Pedofilia.
Sì, la parola “complicità” fa male. Ma senza l’inchiesta del ‘’Tribune de Lyon’‘...

di Barbara Marino 22/01/2008

Riprendiamo questo articolo dal sito http://www.korazym.org/news1.asp?Id=27271

Padre J.A., un cappuccino svizzero 67enne mandato in Francia nel 1989 dopo aver violentato a più riprese un bambino a Lully (Fribourg) nel 1985, è stato rivisto ad inizio gennaio a Delémont, capoluogo del canton Jura. Ha dichiarato di aver compiuto altri atti sessuali in Svizzera e in Francia. Il vescovo ha nascosto e imboscato questa vicenda e non l’ha mai denunciata alla giustizia. In queste ultime settimane il vescovo ha cercato delle scuse, tanto da essere giudicato dalla stampa come bugiardo. Nominato cappellano della scuola, il cappucino pedofilo ha diretto quattro campi scuola in una casa di vacanza a La Roche, con bambini e educatori di Estavayer-le-Lac. I genitori vogliono sapere la verità.

Il caso è scoppiato in Svizzera, quando il procuratore generale del canton Jura, Yves Maître ha ricevuto dalle autorità di Lione in Francia, una domanda di assistenza giudiziaria per procedere ad un’udienza di un cappuccino svizzero di 67 anni sospettato di pedofilia, che da due anni risiedeva al convento dei cappuccini di Montcroix a Delémont. Così veniva confermata all’agenzia Ats dal Ministero pubblico giurassiano un’informazione pubblicata dalla stampa svizzera romanda. Il frate aveva già abusato di un chierichetto a Friburgo tra il 1968 e il 1972. "Il procuratore procederà alle indagini in previsione dell’udienza", indicava la procura giurassiana, che non ha voluto dire se abbia incaricato la polizia di interpellare il presunto frate pedofilo. Bocche cucite anche in seno alla polizia cantonale.



Il convento dei cappuccini di Montcroix a Delémont.


Trapela che il cappuccino avrebbe ammesso in un’intervista di aver commesso un abuso sessuale in Francia, dove ha vissuto per oltre dieci anni. Il frate, sarebbe stato coinvolto in un caso simile in Svizzera, terminato con un indennizzo alla vittima, era stato trasferito in un monastero francese nel 1989 e aveva ottenuto un ministero a Grenoble (Francia). Nel 2002, la diocesi di Lausanne, Genève et Fribourg (Freiburg), venuta a conoscenza della situazione, aveva allertato la diocesi di Grenoble della pericolosità del religoso. Dopo aver negato i fatti, era comunque stato trasferito a Lione, ha affermato Nicolas Betticher (nella foto), vicario generale giudiziario e portavoce della diocesi romanda.

Nel 2005, la diocesi di Lausanne, Genève et Fribourg (Freiburg) apprende che il frate pedofilo è tornato in Svizzera e quindi, ha subito allertato le autorità ecclesiastiche giurassiane. Secondo Betticher, egli sarebbe sotto controllo medico e psicologico. Inoltre il comune lo tiene d’occhio e anche la sua corrispondenza viene letta.

Nel frattempo si apprende che il cappuccino sospettato di pedofilia era stato sottoposto ad interrogatorio dalla polizia dopo aver rilasciato un’intervista al settimanale francese Tribune de Lyon in cui ammetteva di "esserci ricaduto un’altra volta". Dopo la rivelazione shock del religioso, che l’ha fatto più volte, prima dell’intervento della polizia svizzera, la procura di Lione ha subito invitato le autorità svizzere di procedere all’interrogatorio.

Senza l’inchiesta de La Tribune de Lyon probabilmente non avremmo mai saputo niente del caso. Senza il giornale francese, padre J.A., frate cappuccino e pedofilo recidivo, passerebbe ancora dei giorni felici pensando - e questo sarebbe ancora il minor male - ai giovani credenti che incrociavano i suoi passi. Fortunatamente, le rivelazioni non si sono fermate dal momento dell’inchiesta giornalistica, provocando ogni volta un’eco nel silenzio colpevole di uomini di Chiesa che sapevano, di povere giustificazioni; di alibi evasivi, formulati a denti stretti da una Chiesa che sapeva. Mai il frate J.A. avrebbe dovuto poter continuare le sue pratiche. Sembra che oggi solo gli interrogatori giudiziari, le inchieste giornalistiche sono in grado di fare cambiare le cose. La verità guadagna terreno ogni giorno, mentre i drammi vengono poco alla volta alla luce. La parola "complicità" certamente fa male, come ammette il vicario generale giudiziario a Fribourg. Per la Chiesa, certo e per i suoi fedeli, ma non dimentichiamo le vittime, che da troppo tempo aspettano questo riconoscimento. È necessario una trasparenza totale sul comportamento, da parte dell’istituzione ecclesiale, dei suoi eletti. La Chiesa l’ha compiuto altrove; in Svizzera il lavoro deve ancora iniziare.



