PRATICAMENTE UN’INFAMIA

O, come mio padre mi ha salvato dalle grinfie di un prete cattolico


di Will Swaim
(Traduzione di Stefania Salomone)

Riguardo la bizzarra simultaneità di eventi negativi che esistono lungo la via della tua buona sorte, può succedere che tu prenda una boccata di aria dell’oceano sull’uscio di casa e, nello stesso momento, qualcuno da un’altra parte sfiora la morte respirando il fumo di un incendio che si sprigiona proprio in un angolo del suo salotto. Immagina questa idea quotidiana di terrore che sa di sangue anche se siamo immersi in una bellezza da spezzare il cuore: una macchina che brucia, senza portiere e senza finestrini, col bagagliaio aperto e sullo sfondo delle palme che sfiorano il cielo blu. Considera le morti inutili di bambini senza volto. Ricorda Agostino di Ippona che denunciava l’astrologia come assoluto inganno perché due persone nate nello stesso momento potessero camminare su sentieri paralleli, uno verso l’inferno e l’altro verso quel qualcosa chiamato paradiso. Ritorna con la mente al momento in cui la tua fede tenace nella misericordia di Dio è stata intaccata perché non ti sembrava possibile che amore e odio potessero coesistere sotto lo stesso sacro paramento.
Un momento del genere l’ho vissuto negli anni ’70 nella chiesa di S. Killian alla missione di Viejo poco prima della fine della messa della domenica mattina - in ottobre, mi sembra: grandi nubi oscurarono il cielo ceruleo, raffreddando l’aria come per anticipare l’inverno.
Io e il mio amico Roger avevamo preparato un tavolo fuori della chiesa, la nostra chiesa, dove speravamo di vendere dei dolciumi a tutti quei bravi cattolici. Esponevamo un cartello che diceva - AIUTATECI A SOSTENERE LA SCUOLA MISSIONARIA - e aspettavamo la fine della messa perché uscissero i nostri clienti.
Era autunno, indossavamo i nostri soliti cardigan rossi della vecchia Missione San Juan Capistrano; i capelli pettinati da un lato col gel, le bianche camicette abbottonate fino al collo, le scarpe nere un pò consunte. Lottando contro il freddo, tenevamo le mani in tasca dei pantaloni di velluto.
"Ehi, ragazzi, vi state masturbando?".
Ho alzato gli occhi perplesso e ho guardato dritto negli occhi Bertrand Horvath, Padre Bert. O forse non l’ho guardato proprio direttamente: ma io ricordo i suoi occhi cerchiati di nero che brillavano come quelli di un personaggio dei cartoni animati. E poi sento la coscienza stritolata come in una camicia di forza.
Ricordo di essermi imbarcato in una serie di elucubrazioni, facendo una miriade di calcoli socio-psicologici: Sta scherzando? Se è così, dovrei rispondere a tono? Come posso però scherzare sul peccato con un uomo che è la voce di Dio? O forse: Padre Bert, come uomo di Dio, ha la capacità di vedere chiaramente nei ventricoli e antri del mio cuore? Egli può discernere la presenza di qualcosa di veramente losco e non veniale, ma mortale sulla scala del peccato?
Troppo lento, stetti lì fermo, guardandolo fisso, con gli occhi umidi di pianto.
"Ragazzi, giocate col fondo delle tasche?", domandò. E poi fece una serie di ipotesi: "Vi toccate a vicenda? Vi masturbate a vicenda? O semplicemente ciascuno di voi si tocca?".
Ricordo - o meglio, e questo è significativo: penso di ricordare - che soppesai le possibili risposte, ma me ne vennero talmente tante in testa, in tanti modi che rimasi senza respiro: se rispondevo che non ci toccavamo a vicenda, forse voleva dire che lo facevo da solo? Potevo realmente affermare che io e Roger non ci eravamo mai toccati? Eravamo molto amici, dopo tutto, quindi era possibile che ci fossimo sfiorati, innocentemente.
Balbettai qualcosa di insensato e Padre Bert se ne andò, poco prima della fine della messa delle 8:00.
