Ferrara
L’asilo degli orrori

Il muro di gomma della Curia


Riprendiamo questa notizia dal sito: http://www.estense.com/?module=displaystory&story_id=39582&format=html


Atti di libidine mascherati come segni d’affetto
L’asilo degli orrori

In quell’asilo aveva anche la sue “preferite”. Una bambina lo chiamava addirittura “papà”. Non è il caso di soffermarsi sui particolari morbosi che hanno portato alla condanna a 6 anni e 10 mesi di reclusione del sacerdote responsabile della struttura parrocchiale che ospitava la materna in provincia di Ferrara dove sono avvenuti gli abusi. Si può dire che nel leggere le 117 pagine della sentenza emessa lo scorso 9 aprile dal tribunale di Ferrara sale un nodo alla gola. Solo questo. Il resto non può essere affidato alle cronache.

Dalle pagine scritte dai giudici Caruso, Oliva e Bighetti emerge una personalità con forti problemi, che “approfittava delle bambine, con gesti fuggevoli e mimetizzati da atti di affetto, per soddisfare i propri desideri sessuali”.

Le condotte del parroco furono notate e osservate da più testimoni, furono oggetto di discussione tra le dipendenti della scuola (due delle quali anche palpeggiate dal prete, altro fatto per il quale è stato condannato) “che le avevano percepite – spiegano le toghe – e furono denunciate quando per la loro reiterazione, per l’emergere di incontestabili anomalie di carattere sessuale nella condotta del prelato, risultò ineludibile la necessità di una denuncia”.

Una denuncia che deve il suo corso alla psicologa assunta nel settembre 2004 come direttrice didattica. Dopo poco tempo dal suo arrivo aveva potuto osservare con crescente preoccupazione atti e atteggiamenti del religioso nei confronti delle bambine che, a suo avviso, “erano indiscutibilmente rilevatori di impulsi sessuali – si legge nella sentenza - e avevano lo scopo di produrre una sia pur parziale, limitata e contingente soddisfazione sessuale, abusando delle bambine. A suo avviso la familiarità del prete con le bambine non aveva alcunché di innocente e di giustificato”.

Di tale consapevolezza la donna mise a parte le colleghe dello staff della materna, ottenendo da loro conferma attraverso il racconto di numerosi altri episodi di identica natura avvenuti in passato. Fu lei quindi a spronare le altre dipendenti (che nel frattempo erano state licenziate dal “don” e poi riassunte su pressioni dei superiori) a formalizzare insieme la denuncia ai carabinieri che avverrà il 19 novembre 2004.

Eppure fino all’arrivo dell’educatrice, le altre impiegate “nel dubbio e nell’incertezza derivanti dalla natura ambigua di gesti, atti e condotte, dalla incredulità derivante dai condizionamenti culturali “che obbligava a rimuovere dalla coscienza l’idea e la convinzione che il prete potesse abusare delle bambine, si erano limitate a considerare la condotta del sacerdote scorretta e negativa e forse anche nociva”.

E che invece era da leggere secondo il tribunale in un’unica chiave: “il sacerdote, per effetto di degenerate inclinazioni sessuali, trasformava le normali manifestazioni di affetto nei confronti delle bambine in occasioni per fugaci soddisfazioni dell’appetito sessuale”.



Riprendiamo, senza commentarlo, l’articolo seguente dal sito: http://www.estense.com/?module=displaystory&story_id=39581&format=html



La lettura dei giudici: ’’la vicenda come un tentativo di evitare uno scandalo’’

Prete pedofilo, il muro di gomma della Curia


Anche se il tribunale non ritiene di dover sottolineare particolarmente questo passaggio della vicenda, non si esime dallo scrivere che “il silenzio dei vertici ecclesiastici e la loro ritrosia a mettere sul tappeto le notizie sulle accuse che già da tempo circolavano sul conto" del parroco, "e di cui i rappresentanti dei genitori e l’educatrice intendevano discutere, equivale a implicita ammissione di conoscenza di quei fatti da parte delle gerarchie e consente di leggere tutta la vicenda come un tentativo di evitare uno scandalo che si considerava inevitabile perché fondato su fatti inoppugnabili".


I giudici Caruso, Oliva e Bighetti erano chiamati a decidere altro, ma le motivazioni della sentenza che lo scorso 9 aprile condannò a 6 anni e 10 mesi un sacerdote per atti sessuali nei confronti di minorenni contengono anche un accenno a quello che in un nota il tribunale definisce “muro di gomma delle autorità ecclesiastiche”.


I fatti sono noti. La sentenza di primo grado ha riconosciuto colpevole il prete di 68 anni che nel 2003 e 2004, quando gestiva un asilo in provincia di Ferrara (del quale – così come per il nome del “don”- omettiamo ogni indicazione per rispetto della privacy delle piccole vittime), venne visto in diverse occasioni compiere atti di libidine nei confronti di dieci bambine tra i 3 e i 6 anni. La scuola materna era annessa alla parrocchia diretta del sacerdote, rientrante nella giurisdizione della curia di Bologna.


Ed è proprio alla curia felsinea che si rivolge l’educatrice che farà esplodere il caso. Dopo numerosi fax e telefonate (il tentativo di incontro con la Curia bolognese viene definito dall’educatrice “assolutamente improduttivo e connotato da una sostanziale ostilità e da un clima sostanzialmente omertoso”) finalmente riesce ad incontrare mons. Ernesto Vecchi. È l’8 gennaio 2005 a da poco è stata formalizzata la denuncia ai carabinieri. L’educatrice si reca in via Altabella insieme a un rappresentante dei genitori. Sarà lui – la donna non disse nulla per timore di pregiudicare le indagini, come risponderà in aula a una domanda del pm Filippo Di Benedetto – a riferire delle molestie al vescovo vicario.


Quando mons. Vecchi seppe che era già partita una denuncia “si arrabbiò moltissimo – ricorda la donna in tribunale -, ha cominciato a urlare contro di me, dicendo che io ero pagata da loro, che non potevano immaginare una cosa di questo tipo…”. Il colloquio, secondo l’educatrice, si concluse con la frase di Vecchi: "Questo incontro non è mai avvenuto” (circostanza negata dall’alto prelato durante il suo esame ma confermata dal genitore).


Un tentativo, quello di comunicare con i vertici ecclesiastici, che fu “fallimentare” secondo le toghe estensi. Un “muro di gomma”, per usare le parole della sentenza, che influì anche sulla tempestività delle denunce. Il rappresentante dei genitori che si recò in via Altabella sottolinea nella sua deposizione “la violenza intimidatrice dell’incontro” e “chiarisce come fosse del tutto comprensibile il timore di una delle insegnanti quando spiega che la sua resistenza a denunciare il prete in relazione a fatti che potevano apparire sfuggenti, dipendesse essenzialmente dal timore delle conseguenze personali gravi che sarebbero potute derivare dalla reazione della Chiesa”.


Lo stesso Vecchi venne ascoltato in aula il 28 febbraio 2008. E neppure lui “ebbe a dubitare – secondo il giudice - che i fatti attribuiti al sacerdote integrassero una gravissima violazione delle regole di continenza nei rapporti con i bambini e di astensione da qualunque atto di valenza sessuale”. Anche al genitore, nell’incontro dell’8 gennaio definì il parroco un uomo “molto malato”.


Una storia che per concludersi con le parole verità e giustizia ha avuto bisogno della “forza d’animo” che ha consentito – si legge nella sentenza - di portare alla luce i gravi episodi di cui in questo processo ci si è dovuti occupare”.



Martedì, 29 luglio 2008