Il Papa alla Sapienza
LA MARCIA DI ... RATZINGER

di Marcello Vigli

Questo articolo è stato scritto prima che giungesse la notizia che il Papa rinunciava ad andare alla Sapienza


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Non siamo d’accordo con la presenza del Papa alla Sapienza. Non perché non avrebbe dovuto accettare l’invito ma perché non avrebbe dovuto essere invitato. Scrive in un suo comunicato la Consulta romana per la laicità delle istituzioni sgombrando il campo da sterili e pretestuose diatribe su censure e diritto di parola da non negare al papa.
La marcia del papa sull’ateneo romano nel giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico è solo un’operazione politica e come tale deve essere valutata, anche se non è facile districarsi fra le manovre in corso che si vanno intrecciando nei meandri dei palazzi e al di qua e al di là del Tevere.

Ci sono però due certezze.
Le già difficili vicende della costruzione del Partito democratico si stanno avviluppando con le lotte per la gestione della Curia vaticana fra i fedeli di Ruini e la fazione del cardinale Bertone, fra l’Opus dei e i gesuiti. Ne traspare qualche traccia dalla pantomima intorno all’udienza papale ai capi delle amministrazioni romane, dall’atmosfera di sospetto creata intorno alla Congregazione generale della Compagnia di Gesù, dalla ridda di notizie intorno alla nomina del nuovo Vicario di Roma. Ne testimoniano l’incursione di Ferrara alla riunione per l’approvazione dello Statuto del Pd e la presenza al suo fianco della ministro Livia Turco alla veglia di riparazione anticipata dell’offesa fatta al papa dalla lettera degli accademici e dalla settimana di contestazione degli studenti romani.
L’altra certezza è la conferma dell’intreccio tra le sorti della “casta” dei politici con quella degli ecclesiastici: indifferenti gli uni alle sorti dello Stato e gli altri a quelle della Chiesa.
A tal proposito urge che nella Chiesa italiana laici e preti ritrovino se non lo spirito di Savonarola almeno il coraggio di Rosmini e la fermezza di De Gasperi per denunciare le nuove piaghe della Chiesa e opporsi alla sfrontatezza del Pio XII pronto a benedire oggi l’alleanza dei teo-con e dei teo-dem contro la democrazia come nel 1952 l’alleanza fra democristiani e fascisti nell’elezione comunale di Roma.
Non possono continuare a cercare alibi nelle forme deplorevoli di certo anticlericalismo ottocentesco o a gingillarsi nella distinzione tra laicismo, cattivo, e laicità, buona. Le prime trovano forza nei rigurgiti di clericalismo, che si credevano impensabili dopo la stagione conciliare. L’altra è un’ipocrita negazione del parassitismo culturale esercitato da oltre un secolo dalla cultura cattolica costretta a rincorrere e “battezzare” le conquiste che liberali e socialisti hanno conseguito nel promuovere libertà e uguaglianza e affermare diritti e sovranità popolare.

P.S.: Quanto detto vale anche se con un gesto di ritrovata lucidità il papa dovesse rinunciare alla marcia sulla Sapienza.

Roma 15 gennaio



Mercoledì, 16 gennaio 2008