Preti pedofili
«Don Marco può vendicarsi»

Il Vaticano: i giovani violentati sono in pericolo


di LUCIO SALIS

I Il Vaticano teme per la vita dei testimoni che hanno accusato don Marco Dessì, prete di Villamassargia, di averli stuprati nella missione in Nicaragua. Comunicato ufficiale della Curia di Roma.


Riprendiamo questo articolo da L’UNIONE SARDA Cronaca Regionale - VILLAMASSARGIA di domenica 4 marzo 2007


L’INCHIESTA-PEDOFILIA
L’ALLARME DEL VATICANO
Un messaggio ufficiale in Nicaragua per proteggere i testi del processo

NEGATA LA LIBERTÀ
«Un prete privo di scrupoli e di valori» ha detto il gip negando la scarcerazione

Coperture e silenzi della Chiesa locale
Le intercettazioni: "Avranno vita corta"


“Proteggete chi ha testimoniato con­tro padre Marco Dessì”. L’appello arriva in Nicaragua direttamente dal Vaticano. E conferma i peggiori so­spetti: al rientro nel loro Paese, i sei giovani che hanno denunciato di es­sere stati violentati sarebbero in pe­ricolo di vita. Lo aveva scritto il Gip di Parma, Pietro Rogato, nell’ordi­nanza di custodia cautelare per il sa­cerdote di Villamassargia e ripetuto il Tribunale del riesame di Bologna, nel negargli la scarcerazione. Ora lo conferma la Curia di Roma, Congre­gazione per la dottrina delle fede, con un comunicato inviato, merco­ledì 28 febbraio, al nunzio apostoli­co in Nicaragua monsignor Jean Paul Gobel, che lo ha diffuso attra­verso la stampa. I giornali che se­guono la vicenda, El Nuevo Diario e La Prensa, di Managua, gli hanno dato enorme risalto. «La Santa Sede - dice la nota romana - chiede alla comunità ecclesiale e alla società ci­vile che siano tutelati il buon nome e l’incolumità fisica dei giovani che hanno chiesto giustizia alle autorità competenti».
Nell’occasione, si apprende che la Congregazione per la dottrina della fede ha sospeso a divinis don Mar­co, che pur restando sacerdote, non potrà confessare, celebrare matri­moni, dare la comunione, impartire l’estrema unzione e battezzare bam­bini.
È la prima volta che le autorità ec­clesiastiche abbandonano la strate­gia del silenzio, adottata da quando è esploso il caso del prete sardo ac­cusato di pedofilia dagli ex compo­nenti del Coro Getsemani. Una linea scrupolosamente osservata in Nica­ragua e in Italia. Solo per iniziativa delle associazioni di volontari di Ca­gliari e Modena la magistratura ita­liana ha infatti aperto un’inchiesta. La Chie­sa centroamericana e quella romana, per anni, non hanno fatto niente, neppure per verificare se quanto si mormorava sul comportamento di don Marco nelle missioni di Chinandega avesse qualche fondamento. Perché, già dal ’91 i volontari avevano sollecitato l’intervento del Vaticano. Silenzio.
E silenzio assoluto continua a opporre la Congregazione per la dottri­na della fede (che stavolta si è mos­sa di concerto con la magistratura italiana) a chi chiede notizie su una vicenda che sta provocando danni enormi a tutte le onlus che operano, correttamente, in Nicaragua.
Illuminante, per capire la posizio­ne della Chiesa di Managua, l’atteg­giamento tenuto, ancora mercoledì scorso, da monsignor Gobel. Nel corso di una conferenza stam­pa (servizio di Melvin Martinez, di El Nuevo Diario), legge, tre me­si dopo l’arresto di don Marco e cla­morose manifestazioni di piazza, la nota vaticana: «La Congregazione per la dottrina della fede, avendo ri­cevuto serie denunce sul caso, ha completato le indagini preliminari sulla base delle Normae de graviori-
bus delictis e del Codice di Diritto canonico». Poi si affretta a precisa­re che «aldilà del testo ufficiale, non ho idea di quali possano essere i fu­turi sviluppi della vicenda». Azzarda quindi che «sta per iniziare un pro­cesso canonico penale ma sui tempi di svolgimento non ho notizie. Sul caso non so niente di nuovo, oltre a quanto riportato nelle cronache di El Nuevo Diario».
Cade dalle nuvole, il monsignore, davanti alle domande dei giornalisti e preferisce rifugiarsi nel comuni­cato giunto da Roma: «Considerato l’intervento delle autorità italiane, che hanno fatto arrestare il reveren­do Dessì, la Congregazione per la dottrina della fede adotterà le deci­sioni definitive sul caso solo quando dette autorità avranno completato la loro inchiesta giudiziaria».
Attendono la sentenza di Parma, i giudici della Santa Sede. Nel frat­tempo, hanno sospeso a divinis don Marco, dopo avergli già minacciato la scomunica se non si fosse ritirato in preghiera presso una comunità del Lazio.
Orazioni a parte, il prete di Villa­massargia si è reso protagonista di un vorticoso giro di telefonate con i suoi collaboratori di Chi­nandega. Tutte rego­larmente intercettate dai carabinieri. Ed è proprio da questi messaggi che emergono le minacce di morte nei confronti dei testimoni che hanno suscitato il preoccupato intervento del Vaticano. Perché dopo aver de­posto a Parma, per evitare che altri bambini della missione vivessero le loro esperienze, i sei giovani non ve­dono l’ora di rientrare in patria. Do­ve, però, sanno bene che qualcuno li aspetta. Come emerge da una telefo­nata, dell’11 novembre 2006, fra don Marco e il collaboratore Ludwig Vanegas.
Don Marco: «Eh...ricordati che se potessi morire riscattato mi farebbe molto piacere e farebbe piacere an­che alla mia famiglia. E quindi c’è ancora molto da fare, perché que­sta gente rientrerà pure in Nicara­gua».
Ludwig: «No, no, non ti preoccu­pare che io praticamente adesso, quella gente ha la vita corta, te lo giuro.... rientrerà, farà, vivrà un po’, ricordati comunque che....». La mi­naccia, chiosano i giudici di Bolo­gna, non provoca alcuna reazione in don Marco «che, per tutta risposta, consiglia a Ludwig di smettere di fu­mare per il bene della sua salute, la­sciando intendere che quello che aveva detto all’inizio della conversa­zione “questa gente rientrerà pure in Nicaragua” era veramente che ve­nisse fatto del male ai denuncianti».
Niente arresti domiciliari, quindi, per un prete che «ha dimostrato di essere totalmente privo di freni ini­bitori e ha calpestato qualsiasi valo­re». Si riferiscono, i giudici, alle sue intenzioni di corrompere i testimo­ni, «se necessario, dare soldi, usa soldi....spara sino a 30 mila dollari Ludwig», accusarli di bigamia, ricat­tarli «Solo con il ricatto, va benissi­mo quello della bigamia», farli pas­sare per pazzi, minacciarli, farli ar­restare dalla polizia con false accu­se, sino a quel terrificante «quella gente ha la vita corta, te lo giuro» del fidato Ludwig.
Una promessa che i sei giovani di Chinandega non dimenticano. Uno stress che si aggiunge alla rievoca­zione in tribunale delle violenze subìte. Per questo alcuni di loro so­no sotto trattamento psicologico. De­vono recuperare lucidità. E vincere la paura.



Mercoledì, 07 marzo 2007