Riuscii a vendere alcuni dolci, riflettendo sul fatto che essi si erano sporcati passando attraverso le mani sporche di un ragazzo peccaminoso. Ero terrorizzato all’idea che padre Bert potesse vedere tutto il mio futuro attraverso la mia divisa.
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Roger ed io caricammo il tavolino nella El Dorado di suo padre e io salii nella macchina di mio padre, una Mustang del 1966.
"Non è andata bene?", mi chiese mio padre.
Lo guardai negli occhi, attraverso lo specchietto.
"Non avete venduto abbastanza dolci?", mi chiese di nuovo.
Gli dissi di padre Bert e immediatamente me ne pentii. Lui accostò la macchina sul ciglio della strada. Ma non si girò verso di me, semplicemente mi guardava intensamente nello specchietto retrovisore.
Pensai che la mia vita era finita. Mio padre era cresciuto negli anni della depressione da un padre molto violento che quando morì, mia nonna comprese la gravità della situazione provocata da quell’uomo e mandò mio padre in collegio e fuggì da Inglewood, rifugiandosi in un convento a Bay Area. Mio padre finì in collegio e poi partì militare, mancando per un pelo la guerra di Corea. Costruì la sua famiglia su quattro pilastri fondamentali: cattolicesimo, disciplina, rispetto dell’autorità e l’etichetta. Non esisteva calore, amore e perdono; il nostro Dio era più un marziano che simile a Gesù.
Ma ora, con le quattro frecce accese sul ciglio della strada, mio papà orfano fece qualcosa di strano.
Cioè non fece nulla.
Mi ascoltò pazientemente, senza battere ciglio. Infine mi chiese: "Padre Bert ha detto proprio questo?". Anuii e aspettai che mi scaraventasse fuori dall’auto come si fa con un pesce strappato al mare, per quello che probabilmente avevo commesso, non ultimo il fatto che avessi messo in dubbio l’integrità di un membro della chiesa.
Invece, rimise in moto l’auto e guidò verso casa in silenzio. Davanti casa, scese dalla macchina, mi aprì lo sportello e mi fece scendere dicendo di avvisare la mamma che sarebbe tornato subito. Mise in moto e se ne andò.
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Anni dopo, quale editore di OC Weekly, collaborai col reporter Gustavo Arellano per un evento così strano che vi prego di astenervi dalla vostra naturale incredulità. Arellano aveva le prove di un prete dell’arcidiocesi di Los Angeles e nella Contea di Orange, che aveva molestato schiere di bambini. E un giorno venne nel mio ufficio, mise un file sulla mia scrivania e disse: "Penso che questo ti possa interessare".
Dentro la cartella c’era un rapporto su Padre Bertrand Horvath. I documenti ufficiali ecclesiastici, sembravano provare che le autorità fossero a conoscenza delle accuse di molestie sessuali su minori che Horvath aveva perpetuato a St. Killian. Arellano sintetizzò il documento in questo modo:
"I dati ufficiali della chiesa dimostrano che Horvath era conosciuto alla Missione Viejo di St. Killian fin dai primi anni ’70 per aver fatto spogliare dei chierichetti, consegnando loro ciò che il documento descrive come "groviglio di tette". Sembra che Horvath si toccasse mentre chiedeva ai ragazzi se si masturbavano. Horvath lasciò St. Killian per una parrocchia di Los Angeles e fu spostato nel paese fino al 2000, quando le autorità diocesane finalmente misero in guardia la diocesi di Amarillo sui trascorsi di Horvath. Dopo di che, Horvath fu mandato a riflettere".
Chiamai i miei genitori per dar loro la notizia. Loro stanno ancora a St. Killian, ancora fervidi cattolici. Non ero sicuro di cosa avrebbero fatto con quei documenti.
Fu allora che mio padre mi disse il resto della storia. O meglio la sua storia, perché adesso comincio a capire il senso della sua paternità.
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Dopo che mi aveva scaricato a casa, era andato in chiesa e aveva chiamato il padre di Roger.
Come il mio, il padre di Roger era un cattolico della vecchia guardia. Immagino che non abbia gradito la chiamata. Immagino che sia sceso da Pill Hill - quella che noi chiamavamo la città blindata della Missione di Viejo dove i professionisti abitavano in case accoglienti - a El Dorado lui si lanciò a 120 miglia all’ora sulla L5. Immagino i cittadini di El Dorado strillare quando ha svoltato nel parcheggio della chiesa per incontrare mio padre.
