Il papa all’università
Inquietudine per la verità

di Enrico Peyretti

Con una nota di Giovanni Sarubbi


Il mancato discorso del papa all’Università mi sembra - se lo si legge con la dovuta attenzione - bello, grande, intelligente, importante, tale che onora l’Università, al di là di molte squallide vicende politicoidi.

Pone l’unica questione seria: la questione della verità. Non dice affatto: io vi do la verità. Tanto meno comanda di accettarla. Dice che lui riconosce in Cristo la maggiore verità: è la sua persuasione e missione, senza la quale non sarebbe lui, in quel ruolo.

Potrebbe semmai aprire di più lo sguardo, nella pluralità e pluralismo odierni delle culture e religioni, alla pluralità delle vie verso la verità vitale. Ma pone all’Università, secondo i modi ad essa propri, la questione della verità, sollecita la "sensibilità per la verità".

Senza questa sensibilità e questione, gli interessi, l’utilità, e perciò il potere e il dominio, fino alla violenza, diventano il criterio ultimo del conoscere e dell’agire. Porre così la questione della verità, è un forte benefico atto di umanesimo storico e, in senso alto, politico. La questione della verità è la stessa questione della ragione e della vita buona, cioè della nostra umanità.

Anche Gandhi, la Grande Anima del violento 20° secolo - ucciso in questi giorni, 60 anni fa, il 30 gennaio 1948, da un fanatico della sua stessa religione - basava la nonviolenza, la liberazione dalla violenza, sulla verità, sulla "forza della verità" (Satyagraha), intesa in modo apertissimo, tutto all’opposto di qualunque modo integralista e unico.

Sono uno di quei cattolici che hanno avuto buon motivo per criticare decisamente, con molta preoccupazione, vari atti e parole di questo papa, e molti aspetti del suo modo di esercitare la funzione che ha. Ma di questo discorso sono sinceramente contento e grato, ammirato. E’ un discorso serio, convinto, assertivo, ma anche aperto, umile, realistico. Il modo giusto sia di accettarlo, sia di discuterlo (perché nessuna parola è indiscutibile), è accogliere, da qualunque punto di vista, la questione che pone, la questione della inesauribile sete di verità, che costituisce l’essenza della nostra umanità. Mi piace fare queste citazioni:

«La verità ci rende buoni, e la bontà è vera» (nel 9° paragrafo).

Nell’Università medievale, il compito delle facoltà di filosofia e teolgia era di «essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse [filosofia e teologia] corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda - in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta» (13° e 14° paragrafo).

«Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre più un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi» (17° paragrafo).

Enrico Peyretti, 17 gennaio 2008, ore 10



Una nota al testo che precede

Se quello che dice Peyretti è vero (non ho ancora vuto il tempo di leggere il testo del Papa) viene da chiedersi perchè egli abbia deciso di rinunciare all’intervento nonostante che il rettore avesse confermato l’invito ed il ministro dell’interno garantito al "mille per cento" la sua sicurezza. Se aveva cose così importanti da dire che lasciano Peyretti ammirato non avrebbe fatto bene ad affrontare i suoi contestaori? Il suo discorso sarebbe uscito più forte o più debole dalla scelta di andare comunque alla Sapienza e questo a prescindere dalla questione della laicità di cui quasi nessuno parla? Che ne è di quella frase del Vangelo che dice "vi mando come pecore in mezzo ai lupi", ammesso che degli studenti ventenni si possano definire "lupi"? E che ne è delle parole dell’aspostolo Paolo a Timoteo quando gli dice "predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza" (2Ti 4,2)?.
Se ha deciso diversamente evidentemente per il Papa non era importante il messaggio sulla "verità" di cui parla Peyretti e per il quale vale sicuramente la pena di correre anche qualche rischio (molto relativo a dire il vero). Stando alle notizie fornite dalla agenzia Zenit la decisione di non andare è stata dettata da motivi di "opportunità" in relazione "all’occupazione del Rettorato e alle altre proteste, verificatesi nei giorni scorsi giorni, da parte di studenti e di alcuni professori dell’Ateneo". Il che, tradotto in italiano corrente, significa che il Papa non ha voluto confrontare la sua "verità" cone le persone in carne ed ossa. E, ancora più chiaramente, che lui preferisce parlare senza alcun tipo di contraddittorio o contrapposizioni. Cioè ha prevalso una pura questione di "immagine". E questo rende il suo discorso sulla "Verità" un discorso vuoto teorico cattedratico professorale dogmatico, come è oramai chiaro dalla lettura di tutti i suoi testi. Magari bei testi ma privi di anima, gelidi. Bei testi che servono però a giustificare una prassi che non ha nulla a che vedere con quella praticata da Gandhi e con la sua "forza della verità". La "verità" serve a Benedetto XVI per sancire le scomuniche che hanno riempito tutta la sua vita da cardinale e ora da Papa. E allora questa sua "verità" può tenersela, non serve a nessuno se non a lui solo.

Giovanni Sarubbi



Giovedì, 17 gennaio 2008