Dominus Jesus:IL PIÙ AUTOREVOLE SUPPORTO SACRO ALLA GLOBALIZZAZIONE NEOLIBERALE.

La dottrina Wojtyla-Ratzinger secondo Giulio Girardi

Da Adista del 26 marzo 2001 n. 24

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DOC-1067. ROMA-ADISTA. Il comandamento dell'amore universale e la rivelazione che Dio è Amore Liberatore: questi sono gli elementi della salvezza degli uomini tutti, di qualsiasi religione e Chiesa essi siano. Questo precisa il teologo e filosofo Giulio Girardi in una riflessione "a proposito della Dichiarazione Dominus Iesus". In questo documento (v. Adista, n. 64 del 18 settembre 2000), il cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina delle Fede, Joseph Ratzinger, sostiene "l'unicità e l'universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa" cattolica. Cioè: è Cristo l'unico salvatore ed è la Chiesa cattolica l'unica via di salvezza in quanto eretta da Cristo per diffondere la verità; universale perché da lui inseparabile e "retroattiva" perché, in Cristo, è in opera dagli inizi dei tempi. La Dominus Iesus è il più recente fondamento dottrinale della censura inflitta al gesuita p. Jacques Dupuis (v. Adista n. 19/2001), a causa del suo libro "Per una teologia cristiana del pluralismo religioso".

La rilfessione di Girardi si intitola "Globalizzazione neoliberale e globalizzazione cattolica: una nuova alleanza?". Ne spiega il perché in apertura:

"Sebbene la Dichiarazione Dominus Iesus non faccia nessuna allusione al contesto geopolitico nel quale si colloca, questa contestualizzazione è necessaria per capire il senso obiettivo del documento. Il contesto è quello della globalizzazione neoliberale, processo di colonizzazione e omologazione del mondo da parte delle grandi potenze, che ignora e calpesta il diritto dei popoli all'autodeterminazione e alla diversità.

Con questo documento la Chiesa cattolica istituzionale si allinea alla tendenza omologante del processo, dissociandosi dalla resistenza dei popoli, delle culture e delle religioni che rivendicano il loro diritto all'autodeterminazione e alla diversità. Essa stabilisce così, nel processo di omologazione, una santa alleanza tra il progetto di Dio e le leggi del mercato; tra la concentrazione del potere economico e politico e la concentrazione del potere religioso. Se il pensiero unico neoliberale presenta il capitalismo come la fine della storia politica ed economica, il pensiero unico vaticano presenta il cattolicesimo come la fine della storia religiosa".

Riportiamo qui di seguito la gran parte della riflessione di Girardi. Omettiamo il punto 2, sul contenuto della Dominus Iesus, pubblicata integralmente da Adista nel numero 64 del 18 settembre 2000.


GLOBALIZZAZIONE NEOLIBERALE E GLOBALIZZAZIONE CATTOLICA: UNA NUOVA SANTA ALLEANZA?

 

A proposito della Dichiarazione Dominus Iesus

di Giulio Girardi

Una presa di posizione antiecumenica

Sul terreno religioso, il processo di globalizzazione provoca la tendenza delle religioni da un lato a scoprirsi e riconoscersi mutuamente, intrecciando vincoli di dialogo e collaborazione, dall'altro ad affermare ognuna la sua identità e pertanto la sua diversità rispetto alle altre. Questo clima influisce anche profondamente sulla ricerca dei cristiani. Per diverse strade, essi scoprono le altre religioni, prendono coscienza della loro importanza e dei loro valori, si rendono conto del carattere minoritario del cristianesimo nella storia presente e passata. Nel continente indoafrolatinoamericano, questa scoperta ebbe un momento forte nelle celebrazioni del V centenario, quando minoranze cristiane si unirono alla campagna "500 anni di resistenza indigena, negra e popolare", riconoscendo il diritto di quei popoli all'autodeterminazione e alla diversità. Nello stesso tempo essi presero coscienza della responsabilità delle Chiese e dell'"evangelizzazione" nella distruzione delle culture e religioni originarie e afroamericane, e decisero di contribuire, in spirito di riparazione, alla loro riscoperta e rivalutazione. Sorse in questo clima, per iniziativa dei cristiani di base, il movimento "Assemblea del Popolo di Dio" che si chiamò "macroecumenico" per significare che il suo ecumenismo oltrepassa le frontiere delle Chiese cristiane e coinvolge le altre religioni.