I due chiesero al pastore padre Michael hughes, un irlandese con la faccia da mastino, un incontro con Horvath. Hughes non accolse la richiesta e quella decisione probabilmente mi salvò dal diventare orfano, come mio padre: mio padre ammise che sia lui che il padre di Roger avrebbero fatto giustizia sommaria. Ma Hughes lasciò i due genutori con l’impressione di aver già ricevuto simili lamentele.
Tre o quattro mesi dopo, Horvath se ne andò.
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La scorsa settimana l’Arcidiocesi di Los Angeles ha offerto 660 milioni di dollari per risarcire le accuse di molestie rivolte ai suoi preti, incluso Horvath, che ha molestato più di 508 bambini in alcuni decenni. Non fui sorpreso che la chiesa avesse cercato di coprire i suoi misfatti, fino a cambiare il corso delle cose, chiedendo scusa ed offrendo il risarcimento. Guardo la televisione. Non è così che fanno le perpetue?
No. Volevo scoprire perché la polizia locale ha fatto così poco. Ho chiamato John Manly, un amico avvocato che rappresenta 50 vittime nel caso della diocesi di Los Angeles.
Manly mi ha chiesto di raggiungerlo nel suo ufficio di Newport Beach per parlare e per incontrare qualcuno molto interessante per me.
L’ufficio di Manly è come un maniero di campagna relegato in un ambiente residenziale. Immagini di velieri campeggiavano sui mobili di legno. Un luogo silenzioso.
Mangly aveva invitato anche uno dei suoi clienti che chiameremo Brian. Un uomo sui 50 anni, cresciuto anche lui a St. Killian. Manly mi ha chiesto di raccontargli la mia storia.
Avevo quasi terminato il racconto che gli occhi di Brian si riempirono di lacrime. Ho scoperto che Padre Bert lo aveva approcciato in una maniera simile.
"Le chiamiamo strigliate", disse Manly, e, benché gli approcci potevano essere differenti, l’obiettivo era lo stesso: i molestatori ti ispezionano, verificando la tua risposta, cercando di coglierti in fallo".
Come me, Brian aveva detto a suo padre della strigliata di Horvath. Ma suo padre si era comportato diversamente dal mio: "Mi disse, forse sei tu che cerchi tutto questo".
Padre Bert chiamò i suoi genitori dopo una settimana, chiedendo di far andare il figlio da lui per aiutarlo a strappare le erbacce. Brian non voleva. I suoi genitori, fieri che un prete avesse attenzioni personali per il figlio, lo convinsero.
Brian disse che in canonica Padre Bert Horvath lo aveva molestato ripetutamente.
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Raccontai ad un amico questa storia, gli ho detto che la biografia di Brian - che si contorceva per evitare le mani insistenti di Horvath, vergognose e false - mi faceva sentire un personaggio di un film muto, quello che cammina allegramente sotto il pianoforte che cade, negli interstizi di una parete che crolla o fra due auto prima dell’incrocio - e una volta passato, si volta indietro contento di essere salvo.
"Avrei potuto essere Brian" ho detto al mio amico. "Quel prete avrebbe potuto catturarmi, ma per grazia di Dio non è accaduto".
"Non Dio, fratello" mi ha detto l’amico "ma tuo padre. Mettiti in ginocchio e ringrazialo. Qualunque cosa tuo padre abbia fatto di sbagliato, ha fatto bene la cosa più importante."



(Traduzione di Stefania Salomone)

Testo originale


ALMOST INFAMOUS
Or, How my dad saved me from a Catholic priest

By Will Swaim
Regard the weird simultaneity of loss that appears alongside your own good fortune, the fact that as you take a deep in-breath of ocean-scented air outside your front door, someone somewhere is likely choking to death on the smoke ballooning from a fire presently consuming her living-room corner group. Imagine the everyday image of blood-basted terror amidst heart-rending beauty-a flaming car, its doors and windows missing and trunk yawning open, in the foreground, a stand of palm trees reaching skyward in back. Consider the wasting deaths of pie-faced children. Remember Augustine of Hippo denouncing astrology as an obvious fraud because two people, born at precisely the same moment can and often do run along parallel paths, one leading to hell and the other to something like heaven. Recall that moment when your unimpeachable faith in a merciful God was first impeached precisely because it seemed unlikely that love and hate could co-exist under the same sacred canopy.