Nicolas Betticher, vicario generale giudiziario e portavoce della Curia diocesana di Lausanne, Genève et Fribourg (Freiburg), su una terrazza nei pressi del Vaticano (ottobre 2007).


Domenica 20 gennaio, per la prima volta un membro della gerarchia cattolica svizzera ha ammesso una responsabilità della Chiesa nella vicenda del 67enne cappucino pedofilo, di cui la stampa svizzera e francese aveva riferito nelle ultime settimane in seguito a un’indagine avviata contro di lui in Francia. Nicolas Betticher, portavoce e dal primo gennaio 2008 anche vicario generale giudiziario della diocesi di Lausanne, Genève et Fribourg (Freiburg) ha ammesso persino una "complicità" nella recidiva. "La parola complicità mi fa male per la Chiesa che amo, ma è vero", ha dichiarato Betticher in una intervista pubblicata domenica 20 gennaio dal giornale svizzero romando Le Matin Dimanche. "È evidente che la procedura non si è svolta correttamente all’epoca. Altrimenti non ci sarebbe potuta essere una recidiva", ha aggiunto. La curia sapeva infatti dal 1989 almeno che il sacerdote, un cappuccino, aveva abusato di un ragazzo, ma non aveva denunciato il fatto alla giustizia civile. La gerarchia ecclesiastica aveva preferito lasciar trasferire il molestatore in Francia, dove in almeno un’occasione ha compiuto lo stesso reato. Betticher ha detto di non avere spiegazioni per l’agire di allora: "Non ne ho idea. Non ho ritrovato dossier. Mons. Bernard Genoud non era ancora vescovo. Io non c’ero. Constato che si è agito in modo inaccettabile. All’epoca c’era una omertà spaventosa. Nei club di calcio, nelle scuole, si agiva allo stesso modo. Ma per un prete, è molto più grave: dev’essere al di sopra di ogni sospetto". Da allora le cose sono cambiate, ha assicurato Betticher: "Abbiamo ormai una procedura molto severa. Non appena il vicario generale giudiziario è informato dei sospetti, deve immediatamente condurre un’indagine ecclesiastica. Se i fatti trovano conferma, chiederà al prete di denunciarsi. Se rifiuta, lo farà egli stesso".



Nicolas Betticher, vicario generale giudiziario e portavoce della Curia diocesana di Lausanne, Genève et Fribourg (Freiburg).


Il frate in questione è tornato in Svizzera nel 2005 e vive attualmente nel convento di Montcroix a Delémont, nel canton Jura, dove è protetto dalla pressione dei media, secondo quanto ha affermato, dopo averlo negato prima, il provinciale dei cappuccini, padre Ephrem Bücher, in carica da un anno. "Siamo anche noi responsabili in quanto cappuccini, perché all’epoca non abbiamo agito come avremmo dovuto", ha ammesso Bücher ai microfoni della radio romanda, quando un giornalista aveva visto il frate al convento di Montcroix.

