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VICARI DI CRISTO

Il lato oscuro del papato


Un libro di Peter De Rosa, Gruppo Editoriale Armenia pagg. 496 - € 19,37


DAL PROLOGO:

LA GRANDE COPERTURA

La si potrebbe facilmente definire la più grande copertura della storia. Dura ormai da secoli, ed ha provocato dapprima migliaia, poi milioni di vittime, ma nonostante sia evidente, nessuno sembra essersene accorto.

Molti artisti più o meno grandi vi hanno contribuito, ma a prima vista non è nulla di allarmante: si tratta soltanto di un pezzetto di stoffa, quello che copre i lombi di Gesù crocifisso.

All’inizio la croce non fu mai rappresentata, né nella pittura né nella scultura. Mentre Gesù veniva adorato per il suo estremo sacrificio e la croce costituiva il fulcro della fede, nessuno osava ritrarre il figlio di Dio nella sua ultima umiliazione.

Si dice che gli eserciti di Costantino recassero la croce sulle loro insegne, ma non è così. Sui loro scudi e sui loro stendardi erano effigiate le prime lettere del nome greco di Cristo fuse in modo da formare il simbolo X.

Soltanto quando si affievolì il ricordo delle migliaia di morti crocifissi in tutto il mondo romano, i Cristiani si sentirono liberi di raffigurare la croce come simbolo dell’amore sofferente di Cristo, ma si trattava di una croce vuota.

Chi avrebbe osato crocifiggere Gesù un’altra volta?

In seguito però questo nudo simbolo della vittoria sulle forze del male sembrò troppo austero e gli artisti del quinto secolo presero a dipingere la croce con accanto un agnello, visto che Gesù era "l’Agnello di Dio", sacrificato per togliere i peccati del mondo. Quindi, con audacia sempre maggiore si iniziò a ritrarre accanto alla croce Gesù in persona, candido come un agnello. Con due sole eccezioni note, egli non fu rappresentato sulla croce fino alla fine del sesto secolo, ma nemmeno allora gli artisti osarono raffigurarne il dolore e l’umiliazione. Lo ritrassero infatti vestito di una lunga tunica che lasciava scoperti soltanto le mani ed i piedi, per mostrare in forma stilizzata i chiodi che lo avevano sospeso al legno. Era un’immagine di trionfo, non di tormento e agonia; Gesù, con gli occhi aperti e a volte con una corona in capo, regnava dal trono della croce.

La prima rappresentazione greca di Cristo crocifisso "sofferente", risalente al decimo secolo, fu condannata da Roma come empia, ma ben presto la stessa Chiesa di Roma cedette al fascino di quell’immagine.

Man mano che il ricordo si allontanava nel tempo e la teologia medievale diventava più arida e scolastica, la devozione richiedeva un Cristo più umano, un uomo che si potesse vedere e quasi toccare, un uomo che recasse il segno delle prove e delle tribolazioni che la gente del tempo doveva sopportare ogni giorno della propria vita breve e tormentata. Ora gli artisti ritraevano liberamente Gesù in agonia sulla croce: sangue e profonde ferite, spasimo in tutte le membra, disperazione negli occhi. Gli indumenti che lo coprivano divennero sempre più ridotti, per dare ai fedeli l’idea della sua estrema umiliazione.

Ci si fermò però ad un perizoma. Se l’artista si fosse spinto oltre, chi avrebbe avuto il coraggio di alzare gli occhi su un Cristo nudo come uno schiavo?

Non fu però il decoro a fermare la mano dell’artista, ma la teologia, quindi gli artisti non si possono biasimare. Dopotutto, come avrebbero potuto sapere che il dolore del Cristo nuovamente crocifisso, senza la verità assoluta della completa nudità, avrebbe provocato una catastrofe? Quel perizoma concedeva a Gesù un ultimo brandello di decenza, ma lo privava nel con tempo della sua natura di Ebreo. Coprendone letteralmente l’orgoglio, lo trasformava in un Gentile onorario, in quanto non nascondeva soltanto il suo sesso ma anche il segno del coltello nelle sue carni, la circoncisione che testimoniava la sua appartenenza al popolo ebraico. Ed è "questo" che i Cristiani temevano di vedere.

