LA CHIESA CAMBIA - CRISI DELLE VOCAZIONI
I preti stranieri salvano le parrocchie

di Mauro Zucchelli

Uno su tre è africano, polacco o argentino. E sotto i 50 anni sono il 60%


Fonte: http://espresso.repubblica.it/dettaglio-local/I-preti-stranieri-salvano-le-parrocchie/2001428/6

LIVORNO. L’ultimo ad arrivare nella nostra città sarà padre Pjotr Kownacki, 35 anni, certificato di nascita targato Polonia: il vescovo Simone Giusti ha annunciato che gli affiderà una parrocchia di frontiera come Shangai. "Di frontiera" non solo dal punto di vista pastorale, in un rione tradizionalmente rosso doc (eppure legatissimo alle suore di San Giuseppe): la frontiera è anche geografica se è vero che in curia si sta ipotizzando di estenderne, in tandem con Pisa, il raggio d’azione fino al Calambrone per seguire più da vicino l’istituto Stella Maris. E’ nato come costola-fondazione della diocesi di San Miniato ma è difficile seguirlo a 50 chilometri di distanza e il vescovado sanminiatese sembra veda di buon occhio una più stretta collaborazione con i (quasi) "cugini" livornesi e pisani. Ma è "di frontiera" anche per un altro aspetto: la parrocchia della Sacra Famiglia, regno per quasi mezzo secolo di don Teodoro Biondi fin dalla fondazione in mezzo alle baracche americane, padre Pjotr (polacco) la prenderà dalle mani di don Albert Nkoumbou (congolese). Il passaggio di testimone fra due sacerdoti di origine straniera in una (significativa) parrocchia di città segna un punto di svolta: anche il prete è diventato uno dei mestieri di "cura" - delle anime, in questo caso, invece che del corpo - che la nostra società affida agli immigrati. Così temuti e tenuti a distanza, eppure così fondamentali nella "cura" di quel che abbiamo di più caro, se è vero che a loro affidiamo i nostri genitori anziani (non più autosufficienti), i nostri figli piccoli (che autosufficienti non lo sono ancora), le nostre case. Padre Pjotr entrerà in servizio in una diocesi in cui al presente un prete su tre proviene da oltre frontiera. Ma la percentuale quasi raddoppia se si puntano i riflettori solo sui sacerdoti al di sotto dei cinquant’anni: al contrario, il forte invecchiamento degli uomini in clergyman si fa sentire soprattutto nella leva di sacerdoti di origine italiana. In cifre: poco meno del 40% ha sulle spalle più di settant’anni, uno su undici supera perfino la soglia degli ottanta (con monsignor Ricciardiello che, ordinato prete prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, a fine aprile compirà 93 anni. E nel resto della Toscana? I preti stranieri sotto i 40 anni sono il 35,2%, due volte e mezzo rispetto alla media nazionale.

Poco meno di una ventina i sacerdoti stranieri qui da noi. Con bacini di provenienza estremamente precisi: quasi la metà sono in arrivo dall’Africa nera, il resto è rappresentato da argentini (in particolare dalla regione di Cordoba) e da polacchi (più un rumeno). Stranieri non solo per l’origine anagrafica ma anche per buona parte del percorso di vita: le dita di una mano bastano e avanzano per contare i casi in cui questi preti sono stati consacrati sacerdoti in Italia (e nessuno di essi a Livorno). In realtà, il conto dovrebbe allargarsi ai religiosi e facilmente passerebbe quota 40: con le suore congolesi di Tshumbe, e a Montenero vi sono numerose vocazioni indiane sia fra i monaci che soprattutto fra le suore. Di più: nel "parlamentino" dei preti adesso figurano due stranieri (don Matsimouna e don Riveiro). Inutile girarci intorno: l’afflusso di preti stranieri è speculare alla crisi di vocazioni. Monsignor Paolo Razzauti, il "sos" l’ha lanciato nei mesi scorsi, prima ancora dell’insediamento del nuovo vescovo Simone Giusti, sottolineanando che sarebbe stata l’emergenza numero uno che il nuovo pastore avrà da affrontare: no, non ci sono casi di "guerra" dei fedeli più tradizionalisti contro il prete immigrato, semmai la questione nasce dal fatto che una buona parte di questi preti (non solo stranieri) sono qui fra noi a tempo determinato. Tradotto: c’è il rischio di avere una Chiesa i cui parroci sono praticamente precari.

C’è anche un altro tassello in questo puzzle: cresce il numero di preti stranieri ma cresce anche l’esercito di fedeli extracomunitari. Non è vero che l’afflusso di immigrati è fatto di musulmani: molti fra quanti arrivano dall’Est europeo, dall’America latina o dalle Filippine vanno regolarmente a messa.

Non è una cosa strana, dunque, se adesso il vescovo Giusti vuol mandare le suore africane della diocesi congolese di Tshumbe all’Arciconfraternita della Purificazione in via della Madonna. Qui celebreranno i loro riti i greci uniti e gli ortodossi, qui c’è la chiesa della Madonna che nella storia religiosa della città ha rappresentato l’emblema del multiculturalismo con gli antichi altari delle varie comunità nazionali.

E’ una tradizione che, in qualche misura, è rimasta anche adesso. Solo che ad arrivare non sono più i rampolli delle grandi dinastie di commercianti mandati a impiantare filiali che facciano da testa di ponte per i traffici: la fotografia di questa nuova realtà è stata la messa che il vescovo Simone Giusti ha celebrato a metà gennaio per la "Giornata dei migranti". Una liturgia-mix del tutto fuori dagli schemi: letture e canti in varie lingue, l’atto penitenziale e il vangelo sono stati proclamati seguendo la sensibilità orientale come vuole il rito seguito dagli ucraini, l’offertorio con una espressività africana. E fra le panche, in mezzo ai parrocchiani livornesi, una folla di ucraini, filippini, nigeriani, polacchi



Marted́, 11 marzo 2008