Ancora su don Gelmini

Notizie dall’agenzia ADISTA


IL VATICANO SCARICA GELMINI:IN CASO DI RINVIO A GIUDIZIO, DOVRÀ LASCIARE LA SUA COMUNITÀ

34221. AMELIA (TR)-ADISTA. Può ancora contare sull’appoggio di Silvio Berlusconi che, intervenendo telefonicamente alla tradizionale festa del 25 dicembre organizzata ad Amelia per festeggiare il Natale e salutare i ragazzi che terminano il loro percorso terapeutico alla Comunità Incontro, ha assicurato tutto il suo impegno, la sua vicinanza, il suo aiuto. E potrà contare ancora anche sul sostegno di molti esponenti di An e del centrodestra, primo fra tutti Maurizio Gasparri. Ma don Pierino Gelmini sembra oramai non poter contare più su quello della gerarchia cattolica.
Il 27 dicembre scorso, infatti, la Procura di Terni ha chiuso le indagini a suo carico. Il capo di imputazione formulato dall’accusa è molestie sessuali a danno di nove ragazzi. Don Pierino li avrebbe molestati e in alcuni casi costretti ad avere rapporti sessuali, "minacciando - come sottolinea il pubblico ministero nel capo d’imputazione - di avvalersi della sua autorità e della conoscenza di numerosi personaggi politici influenti e promettendo favori tramite dette conoscenze". I presunti abusi sarebbero avvenuti, secondo i pm, dal 1999 al 2004, sempre all’interno della Comunità di Amelia; uno dei ragazzi sarebbe stato molestato "fino a tutto il mese di ottobre 2007", quando cioè il sacerdote era già stato interrogato e sapeva quindi di essere sotto inchiesta. Due delle presunte vittime, inoltre, erano, all’epoca dei fatti, minorenni. Stante la mole di testimonianze raccolte (decine i ragazzi ex ospiti che hanno deciso negli ultimi mesi di raccontare la loro versione dei fatti agli inquirenti) il rinvio a giudizio dovrebbe essere scontato. Dall’avvio delle indagini, inoltre, la posizione di don Gelmini si è ulteriormente aggravata. Non ci sono solo le accuse di abusi e molestie sessuali, infatti, ma anche quella di aver tentato, con l’aiuto di tre stretti collaboratori, di costringere al silenzio i suoi accusatori arrivando anche ad offrire denaro. Inoltre, Gelmini è accusato anche di aver tentato di ottenere notizie riservate sulle indagini in corso a suo carico (v. notizia successiva). Così, in vista del probabile avvio di un processo penale a carico del fondatore della Comunità Incontro, il Vaticano pare abbia fatto un passo indietro, inviando una lettera a Gelmini, i cui contenuti, gli sarebbero stati anticipati già a metà dicembre, nel corso di un incontro con il vescovo di Terni mons. Vincenzo Paglia. Il succo della missiva sarebbe questo: se ci sarà il rinvio a giudizio, il Vaticano chiederà a don Pierino di lasciare la guida della comunità. Non si tratterebbe di un provvedimento disciplinare. Solo la richiesta – simile a quella fatta al fondatore dei Legionari di Cristo padre Marcial Maciel (anch’egli accusato di abusi sessuali da molti suoi ex seminaristi) – di ritirarsi a vita privata. Ma per don Pierino è una tegola ben più pesante che un provvedimento canonico. Significherebbe abbandonare per sempre la comunità di recupero che ha fatto la sua fortuna. Tanto più che Gelmini, ancora fino a poco tempo fa, sperava nella una difesa d’ufficio della Santa Sede. Don Pinchelli, uno dei sacerdoti che lo affiancano, dopo l’avviso di garanzia ricevuto in agosto da don Pierino, si è rivolto a Benedetto XVI chiedendogli di "difendere l’operato di quanti lavorano nella comunità". Nell’ottobre scorso, il papa, attraverso il Sostituto mons. Fernando Filoni, ha risposto alla lettera di don Pinchelli assicurando "la sua preghiera affinché quella benemerita opera, con la grazia di Dio, possa continuare a promuovere il recupero e la crescita umana e cristiana di tanti ragazzi e ragazze emarginati". L’invio dell’"implorata benedizione apostolica", è stata interpretata dall’entourage di Gelmini come una netta presa di distanza del Vaticano rispetto all’iniziativa della magistratura. Ma probabilmente non era così. O almeno, non è più così, visto l’intricato guaio giudiziario in cui è adesso invischiato don Pierino. Un guaio da cui la Chiesa intende restare fuori, specie per l’enorme esposizione mediatica che la vicenda rischia di avere nei prossimi mesi.
La risposta di Gelmini alla richiesta del Vaticano non si è comunque fatta attendere: "Don Pierino Gelmini - ha dichiarato il suo portavoce Alessandro Meluzzi - ha chiesto pro gratia e umilmente al Papa, in una lettera, di essere ridotto allo stato laicale, nella determinazione di rimanere fino alla morte nella Comunità Incontro con i ragazzi, senza coinvolgere la Comunità e per poter affrontare le questioni giudiziarie". In soldoni: meglio una sanzione canonica, anche gravissima come la riduzione allo stato laicale (particolarmente sgradevole per un prete come Gelmini, attaccatissimo ai titoli ed ai privilegi ecclesiastici, tanto che negli anni ‘60 millantava un titolo – quello di monsignore – mai ottenuto, v. Adista n. 57/07), piuttosto che la perdita della leadership della sua comunità (alla festa del 26 dicembre, ad Amelia, c’era comunque uno storico amico e sponsor di Gelmini, monsignor Franco Gualdrini, ex vescovo di Terni, simbolicamente nominato da Don Pierino anche ‘vescovo’ della sua Comunità). Ci fu un caso, per la verità, in cui il Vaticano accettò la riduzione allo stato laicale di un prete per consentirgli di affrontare in piena autonomia, e senza coinvolgere le istituzioni ecclesiastiche, una vicenda giudiziaria. Si tratta di don Zeno Saltini, che alla fine del 1953 chiese e ottenne pro gratia (la stessa formula usata da Gelmini) la riduzione allo stato laicale per affrontare le vicende che avevano portato alla violenta chiusura di Nomadelfia, ma anche il processo che si era aperto a Bologna nel novembre 1952, nel quale don Zeno e alcuni collaboratori erano accusati di truffa e millantato credito. Nomadelfia si ricostituì a Montorsaio, nella Maremma Grossetana già a partire dal 1954. E il processo a carico di don Zeno e degli altri "Nomadelfi" si concluse con la piena assoluzione. Don Zeno, che lo richiese fin dal 1957, fu reintegrato nello stato clericale nel 1962 e poté così celebrare la sua seconda "prima messa". Ma quella era un’altra storia. (valerio gigante)