Nelle crocifissioni di Raffaello e Rubens, e persino in quelle di Bosch e Gruenewald, il perizoma si trasforma in elemento ornamentale con le pieghe che pendono decorativamente. Nella crocifissione di Colmar di Gruenewald, dice Hussmans, Gesù si piega come un arco; il suo corpo tormentato, punteggiato da gocce di sangue e cosparso di spine come il riccio di una castagna d’India, emana una pallida luminosità. "Queste", sembra dire l’artista, sono le conseguenze del peccato su... chi?

Su Dio, è la risposta della teologia.

Si tratta della morte di Dio, e più intensa è l’agonia, tanto da velare il fulgore della Sua gloria, più risulta terrificante. "Dio morì sul Calvario". L’affermazione sembra in perfetto accordo con la teologia, e avrebbe potuto esserlo davvero, se non fosse stato per quel pezzetto di tessuto. Perché, sembra dire l’artista, qualcuno è responsabile di aver fatto "tutto ciò" a Dio. Ma chi?

Una lettura superficiale del Vangelo di Matteo fornisce la risposta: gli Ebrei.

Essi gridarono a Pilato: "Sia crocifisso! Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli". La parola di Dio sembra incolpare gli Ebrei, sia i contemporanei di Gesù che i loro discendenti, della Morte di Dio. Quindi essi sono deicidi. Una goccia di quel Sangue avrebbe salvato migliaia di mondi e gli Ebrei lo sparsero tutto; per loro, quel sangue non significò la salvezza, ma un’eterna maledizione. Con la loro miscredenza essi continuano a uccidere Dio e, dopo aver assassinato Cristo, rendendosi così colpevoli del massimo crimine immaginabile, di certo sono capaci di tutto. È questa la calunnia. È questa la grande eresia. Di conseguenza, le storie secondo cui gli Ebrei ammazzavano i piccoli Cristiani per berne il sangue si inserivano perfettamente nella scena creata dal Crimine dell’assassinio di Dio. Menzogne simili circolano ancora oggi.

Senza quella copertura, senza quel pezzo di stoffa, sarebbe saltato agli occhi di tutti che quanto avvenuto sul Calvario era anche un ebreicidio. Gesù era ebreo; gli Ebrei non uccisero Dio, ma un altro Ebreo, il Figlio di Dio, spargendone il sangue per togliere i peccati dal mondo.

Nei secoli a venire i Cristiani avrebbero istituito i pogrom contro gli Ebrei in nome della Croce, se Cristo avesse mostrato il marchio della circoncisione? Un Ebreo avrebbe autorizzato il massacro degli Ebrei? Non sarebbe stato chiaro che Gesù era presente in ogni pogrom e diceva: "Perché mi perseguitate? Quello che fate anche all’ultimo dei miei fratelli lo fate a me".

L’inganno, che dura ormai da quasi venti secoli, non fu perpetrato da una setta deviante, ma dal Cristianesimo ufficiale, dalla Santa Chiesa Cattolica e Apostolica Romana. Nessuna dottrina si diffuse altrettanto universalmente e senza riserve - in termini cattolici "infallibilmente" - quanto quella secondo cui "gli Ebrei sono maledetti per aver ucciso Dio", accusa solo da poco ritirata ufficialmente da parte di Giovanni Paolo II. Per un bizzarro scherzo del destino, gli Ebrei, dai quali trasse origine il Salvatore, furono i soli a essere incolpati della sua morte. Non fu Gesù ad essere nuovamente crocefisso, ma la stirpe da cui proveniva.

Nel Terzo e nel Quarto Concilio Lateranense (1179 e 1215), la Chiesa codificò tutte le precedenti sanzioni contro gli Ebrei. Innanzitutto essi dovettero portare su di sé un marchio d’infamia; in Inghilterra aveva la forma presunta delle tavole di Mosè ed era color zafferano; in Francia e in Germania era rotondo, di colore giallo; in Italia era un cappello rosso, finché un prelato romano dalla vista corta scambiò un Ebreo per un cardinale e quindi si passò al cappello giallo.