Ma ciò che queste minoranze cristiane percepiscono come una fonte di arricchimento, le Chiese istituzionali, e soprattutto la cattolica, lo percepiscono come una minaccia e come una messa in discussione della loro egemonia. Il documento Dominus Iesus esprime chiaramente questa preoccupazione, riaffermando in tono categorico la Chiesa cattolica come unica depositaria della Rivelazione nella sua integralità e pertanto come itinerario necessario per la salvezza. Documento che, se fosse preso sul serio dai cattolici, segnerebbe la fine dell'ecumenismo e del macroecumenismo. Questo sembra particolarmente paradossale nell'anno del giubileo, inteso come un momento forte nel processo di liberazione dei popoli, però è coerente con un giubileo inteso come riaffermazione della centralità storica del cristianesimo romano. Con questo documento, la Chiesa cattolica rende più esplicita la sua concezione dell'ecumenismo e del macroecumenismo, che si caratterizzano appunto per il riconoscimento della sua centralità.

 

Momento culminante del processo di restaurazione postconciliare

Questa presa di posizione integralista non è evidentemente un dettaglio dottrinale: ma implica tutta un'interpretazione del cristianesimo, contrapposta all'interpretazione "pluralista" del panorama religioso e dei percorsi della manifestazione di Dio all'umanità. È una decisione che si inserisce in modo coerente nell'ideologia di Giovanni Paolo II e del cardinale Ratzinger; e che porta alle ultime conseguenze il loro progetto di restaurazione. Fa parte di questo progetto la reinterpretazione del concilio dal punto di vista della minoranza conciliare (della quale lo stesso Karol Wojtyla era membro).

Per questo, non farò mio, nell'analisi e valutazione del documento, il punto di vista di quanti segnalano una contraddizione tra il suo contenuto e la pratica ecumenica e macroecumenica di Giovanni Paolo II. Perché in nessun momento questa pratica mette in questione la teologia romanocentrica della cristianità: essa intende promuovere l'u-nità cristiana e religiosa, ma intorno a Roma. Del resto, nel documento Giovanni Paolo II è la fonte più citata (27 volte), preceduto solo dal Concilio Vaticano II (nell'interpretazione restauratrice).

La Congregazione per la Dottrina della Fede, che dopo il Concilio pareva chiamata a trasformarsi in un organismo promotore della ricerca teologica, si riafferma invece, con questo e altri documenti, come continuatrice della tradizione inquisitoriale della curia romana.

 

Una provocazione alla coscienza dei cattolici

Ciò nonostante, con tutti i suoi limiti etici, filosofici e teologici, il documento presenta un aspetto positivo. Mostrando nella sua logica implacabile l'ideologia di Giovanni Paolo II, obbliga i cattolici a prendere posizione di fronte ad essa; a definire la propria concezione della fedeltà a Gesù; a decidere se questa fedeltà è compatibile con l'adesione a quell'ideologia. Credo che in questa sfida sta l'importanza della Dominus Iesus.

Desidero segnalare subito alcuni nodi della contraddizione tra le due concezioni del cristianesimo che si scontrano su questo terreno:

1 - La contraddizione che il documento pone al centro dell'attenzione è quella che oppone due percezioni della missione di Cristo, caratterizzate la prima dall'universalità del suo potere, la seconda dall'universalità del suo amore. L'universalità del suo potere ha come conseguenza il carattere esclusivo della sua missione salvifica; l'universalità dell'amore implica da parte sua il riconoscimento gioioso degli infiniti cammini attraverso i quali l'umanità scopre Dio e Dio si rivela all'umanità.