Padre J.A. è stato interrogato lo scorso 14 gennaio dalla polizia cantonale giurassiana su richiesta di quella francese. Egli ha ammesso palpeggiamenti a carattere sessuale su un dodicenne nel 1992 nella regione di Grenoble. La vittima era suo nipote, ha indicato la magistratura francese, che si riserva di spiccare un mandato di cattura internazionale. Il frate svizzero sospettato di pedofilia in Francia, ha confermato durante un’audizione davanti alla polizia giurassiana di aver molestato sessualmente un minorenne nel 1992. La vittima era il nipote di 12 anni, ha ammesso la giustizia giurassiana. Il cappuccino ha precisato di aver avvicinato intimamente il ragazzo in una sola occasione dopo il suo arrivo in Francia nella regione di Grenoble, ha dichiarato il 16 gennaio 2008 il procuratore generale della Corte d’appello di Lione, Jean-Olivier Viout. Il frate avrebbe anche riconosciuto di aver commesso molestie anche in Svizzera. Ascoltato dalla polizia giudiziaria giurassiana il 14 gennaio, il prete ha poi dato il suo accordo affinché il verbale venisse consegnato al procuratore generale della Corte d’appello di Lione. La giustizia francese potrebbe decidere di archiviare il caso o chiedere un mandato d’arresto internazionale a causa della gravità dei fatti. Intanto, la polizia giurassiana sta indagando per sapere se il religioso abbia commesso altri abusi in Svizzera non ancora prescritti. Trasmetterà quindi le sue conclusioni al Ministero pubblico che potrebbe aprire un procedura e chiedere l’arresto del sospettato fedofilo.

I vescovi svizzeri hanno promesso di rivedere le loro direttive riguardanti i casi di pedofilia risalienti al 2002. Il caso è ancora confuso, ha dichiarato Walter Müller, portavoce della Conferenza dei vescovi svizzeri. Come emerso domenica 13 gennaio, la Curia vescovile sapeva che dal 1989 il cappuccino, aveva abusato di un ragazzo, ma non aveva denunciato il fatto alla giustizia civile. Il molestatore sarebbe stato pure recidivo. Da parte suo, il vicario generale giudiziario Nicolas Betticher, secondo 24 heures e la Tribune de Genève di ieri, 21 gennaio, ha proposto quale mezzo per combattere i casi di recidiva, l’istituzione di una banca dati e di una rete di collaborazione fra gli episcopati a livello mondiale, oltre ad una maggiore severità e attenzione nel seguire i casi sul lungo periodo. Le citate regole interne della CVS, per esempio, prescrivono già bilanci psicologici semestrali.



Il cancelliere giudiziario e addetto stampa della diocesi di Lausanne, Genève et Fribourg, Nicolas Betticher è stato ordinato sacerdote nella cattedrale di San Nicola di Fribourg nell’autunno del 2007. Così poteva ricevere la nomina di vicario generale giudiziario, aggiungendo un’altra funzione alle sue numerose incarichi. Laico di 45 anni, teologo di formazione, aveva detto di rispondere a "una chiamata di Dio". Dopo 28 anni passati nel servizio della Chiesa cattolico come laico, Nicolas Betticher aveva deciso di fare il passo e di diventare prete. "La vocazione la porta dentro da trent’anni. Dio m’ha chiamato da tanto tempo e è ha avuto pazienza. Ha bussato alla porta finché l’aprisse". Deputato al Grand Conseil dal 2001 e capo gruppo parlamentare del partito democristiano PDC, talvolta descritto come ambizioso e carrierista, ha abbandonato tutti i suoi mandati politici il 3 novembre 2004.


La traduzione del testo integrale dell’intervista a Nicolas Betticher pubblicata dal giornale svizzero Le Matin Dimanche, domenica 20 gennaio 2008

Mentre il caso del capuccino pedofilo sconvolge la svizzera Romanda, Nicolas Betticher (vicario giudiziario) ammette la responsabilità della chiesa che ha coperto questo prete. Betticher chiede scusa alle vittime e promette dei cambiamenti.

Gli atti di un prete pedofilo e il silenzio della chiesa sconvolgono la svizzera romanda. Da ieri si parla addirittura di suicidi di alcune persone legate a questa vicenda. Se avesse di fronte a lei le vittime cosa gli direbbe?
"La Chiesa dovrebbe chiedere scusa. Ammetterei che la Chiesa è anche responsabile del loro malessere. Condividerei la loro sofferenza e sì gli chiederei scusa. Questo non gli permetterà di guarire. Ma saranno almeno riconosciute come vittime".

Ammette che la Chiesa si è resa complice e recidiva non denunciando il prete?
"La parola complicità mi fa male per la Chiesa che amo, ma è vero. È evidente che la procedura dell’epoca non è stata corretta. Altrimenti non ci sarebbe stata, forse, recidiva. È vero che il rischio zero non esiste, ma ci deve essere tolleranza zero".