Agli Ebrei fu proibito qualsiasi contatto con i Cristiani; non potevano prender parte all’amministrazione né essere proprietari di terreni o di negozi; furono costretti a vivere in ghetti che venivano chiusi di notte. Nessun sistema di "apartheid" fu applicato più rigorosamente. Per il rifiuto di abiurare la loro fede ancestrale e di convertirsi al Cristianesimo, furono perseguitati da un paese all’altro. Un papa diede loro un mese di tempo per abbandonare le case in Italia e rifugiarsi nei soli due luoghi consentiti. Durante le Crociate, furono uccisi a migliaia per devozione a Cristo. Un Ebreo che metteva fuori il naso di Venerdì Santo commetteva praticamente un suicidio, anche se l’Uomo della Croce per primo aveva il naso ebraico. Così, nel corso dei secoli, milioni di persone subirono sofferenze e morte. Un’arte scadente e una pessima teologia avevano aperto la strada a Hitler e alla sua "soluzione finale".

Come prima cosa, nella Germania nazista sulle case e sui negozi degli Ebrei veniva dipinta una stella; era il segnale che là si poteva distruggere e saccheggiare. Le città, come ai tempi del medioevo, si vantavano di essere "Judenrein", immuni dalla contaminazione ebraica. Alla periferia del villaggio di Obersdorf sorgeva una tipica cappelletta con un crocifisso; sopra il capo di Gesù, oltre all’iscrizione "INRI", in primo piano compariva un avviso: "Juden sind hier nicht erwunscht" "Gli Ebrei non sono bene accetti").

Nel 1936 il Vescovo di Osnabruck, Berning, parlò con il Fuhrer per più di un’ora. Hitler assicurò a Sua Eminenza che non esisteva alcuna differenza fondamentale fra il Nazionalsocialismo e la Chiesa Cattolica; la Chiesa, affermò il dittatore, non aveva forse considerato gli Ebrei alla stregua di parassiti, chiudendoli nei ghetti? "Sto solo facendo - dichiarò - ciò che la Chiesa ha fatto per cinquecento anni, ma più radicalmente". Essendo egli stesso cattolico, disse a Berning, "ammirava il Cristianesimo e intendeva favorirlo".

Non gli venne mai in mente, sembra, che Gesù, definito in "Mein Kampf" "il Grande Fondatore di questo nuovo credo" e flagello degli Ebrei, fosse ebreo egli stesso; e perché no? Dal settembre del 1941 tutti gli Ebrei del Reich di età superiore ai sei anni dovettero portare in pubblico come marchio d’infamia la Stella di Davide. Perché allora Hitler non ordinò che quella stessa stella fosse cucita anche sul perizoma di tutti i Cristi crocifissi del Reich? Sarebbe stato tanto ansioso di incoraggiare il Cristianesimo come egli lo intendeva se avesse visto soltanto una volta Gesù crocifisso com’era stato in realtà? E se Gesù fosse apparso nudo su tutte le croci della Germania? I vescovi tedeschi e Pio XII avrebbero taciuto per tanto tempo se avessero visto il loro Signore crocifisso senza perizoma? Nonostante la crudeltà cristiana, che in una certa misura pose i presupposti dell’Olocausto, alcuni cattolici affermano tuttora che la loro Chiesa non ha mai sbagliato.

Quindici anni dopo la pietosa apertura dei cancelli di Auschwitz, Bergen-Belsen, Dachau, Ravensbruch e Treblinka, come per confondere i critici secondo i quali il papato non potrà mai cambiare, un papa, Giovanni XXIII, compose questa straordinaria preghiera: "Rechiamo sulla fronte il marchio di Caino. Nel corso dei secoli il nostro fratello Abele giacque nel sangue che noi spargemmo e pianse le sue lacrime perché noi abbiamo dimenticato il Tuo amore. Perdonaci, o Signore, per la maledizione che attribuimmo falsamente al loro nome di Ebrei. Perdonaci per averTi crocifisso una seconda volta nelle loro persone. Infatti non sapevamo quel che facevamo."

