi dovesse arrogarsi, che Dio ne guardi, di contraddire a questa decisione di fede, sarà oggetto di scomunica. » (Pastor Aeternus, 18 luglio 1870)

Il "terrorismo della scomunica" ritorna di peso, ereditato dal quel basso medio evo che vide troneggiare l’Inquisizione come metodo e come principio.
Ma quale valore può esigere la scomunica papale, se è stata utilizzata anche per imporre diritti sessuali vantati da un pontefice, Alessandro VI Borgia, all’amante, Giulia Farnese, che si era permessa di raggiungere il legittimo marito, Orsino Orsini, nella sua tenuta di Bassanello ?

"Abbiamo udito che avete nuovamente rifiutato di tornare da noi senza il consenso di Orsino. (omissis) pertanto vi ordiniamo con questa, sotto pena di scomunica e di eterna dannazione, che non rechiate più a Bassanello"
(v. http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/borgia.htm).

Dalla sua istituzione la scomunica è stata utilizzata per tacitare re e imperatori, esautorando popoli, vassalli, valvassori e valvassini dal dovere di obbedienza al sovrano, per ottenerne potere, prebende; è stata utilizzata per tacitare oppositori alla degenerazione morale del clero.
Stante questi precedenti è escluso che il Padreterno possa essere disponibile a concedere credito circa l’abuso della scomunica, riservando a se stesso l’onere di giudicare secondo il Suo metro.
Neanche Cristo fece uso della scomunica, che avrebbe potuto anche regolamentare; non lo fece con i mercanti nel tempio, non lo fece con i pedofili di allora, facendo prevalere la Sua grandissima capacità di comprendere e di amare, ma anche di condannare e punire, al punto da sfruttare l’ultimo anelito di vita per consolare il buon ladrone e annunciargli il perdono e la salvezza (imitato dopo 2000 anni da Berlusconi, quando annunciò al buon Saccà "In verità, in verità ti dico, quando sarai un libero imprenditore, verrai con me in Mediaset").

Ora c’è questa visita pontificale all’Università di Roma, che ha scatenato inutili polemiche e pericolosi rigurgiti di anticlericalismo.
Il Vaticano avrebbe fatto molte bene a non ricordare al mondo che quell’Università fu fondata da Bonifacio VIII, ma forse si fidano troppo della memoria corta degli storici.
Una visita, detta nei termini usati dal Vaticano, che fornisce l’apparenza di un ripresa di possesso, stante l’origine e la fondazione, che suscita reazioni sopite di un ingiustificato anticlericalismo che esaspera i toni di un dialogo…fra sordi.
Sarà certamente oggetto di attenta valutazione l’intervento di Benedetto XVI, con la speranza che si presenti come testimone della fede e non come professore che impone la sua dottrina.

Rosario Amico Roxas(raroxas@tele2.it)



Martedì, 15 gennaio 2008