Perché non avete mai denunciato questo prete? Il vescovo sa dal 1989 che questo uomo ha violentato un bambino! Vi sentite al di sopra della giustizia civile?
"No, assolutamente no. Mio Dio, mai! È sbagliato pensare questo. Abbiamo mal agito mandando questo sacerdote in Francia. Ma bisognava allertare la giustizia al suo rientro nel 2005? All’epoca ci avevano garantito che aveva seguito una terapia e che era sorvegliato da vicino. Inoltre i fatti erano caduti in prescrizione, e la vittima non voleva denunciare il sacerdote. Per rispetto nei suoi confronti non l’abbiamo denunciato".

Questo significa che non denunciate tutti i casi alla giustizia malgrado le promesse fatte da mons. Genoud nel 2002?
"Quando il vicario generale giudiziario, posto che occupo dal 1° gennaio, è informato dei sospetti, deve immediatamente fare un’inchiesta ecclesiastica. Se i fatti sono veri egli domanderà al prete di denunciarsi. Se questo rifiuta, lo farà lui stesso".

Ma non l’avete fatto per questo prete.
"Non voglio parlare dei miei predecessori ufficiali. Ora abbiamo una procedura molto rigida".

Un ex collega di questo prete afferma di aver avvertito le autorità ecclesiastiche nel 1986. Perché lo avete spostato solo nel 1989? Perché un silenzio di tre anni?
"Non ne ho nessuna idea. Non ho ritrovato il dossier del caso in questione. Non c’ero al tempo dei fatti. Constato però che la vicenda si è svolta in modo inaccettabile. All’epoca c’era un’omertà vergognosa. Nelle squadre di calcio, nelle scuole si agiva allo stesso modo. Ma un sacerdote è molto più grave: deve essere al di sopra di ogni sospetto".

Il vescovo è stato accusato dalla stampa di non aver annunciato il rientro del cappuccino violentatore nel 2005, e di aver assicurato nelle ultime settimane che quest’ultimo era strettamente sorvegliato, quando questo non corrisponde a verità. Siete dunque dei bugiardi?
"Evidentemente no. Bisognerebbe essere pazzi a mentire rispetto ad un dossier simile. Non abbiamo annunciato alla vittima il ritorno del prete per non riaprire delle ferite. Per il resto ci avevano certificato che l’uomo in questione, che è un cappuccino e non un prete, era sotto controllo. Quando abbiamo saputo che era ritornato in Svizzera nel 2005 l’abbiamo denunciato alle autorità ecclsiastiche locali (Basilea). In seguito ho letto sui giornali delle informazioni sulla sua libertà di movimento diverse da quelle ricevute dai cappuccini".

I responsabili sarebbero dunque i superiori cappuccini?
"Evidentemente. Quando leggo che il sacerdote è stato recidivo in Francia, questo mi sciocca molto. Non voglio giudicare. Cerco di capire, ma è difficile, quasi impossibile. Resta il fatto che tutto quanto è successo in questa vicenda è grave sia a livello dei superiori cappuccini di Friburgo, francesi e di Delemont, che a livello del vescovo. Non abbiamo agito correttamente. Questo da oggi deve cambiare".

Come?
"Vorrei dire una cosa alla svizzera romanda. Domando a tutti fedeli e cittadini: se avete delle informazioni su dei casi di abuso conosciuti e non, fatecelo sapere. Le domande saranno trattate in modo confidenziale. Dite alle vittime che possono venire a confidarsi sia dal vescovo, sia da me. La Chiesa non conosce la prescrizione. Ogni inchiesta permette di trovare la verità".

Dove trovarvi?
"Abbiamo un Hotline. Lo 079 432 85 43, è il numero del vescovo. Se finite sul combox lasciate un messaggio."

Non avete paura di essere bombardati di chiamate?
"E quando? Se fosse così ...".

Come vive queste accuse?
"Nel 2002 eravamo la sola Curia in Svizzera a prendere le cose in mano. Quando leggo oggi che ci trattano come bugiardi, questo mi rattrista. Quello che mi rende triste è l’assenza di reazione da parte delle altre Curie svizzere. Non voglio parlare delle altre Curie ...".

Nella foto: Nicolas Betticher, vicario generlae giudiziario e portavoce della Curia diocesana di Lausanne, Genève et Fribourg (Freiburg).



Martedì, 22 gennaio 2008