Fu una specie di ammenda per le centinaia di documenti antisemiti pubblicati dalla Chiesa tra il sesto e il ventesimo secolo. Nessun decreto conciliare, nessuna enciclica, bolla o direttiva pastorale sottintendeva che il precetto di Gesù "Ama il prossimo tuo come te stesso" si dovesse applicare anche agli Ebrei. Andando contro questa tradizione secolare, il Papa Buono indicò il marchio di Caino sulla propria fronte e riconobbe che la Chiesa era colpevole di aver sparso il sangue degli Ebrei per tanti secoli, con il pretesto della maledizione divina. Ma l’affermazione più commovente è quella che la persecuzione cattolica contro gli Ebrei corrispondeva a una seconda crocifissione di Gesù nella persona del suo popolo. Il papa, rappresentante principale di una Chiesa santa e infallibile, chiedeva perdono per questi errori e per questi peccati spaventosi. La nostra sola scusante, disse, fu l’ignoranza.

Prima di diventare Sommo Pontefice, Giovanni era stato delegato apostolico in Turchia e in Grecia, proprio quando Hitler salì al potere. Rilasciò certificati di battesimo falsi a quattromila Ebrei, affinché potessero dimostrare di essere cristiani e sfuggire all’Olocausto. Alla fine della guerra, nominato nunzio a Parigi, entrò in un cinema dove vide le prime immagini dei sopravvissuti al campo di Belsen e ne uscì in lacrime, dicendo: "Questo è il Corpo Mistico di Cristo". Forse proprio grazie a questa esperienza sconvolgente fu il primo papa ad aver visto spiritualmente Cristo in croce senza perizoma.

Papa Giovanni non ebbe difficoltà a riconoscere che la Chiesa aveva avuto torto, per molti secoli e con conseguenze disastrose. Fu uno dei pochi pontefici a capire che per la Chiesa l’unico modo di progredire era affrontare senza timore il proprio passato, per quanto poco cristiano potesse essere.

A quasi quarant’anni dalla sua morte, vi sono ancora dei credenti secondo i quali la Chiesa cristiana è sempre stata quella di oggi, nonostante prove evidenti del contrario. Queste persone, e sono milioni, non riescono facilmente ad accettare che la Chiesa cristiana, la Chiesa romana ispirata dai papi, molti dei quali canonizzati, possa essere stata tanto crudele; e neppure che un pontefice dopo l’altro abbia quasi rovesciato il detto del Vangelo: "È meglio che un uomo muoia per il bene del popolo" per trasformarlo in: "È meglio che un popolo soffra per il bene di un uomo". Esiste innegabilmente un tragico legame tra i roghi, le croci, la legislazione papale e i pogrom da una parte, e le camere a gas e i forni crematori dei lager nazisti dall’altra.

Vi sono altre questioni vitali riguardanti il potere, la verità e l’amore rispetto alle quali la Chiesa ha commesso errori disastrosi per secoli e secoli, ma si cominciò ad accettare questa realtà solo con il Concilio Vaticano Secondo, convocato da Papa Giovanni nel 1962.

Secondo un processo rivoluzionario, Giovanni, Sommo Pontefice, divenne l’Avvocato del Diavolo della Chiesa stessa.

In un procedimento di canonizzazione, l’Avvocato del Diavolo riveste un ruolo di primo piano, in quanto le qualità di un possibile santo devono essere esaminate molto scrupolosamente. È come se la Chiesa permettesse a Satana di gettare sul ricordo di un santo tutto il fango possibile, per accertare se quel fango riesce a sporcarlo. Solo allora quell’uomo, quella donna o quel bambino saranno degni della venerazione pubblica. Naturalmente l’Avvocato del Diavolo è in realtà il campione della Chiesa.

Quando Papa Giovanni affermò che la Chiesa necessita di costanti riforme, sembrava lasciar intendere che essa necessita di un Avvocato del Diavolo permanente. Essendo uno storico, sapeva che la Chiesa aveva causato molti mali, ma essendo anche un essere umano fondamentalmente buono e disposto al perdono, sapeva che qualsiasi altra istituzione che fosse sopravvissuta tanto a lungo con poteri tanto grandi, avrebbe probabilmente causato mali di gran lunga maggiori senza fare altrettanto bene. Alla fine lasciò alle sue spalle la chiara impressione che non si dovessero dissimulare i danni provocati dalla sua Chiesa né falsificare la storia.



Giovedì, 13 marzo 2008