2 - Questa contrapposizione rimanda ad una più fondamentale, tra due percezioni di Dio, caratterizzate ancora una volta la prima dal suo potere assoluto e universale, la seconda dal suo amore liberatore universale.

3 - La stessa contrapposizione si riflette nella concezione della Chiesa, caratterizzata per la teologia della cristianità dal suo potere e dalla sua missione salvifica esclusiva e universale, per la teologia della liberazione dal suo impegno di amore liberatore universale.

4 - Da qui scaturiscono concezioni distinte e opposte dell'identità cristiana, definita dalla teologia della cristianità come adesione alla verità rivelata nella sua integralità, proposta autenticamente dalla Chiesa cattolica; e dalla teologia della liberazione come riconoscimento di Dio Amore liberatore Universale, nella pratica dell'amore umano universale, vale a dire dell'opzione per gli oppressi e le oppresse come soggetti. (...).

 

DISCUSSIONE DEL DOCUMENTO

Interpretazione del pluralismo religioso e della sua concezione del dialogo

Nella caratterizzazione del pluralismo religioso che il documento presenta come bersaglio dei suoi argomenti, molti cristiani "pluralisti" non si riconosceranno. Poiché essi non pensano che una religione sia buona come un'altra, né che la verità sia relativa. Ciò che essi escludono è che un'istituzione umana abbia ricevuto da Dio l'autorità di definire quale religione sia vera e quale sia falsa, quali libri siano ispirati da Dio e quali no; che un'istituzione umana possa considerarsi depositaria esclusiva della verità piena e definitiva rivelata da Dio; che Dio si sia ridotto a manifestarsi attraverso un unico canale, in un'epoca e in una regione limitate della storia umana, disinteressandosi della grande maggioranza dell'umanità passata e presente. Essi pensano che tutte le conoscenze umane di Dio, comprese quelle che procedono dalla rivelazione, hanno un carattere parziale; che pertanto possono essere arricchite da altre conoscenze parziali.

Queste riflessioni sono valide, nella prospettiva pluralista, anche per le verità rivelate da Gesù di Nazareth. Anche quelli che riconoscono la sua divinità esclusiva, sottolineano il carattere autenticamente umano, e pertanto limitato, delle sue parole; il carattere autenticamente umano e pertanto limitato, delle testimonianze che riferirono, interpretarono e trasmisero le sue parole. Il fatto che queste verità scaturiscano dalla Verità Infinita del Verbo non toglie il loro carattere limitato e perfettibile.

Così pure, dialogare in condizioni di parità non significa affermare l'equivalenza di tutte le religioni, ma escludere che una istituzione abbia, per investitura divina, l'autorità di imporsi come l'unica religione vera. Nel dialogo religioso, come in qualsiasi dialogo umano, ogni interlocutore ha il diritto di considerare la propria posizione come valida; ma nessuno ha il diritto di considerarsi depositario della verità totale e definitiva.

Credo necessario denunciare, una volta di più, il metodo scarsamente scientifico e largamente ideologico con il quale la Congregazione per la Dottrina della Fede conduce la sua polemica. La Dichiarazione ricorda le istruzioni sulla teologia della liberazione, che questo dicastero interpretava come un sottoprodotto del materialismo ateo, il che gli permetteva di squalificarla e confutarla facilmente. Ma nessuno dei destinatari di quelle condanne si riconobbe nell'interpretazione vaticana. Questa metodologia squalifica piuttosto i documenti che l'adottano e li priva di qualsiasi valore dottrinale. La sua unica efficacia consiste nell'offrire nuove armi ai difensori intolleranti dell'ortodossia.