One such moment came to me in the mid 1970s at St. Killian church in Mission Viejo just before the end of a Sunday morning Mass-in late October, probably: high clouds shredded across a cerulean sky, the air hardening in anticipation of winter.
My friend Roger and I had set up a card table outside the church, our church, hoping to sell candy bars to all the good Catholics. We taped a sign to the table-HELP SUPPORT THE OLD MISSION SCHOOL-and waited for the end of Mass and the release of our customers.
It was fall, as I say, and so we were wearing our red Old Mission San Juan Capistrano cardigans; hair gelled over to one side, little white shirts buttoned to the top, scuffed black dress shoes. Bracing against the cold, we had plunged our hands deep into the pockets of our salt-and-pepper cords.
"You guys masturbating?"
I looked up sharply and directly into the eyes of Bertrand Horvath-Father Bert. Or rather, indirectly: even now I recall his dark-ringed eyes shifting like a cartoon character’s. And then self-consciousness fell like a straitjacket.
I remember disappearing into my head, making myriad, quick socio-psychological calculations: Is he joking? If so, should I respond in kind? How do you laugh about sin with a man whose voice is God’s? Or, more likely: Is Father Bert, a man of God, able to see clear into my atria and ventricles? Can he discern there something really dark and not merely venial but mortal on the scale of sins?
Too slow, I stood there looking at him, my eyes swelling.
"You guys playing pocket pool?" he asked. And then, more quickly, a catalog of possibilities: "Do you guys touch each other? You getting each other off? Or do you just touch yourselves?"
I remember-or, and this may prove significant: I think I remember-that I weighed some of the possible answers, but that these quickly proliferated in my mind like a decision-tree of countless branches and impossible breadth: If I said we didn’t touch each other, was I suggesting that I touched myself? Was it strictly true that Roger and I didn’t touch each other? We were best friends, after all, so it was certain that we had touched each other, however innocently.
I stammered something inconclusive, and then Father Bert was gone, swept just ahead of the 8 a.m. Mass exodus.
I sold a few candy bars, reflecting on the fact that each of them was unclean, passed through the hands of a dirty, sinful boy. I was so obviously hellbound that Father Bert could read my future right through the palimpsest of my school uniform.
• • •
Roger and I loaded the folding table into his dad’s El Dorado. I climbed into the back of my dad’s 1966 Mustang.
"Didn’t it go well?" my dad asked.
I looked up into his eyes, reflected in the rearview mirror.
"You didn’t sell enough candy bars?" he asked again.
I started to tell him about Father Bert and instantly regretted it. He edged the car to the side of the road. He never turned around, just looked steadily at me in the rearview mirror.
I figured my life was pretty much over. My father was raised in the Depression by a man so violently insane that, when he died, my grandmother shed the gravity and company of men, including my father. She put him in a boarding school and fled Inglewood for a Bay Area convent. My dad went to college and then into the military, only barely missing the Korean War. He built the Swaim home on four pillars: Catholicism, discipline, respect for authority, and etiquette. We were not about warmth, love, and forgiveness; our God was more Mars than Jesus.
But now, his car idling on the side of the road, my fatherless father did something amazing.
He did nothing.
He listened to me patiently, his eyes unblinking. Finally he asked, "Father Bert said that?" I nodded and waited to be hauled from the car like a fish from water and clubbed on the side of the road for any of the many wrongs I knew I had just committed, not least among them impugning the integrity of the church triumphant.
Instead, he shifted the car into drive and we road home in silence. Outside our house, he leaned over and threw open the passenger door, ordered me to tell Mom he’d return shortly, and then drove away.
• • •
Years later, as editor of OC Weekly, I participated with investigative reporter Gustavo Arellano in a moment so cinematic that I beg you to suspend your natural disbelief.
