Due papi alla Sapienza e uno all’inferno.

di Normanna Albertini

Sulla mancata visita del papa alla Sapienza si è scatenato il solito pandemonio, che, sicuramente, a qualcuno tornerà utile. Alla destra? A quella parte della Chiesa che vorrebbe cancellare il Concilio Vaticano secondo? Al rettore dell’Università? Intanto, sui docenti che hanno dato il via alla protesta, la disinformazione guidata sta infiammandosi, con risultati a volte ridicoli: i docenti hanno solo parlato di incongruità di una visita in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico, invece li si fa passare come coloro che non vogliono dare diritto di parola al papa, si parla di censura, antidemocrazia, ignoranza. La maggioranza di quei docenti rappresenta il meglio della scienza fisica italiana nel mondo, non credo si possa dire altrettanto di molti giornalisti o politici. Il papa non viene contestato come capo politico, né come capo religioso, viene contestato come uomo per le sue prese di posizione che stanno esasperando e dividendo (la divisione è opera del maligno, tra l’altro, se vogliamo metterla sul piano dottrinale) il mondo cattolico. Sulla erudizione di questo papa, inoltre, comincio ad avere parecchi dubbi, dopo le magre figure che ha rimediato a Ratisbona e ad Aparecida e mi trovo quasi concorde con il comico Maurizio Crozza: "Ma invece che parlare alla Sapienza, non era meglio farlo parlare all’ignoranza? Avrebbe evitato brutte figure!"
Poiché la storia è maestra, e per questo la si fa studiare poco e male, così è più facile manipolarci, mi viene spontaneo un collegamento con il papa che, la famigerata università della Sapienza, l’ha fondata, e con Dante, che non lo trattò proprio con i guanti di velluto. Paradiso, canto XXIV, Dante Alighieri fa la sua professione di fede e, con il fuoco che visceralemnte gli è proprio, trasmette il suo sentire riguardo al divino: “O Santo Padre e spirito che vedi /ciò che credesti si , che tu vincesti /ver ’ lo sepolcro più giovani piedi" , /comincia’ io , " tu vuò ch’ io manifesti /la forma qui del pronto creder mio , /e anche la cagion di lui chiedesti . /E io rispondo : Io credo in uno Dio /solo ed etterno , che tutto ’l ciel move , /non moto , con amore e con disio …” Ora, il poeta mi pare non fosse in buoni rapporti con il suo pontefice e mi pare che, rischiando la vita, si sia comunque permesso di criticarlo duramente; ciò non intacca, ai nostri occhi, la sua fede, anzi: persino il buon Ratzinger lo prende ad esempio e lo cita più volte, nel 2006, ad esempio, quando all’Immacolata usa le parole di Dante come aveva già fatto a mezzogiorno, durante l’Angelus in piazza San Pietro. Ritorna a leggere il XXXIII canto del Paradiso per rivolgersi a Maria, "per noi mortali, di speranza fontana vivace". "Tutte le volte che un Pontefice deve sottolineare le qualità della Madonna - osservò allora il professor Francesco Mazzoni, presidente emerito della Società dantesca italiana di Firenze - si rifà al XXXIII canto e questo, oggi, viene in risposta a un certo filone laicistico". Molti, secondo Mazzoni, sono i pontefici che si rifanno a Dante per sottolineare l’umiltà di Maria, a partire da Paolo VI in poi, citando espressamente la terzina "Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, umile ed alta più che creatura, termine fisso d’eterno consiglio". Eppure Dante, oggi preso ad esempio per la sua fede, aveva molti nemici in campo clericale, e uno in modo specifico ha una posizione centrale nell’Inferno, benché non presente in quanto non ancora morto: è proprio Bonifacio VIII. Spirito anticlericale del sommo poeta? Laicista l’Alighieri? Mi chiedo come oggi verrebbe accolta la Divina Commedia nell’atmosfera di estremo analfabetismo (voluto?) che striscia nell’informazione. Dante non può che vedere in Bonifacio il nemico dichiarato non solo della libertà fiorentina e della democrazia fiorentina ma anche di quella personale. Comunque, Bonifacio VIII soltanto nel Purgatorio è visto come vicario di Cristo, nell’episodio dello schiaffo di Anagni dove Dante voleva colpire il re francese Filippo il Bello. Nelle altre citazioni, Bonifacio è visto nella sua negatività illimitata, anche perché l’esilio di Dante in fondo dipende dall’intervento espansionista di Bonifacio a Firenze e dal rovesciamento del governo dei bianchi. E allora Dante condanna un papa ancora vivo, preparando un posto per lui nella stessa buca di Niccolò III: "Se’ tu già costì ritto, / se’ tu già costì ritto, Bonifazio?".
Qualcuno potrebbe osare, oggi, non dico tra gli ex uomini di sinistra, i novelli del partito democratico, ma tra i cattolici impegnati, guelfi nostrani, fare la stessa cosa con Benedetto senza rischiare il linciaggio mediatico? Credo ci sia parecchio da riflettere. Intanto, Benedetto, da buon tedesco, continua il suo programma e lo porterà alla fine.



Mercoledì, 16 gennaio 2008