 

Valutazione dell'argomento di autorità che fonda il documento

Il documento intende fondare l'autorità e la superiorità dottrinale della Chiesa cattolica. Ma il suo argomento fondamentale è appunto l'autorità della Chiesa stessa e particolarmente del papa Giovanni Paolo II. Questa impostazione è valida come informazione su ciò che pensa il magistero cattolico, ma non come fondazione teologica della sua dottrina. È un tipo di argomentazione che convince le persone già convinte, ma non quelle che sono in ricerca.

L'autorità della Chiesa cattolica interviene anche, come abbiamo segnalato, nella selezione e interpretazione dei testi biblici, che hanno un carattere ecclesiocentrico e romanocentrico. Essa non prende in considerazione l'ipotesi, sostenuta da molti biblisti rigorosi, che la versione attuale dei Vangeli non abbia carattere strettamente storico ma in larga misura apologetico: che abbia cioè come oggetto non di riferire i detti e i fatti di Gesù, ma di giustificare l'orientamento del processo d'istituzionalizzazione ecclesiastica e particolarmente la sua struttura gerarchica e monarchica. Questa ipotesi impone, ad esempio, di mettere in questione l'autenticità di affermazioni attribuite a Gesù, come quella che apre e fonda tutta la dichiarazione vaticana: "andate nel mondo intero e proclamate il Vangelo a tutta la creazione. Chi crederà e sarà battezzato, si salverà; chi resisterà a credere, sarà condannato" (Mc. 16-15-16). Ma soprattutto, essa impone, per fedeltà al messaggio autentico di Gesù, una rilettura critica delle sue interpretazioni, comprese quelle che propongono i Vangeli.

 

Il problema ermeneutico che il documento solleva

L'interpretazione ecclesiocentrica della bibbia proposta dal magistero cattolico e contestata da molti teologi evangelici e cattolici pone al centro dell'attenzione il problema ermeneutico. Poiché essa dipende evidentemente dalla "pre-comprensione" a partire dalla quale il magistero orienta la sua impostazione. Certamente, esso intende compiere una lettura "integrale" della Bibbia, contrapposta alla lettura "riduttiva" e "sociologica" compiuta dai teologi della liberazione. Tuttavia mi pare evidente il ruolo che assolve la precomprensione nella identificazione dei testi fondamentali per definire l'essenza del messaggio di Gesù e pertanto l'identità cristiana. Questi testi portano a porre al centro del messaggio il potere della Chiesa cattolica, come unica Chiesa fondata da Gesù e come depositaria esclusiva della rivelazione piena e definitiva. In altre parole, il magistero cattolico trova nella Bibbia la conferma delle tesi che hanno costituito la sua chiave di lettura dei testi. L'affermazione dell'autorità universale della Chiesa cattolica si fonda a sua volta sul potere universale di Gesù e rimanda ad un'immagine di Dio Uno e Trino, come Monarca assoluto. Come teologi della liberazione, noi riconosciamo, almeno nella pratica, la necessità di leggere la Bibbia a partire da una "precomprensione", che orienti la selezione, gerarchizzazione e interpretazione dei testi. Questo orientamento ci viene offerto dalla scelta degli oppressi e delle oppresse come soggetti: opzione che i Vangeli ci presentano come l'anima del messaggio di Gesù e come il perno dell'identità del suo movimento; opzione che Gesù vincola alla rivelazione di Dio come Amore Liberatore. Questa opzione ci porta a percepire una profonda continuità tra il messaggio di Gesù e la rivelazione di Dio Amore Liberatore proposta dall'Esodo e che molti teologi assumono come chiave di lettura di tutta la Bibbia. Tuttavia mi sembra importante sottolineare che questa opzione ha una valenza etica indipendente dalla Bibbia, il che spiega la possibilità, per cristiani e non cristiani, di incontrare in essa un'ispirazione comune del loro impegno.

È questa opzione che ispira da un lato la nostra valutazione della Dichiarazione vaticana e della teologia che la sostiene; dall'altro, la nostra visione delle religioni non cristiane e del dialogo con esse..