TUTTI GLI UOMINI DI DON PIERINO NEL MIRINO DELLA MAGISTRATURA

34222. TERNI-ADISTA. Non è solo don Pierino Gelmini ad essere coinvolto nelle indagini avviate dalla Procura di Terni e concluse il 27 dicembre scorso. Intorno a lui si sarebbe infatti creata una "rete" di protezione, attiva già alla fine del 2006. Scrive il pm negli atti depositati in Procura alla conclusione degli indagini che Patrizia Guarino, madre di una delle presunte vittime, G. P., "dopo aver saputo le accuse mosse da suo figlio durante l’interrogatorio del 15 novembre 2006 presso la squadra mobile, comunicava le circostanze a Pierluigi La Rocca che lo comunicava a don Gelmini, aiutandolo a eludere le investigazioni". La Rocca è uno dei più stretti collaboratori di don Pierino. "Dopo aver appreso da Guarino dell’esistenza di indagini su don Gelmini e dopo vari colloqui telefonici con la stessa Guarino, La Rocca si recava ad Avellino presso l’abitazione della donna e di suo figlio". Il 26 novembre 2006, "mediante offerta di lavoro - contesta il magistrato - La Rocca obbligava G.P. a scrivere una lettera, inviata il 29 novembre successivo alla polizia e alla procura della Repubblica di Terni in cui falsamente affermava di aver reso le dichiarazioni del 15 novembre "in evidente stato confusionale e sotto effetto di psicofarmaci". La Rocca è ora indagato per favoreggiamento, insieme alla Guarino e Giampaolo Nicolasi, coordinatore della comunità madre di Molino di Silla (Amelia) e braccio destro di don Gelmini. Insieme a lui, La Rocca avrebbe infatti "indotto con un’offerta di lavoro e somme di denaro che venivano effettivamente corrisposte al G. P. in varie occasioni (il 3 aprile 2007 vaglia online di 500 euro) a ribadire mendacemente al pm il contenuto della lettera e più in generale la falsità delle precedenti accuse a carico di don Gelmini e altre circostanze non veritiere, senza riuscire nell’intento perché il 31 maggio 2007 G. P., sentito come indagato per calunnia nei confronti di don Gelmini, ribadiva le accuse e affermava il carattere non spontaneo e mendace della lettera del 24 novembre 2006". Durante l’istruttoria, il primo giugno scorso, La Rocca, interrogato su questo episodio, ha affermato: "Nel novembre del 2006 ero ad Avellino a casa di questa persona ed effettivamente ho assistito alla redazione della missiva, ma non sono stato io a chiedergli di scriverla". Ma ha poi ammesso che don Ezio Miceli, amico di don Pierino, "ha regalato 5mila euro alla madre del ragazzo perché ne aveva bisogno".
Inoltre, una tranche dell’inchiesta a carico di don Gelmini è stata inoltrata dai magistrati di Terni alla procura di Firenze. Lo stralcio riguarda i rapporti tra il fondatore della comunità Incontro e Cesare Martellino, l’ex procuratore di Terni attuale rappresentante per l’Italia di Eurojust, la struttura di giustizia europea, con cui Gelmini ha avuto contatti per telefono e tramite Vincenzo Di Marzo, un imprenditore romano che è stato preside dell’Istituto tecnico situato all’interno della comunità di Amelia, per ottenere informazioni in merito alle indagini a suo carico. I magistrati di Firenze dovranno valutare se il comportamento di coloro che tentavano di scoprire quali elementi fossero stati raccolti dalla polizia abbia in qualche modo favorito l’indagato. (valerio gigante)

Articolo tratto da
ADISTA

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Venerdì, 11 gennaio 2008