Arellano had been dogging charges that priests in the Los Angeles Archdiocese, and in the Orange County diocese that followed, had molested scores of kids. And then one day, he came into my office, dropped a file on my desk, and uttered words straight from a bad script: "I think you’ll want to see this."
Inside was the file of Father Bertrand Horvath. Comprised of church documents, it seemed to prove that diocesan officials knew Horvath was alleged to have molested countless boys while at St. Killian. Arellano would later sum up the documents this way:
"Church records show Horvath was notorious at St. Killian in Mission Viejo during the early 1970s, where he made altar boys ’remove their shirts’ and gave them what the document describes as ’tittie twisters.’ Horvath is reported to have fondled himself while asking boys whether they masturbated. Horvath left St. Killian for a Los Angeles-area parish and bounced across the country until 2000, when Orange diocesan officials finally alerted their peers at the Amarillo Diocese about Horvath’s past. After that, Horvath was placed in counseling."
I called my parents with the news. They’re still at St. Killian, still what you’d called hardcore Catholic. I wasn’t sure what they’d make of the file.
That’s when my dad told me the rest of my story. Or rather his story, because ultimately I guess this is about fathering.
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After he dropped me off at home, he drove two miles back to the church. When he got there, he called Roger’s dad.
Like mine, Roger’s dad was a Catholic of the old school. I imagine he received the call not with grace and dignity but outrage. I imagine he raced down from Pill Hill-what we called the walled city in which Mission Viejo’s wealthiest professionals made their comfortable homes-in the El Dorado he once pushed to about 120 miles per hour on the I-5. I imagine the El Dorado’s tires screaming as he made the final turn into the church parking lot where he met my dad.
The pair asked the pastor, a dog-faced but warm Irishman named Father Michael Hughes, for a showdown with Horvath. Hughes declined their request, and that decision probably saved me from growing up, like my dad, without a father: my dad admits that he and Roger’s dad may have alluded to some rough justice. But Hughes left our dads with the impression he’d already received similar complaints.
Three or so months later, Horvath was gone.
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Last week, the Catholic Archdiocese of Los Angeles offered $660 million to settle claims its priests, including Horvath, molested 508 kids over the last several decades. I wasn’t surprised that the church had tried to cover up, mislead, and dissemble before finally reversing course, apologizing and offering to settle: I watch some television-isn’t that what perps do?
No. What I wanted to discover was why local police had done so little. So I called John Manly, a friend and an attorney who represented 50 plaintiffs in the LA case.
Manly asked me to come to his Newport Beach office to talk and, by the way, meet someone I’d find interesting.
Manly’s office is like an English country manor shrunk into a business park. Pictures of naval vessels hang above leather furniture. The place was hushed.
Manly had invited one of his clients to join us. Let’s call him Brian. A man of 50, Brian had also grown up in St. Killian. Manly asked me to tell Brian my story.
I was barely through it when Brian’s eyes brimmed with tears. It turned out that Father Bert had approached Brian in roughly the same manner.
"It’s called grooming," Manly told me later, and though they may have slightly different approaches, the goal is the same: "The molesters are checking you out, trying to see how you respond, trying to find your weakness."
Like me, Brian told his dad about Horvath’s grooming. But Brian’s dad handled the moment very differently than my father had, Brian said: "He said, ’You’re probably asking for it.’"
Father Bert called Brian’s parents a week later, asking if Brian could come by the rectory and pull some weeds. Brian resisted. His parents, delighted that a priest had graced their child with such personal attention, insisted.
At the rectory, Brian said, Father Bert Horvath molested him repeatedly.
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I told a friend this story, told him that Brian’s biography-of squirming to avoid Horvath’s probing hands, of shame and failed relationships-made me feel like a character in a silent movie, the guy who walks blithely beneath falling pianos, in the interstices of swinging wrecking balls, and between speeding cars at an intersection-and once safely through, seeing his own nearness to mayhem, faints.
"I could have been Brian," I told my friend. "That priest could’ve got me. There but for the grace of God go I."
"Not God, brother," he said, "your dad. Get down on your knees and thank him. Whatever else your dad ever got wrong, he got right the one thing that matters most."
http://thedistrictweekly.com/dwweb/?p=441



Martedì, 31 luglio 2007