 

Valutazione dell'ideologia esclusivista

Secondo questa ideologia, solo una minoranza dell'umanità sarebbe destinataria della rivelazione del vero Dio, avrebbe la possibilità di ascoltare la sua parola e di conoscere la sua interpretazione autentica, potrebbe giungere alla vera fede. L'immensa maggioranza dell'umanità sarebbe esclusa dal cammino più diretto per conoscere Dio; avrebbe accesso a Lui solo per vie indirette. Le persone e i popoli non potrebbero giungere ad una conoscenza autentica di Dio con la loro propria ricerca. In questa prospettiva, il vero Dio non vuole essere scoperto dalla ricerca umana; vuole decidere egli stesso con assoluta libertà a chi rivelarsi e a chi no.

Il problema è che questo cammino della "manifestazione di Dio" è stato tracciato in gran parte dal potere e dalle armi degli imperi. La grazia della fede, Dio l'avrebbe riservata alle persone e ai popoli che furono vittime delle conquiste e delle colonizzazioni. Per scoprire il vero Dio, il cammino dell'imposizione e della violenza sarebbe più efficace di quello della libera ricerca umana.

Ora, perché ciò che le persone e i popoli hanno scoperto con i loro sforzi avrebbe meno valore agli occhi di Dio di ciò che è oggetto d'imposizione? Lo sforzo e la libera iniziativa delle persone non sono forse il dono fondamentale di Dio? Il Dio Amore Liberatore si sente maggiormente riconosciuto dalla sottomissione dei suoi servi o dal dinamismo dei suoi figli?

Contestando la contrapposizione tra ricerca umana e manifestazione di Dio, vogliamo anche contestare la contrapposizione tra fede e credenza. Questa contrapposizione suppone che l'unica rivelazione di Dio all'umanità sia quella che egli avrebbe riservato alla minoranza privilegiata. Ma quelli che, come noi, credono nell'universalità del suo Amore Liberatore, pensano che anche la manifestazione di questo amore è universale e che pertanto i canali della sua rivelazione sono infiniti. Se la fede è l'assenso alla rivelazione di Dio, anche le forme della fede sono infinite.

È certo che le credenze sono espressione di una ricerca umana di Dio, però lo è anche la fede cristiana, quando cessa di essere un consenso passivo e tende a convertirsi in una scelta. È certo che nelle credenze delle religioni si mescolano verità ed errori, ma la stessa mescolanza esiste nella fede cristiana e nella dottrina del magistero (come dimostra particolarmente questa dichiarazione).

 

Universalità della missione di Gesù e rivelazione di Dio Amore Liberatore

La dichiarazione vaticana intende affermare il carattere universale e definitivo della missione di Gesù. In realtà la interpreta in termini tali che limitano la sua portata alla piccola parte dell'umanità che arriva a conoscerlo. Il concetto di Dio implicato in questa interpretazione è, come abbiamo segnalato insistentemente, quello di un padre padrone, assoluto e dispotico, che si manifesta a quelli che vuole e non si preoccupa di stabilire relazioni coscienti con la maggioranza dell'umanità. Questa avrebbe con Gesù Cristo e con il vero Dio una relazione salvifica oggettiva, ma senza saperlo.

Invece, riconoscere autenticamente la missione universale di Gesù significa attribuire un ruolo centrale agli elementi realmente universali e definitivi della sua missione, che sono, come abbiamo segnalato, da un lato il comandamento dell'amore universale e dall'altro la rivelazione che Dio è Amore Liberatore. Fa parte anche di questo messaggio la relazione tra la pratica dell'amore umano liberatore e la scoperta del Dio liberatore.

Tuttavia, il carattere universale e definitivo di questo messaggio non significa che esso rappresenti l'ultima parola di Dio all'umanità, ma una parola aperta alla sua incessante rivelazione, che accompagna la storia dell'umanità fin dal primo momento e la accompagnerà fino alla fine. La fede cristiana in Dio si fonda essenzialmente sulla testimonianza di Gesù, quale ci fu trasmessa dai vari movimenti che egli suscitò, e sull'esperienza di Gesù vivo, che anima la vita spirituale dei suoi discepoli. Inoltre però essa è fortificata ed arricchita da tutte le testimonianze religiose che attraversano la storia dell'umanità passata e presente. Continuerà ad essere fortificata ed arricchita dalle testimonianze future. Perché il Dio Amore Liberatore non cesserà mai di manifestarsi, attraverso cammini sempre nuovi, nell'esperienza e nella ricerca religiosa dell'umanità.

L'apertura dei cristiani a questi molteplici canali della manifestazione di Dio non è espressione di "relativismo" ma di fiducia nell'amore di Dio e nella sincerità della ricerca religiosa dell'umanità che si realizza nel cristianesimo e fuori di esso. Il dialogo con i non cristiani fa parte della pratica dell'amore per loro, che si esprime nel riconoscimento della loro libertà e nella valorizzazione della loro esperienza religiosa. È un atto di fede nell'amore universale di Dio e un riconoscimento degli infiniti percorsi attraverso i quali egli si manifesta. È un arricchimento della nostra conoscenza di Dio e della nostra identificazione con Lui. La teologia esclusivista, che intende affermare l'universalità della rivelazione cristiana, diventa effettivamente una prigione ideologica, quella della cultura occidentale, nella quale Dio rimane rinchiuso. Pertanto, il movimento macroecumenico è un apporto fondamentale non solo alla liberazione umana, ma anche alla liberazione di Dio.

 

CONCLUSIONE

Desidero concludere sottolineando l'apporto positivo che, nonostante tutto, questa dichiarazione può offrire alla coscientizzazione e alla riflessione dei cattolici. Portando alle ultime conseguenze il modello di cristianesimo ispirato dalla teologia della cristianità, essa ci pone una volta di più ,come cattolici, di fronte alla necessità di definire la nostra concezione della fedeltà a Gesù di Nazareth: implica essa la sottomissione agli orientamenti dell'istituzione ecclesiastica o non suppone piuttosto la capacità di mobilitarci autonomamente, in comunione con altri credenti, cristiani e non cristiani, impegnati nella pratica dell'amore e nella ricerca di Dio? L'unità che vogliamo realizzare e per la quale Gesù ha pregato si fonda sull'ortodossia ("La salvezza si trova nella verità", 22) o sulla pratica dell'amore?

Inoltre, questa provocazione rende più chiara la differenza e la contrapposizione tra l'ecumenismo e il macroecumenismo cattolico istituzionale da un lato, e l'ecumenismo e il macroecumenismo popolare dall'altro. Il primo, per la sua intolleranza romanocentrica, si trasforma in un ostacolo al dialogo e all'unità o, come afferma con efficacia Marcelo Barros, in un atteggiamento scismatico.

La riaffermazione della teologia della cristianità, compiuta da questa Dichiarazione, rappresenta finalmente un motivo per riscoprire e rivalutare i cristianesimi originari nella loro diversità; per rivalutare soprattutto lo spirito di libertà con i quali essi interpretarono e attualizzarono il messaggio del maestro e amico e con il quale ascoltarono le mozioni dello Spirito di Dio.

Essa ci stimola a condividere la sorpresa e la gioia di Gesù, di fronte al centurione romano: "vi assicuro che in Israele non ho trovato una fede tanto grande!" (Mt 8,10). Ci stimola a ricordare e attualizzare la parola di Gesù alla samaritana: "Credimi, donna, viene l'ora in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre' viene l'ora (già stiamo in essa) in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità' Dio è Spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità" (Gv 4,21-24).

 


"Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

Registrazione Tribunale di Avellino n.337 del 5.3.1996