Leggendo larticolo riportato oggi su La Repubblica sui conti della Chiesa, che riportiamo di seguito, non possiamo fare a meno di far giungere le nostre osservazioni . Se, infatti, il costo della “Elite” politica è stato misurato in 4 miliardi di euro annui (suddiviso tra “la tribù” dei 150 mila eletti dal popolo italiano, dai parlamentari europei ai consiglieri delle Comunità Montane), è stato scoperto che anche la Chiesa costa ai contribuenti italiani la stessa cifra!!! Forse sono soldi meglio utilizzati, visto che vanno in parte per opere di bene. Ma anche sul fatto che tanti soldi destinati alla Chiesa vadano ai più bisognosi, ci sono però delle forti perplessità. L8 per mille per esempio, come ci propinano gli spot che ci mostrano i bambini africani aiutati dai padri missionari (cosa verissima e che merita tutta la nostra ammirazione), non è impiegato in misura così massiccia per salvare vite. Dei 991 milioni di euro incassati dalla Chiesa attraverso l8 per mille infatti, solo 85 vanno al "terzo mondo" e 120 in carità sul nostro territorio nazionale. Credo che tutti noi ci saremmo aspettati una percentuale molto maggiore, viste le tante professioni di fede sulla sacralità della vita!!! Prendere visione, però, che dei 5 miliardi di euro di finanziamenti complessivi solo 1 venga utilizzato per la Carità non è stata una bella sorpresa, anzi, oseremmo dire che è semplicemente VERGOGNOSO!!! Se si pensa, per esempio, che unassociazione benefica, di tutto rispetto come ad esempio Medici Senza Frontiere, spende il 90% del proprio bilancio in aiuti, e 10% per le spese di funzionamento. In questo caso le percentuali sono quasi invertite (80% spese di autosostentamento e 20% di aiuto ai bisognosi). E l8 per mille rappresenta 1 solo miliardo di euro dei 4 sborsati dallo stato italiano. Per non parlare poi dei 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dellora di religione (che anche lo scrittore cattolico Messori definiscce "un vecchio relitto concordatario"), 700 milioni per convenzioni su scuola e sanità. E le ciliegine dei finanziamenti ai grandi eventi poi, dal Giubileo allultimo raduno di Loreto, costano una media di 250 milioni!!! Poi ci sono le esenzioni ICI (tra 400 e 700 milioni) IRAP (500 milioni) oltre che vari “vantaggi” fiscali (600 milioni) legate al mondo del turismo cattolico. Questo potrebbe essere “anche tollerabile” pensando allaiuto che dalla Chiesa cattolica va alle tante Chiese perseguitate nel mondo, altrimenti abbandonate. Cio che però non si digerisce proprio è invece la scarsa trasparenza dei bilanci del Vaticano, denunciata proprio dagli autori dellarticolo sotto riportato. Va bene “fidarsi” del Vaticano, ma uno Stato non può elargire soldi senza adeguati controlli e verifiche. Sono soldi dei contribuenti e il minimo di onestà e trasparenza da richiedere è che chi contribuisce sappia come vengano spesi i soldi donati!!!
Patrizia Vita
http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/cronaca/conti-della-chiesa/conti-della-chiesa/conti-della-chiesa.html
Lotto per mille, le scuole, gli ospedali, gli insegnanti di religione e i grandi eventi Ogni anno, dallo Stato, arrivano alle strutture ecclesiastiche circa 4 miliardi di euro I conti della Chiesa ecco quanto ci costa
di CURZIO MALTESE "Quando sono arrivato alla Cei, nel 1986, si trovavano a malapena i soldi per pagare gli stipendi di quattro impiegati". Camillo Ruini non esagera. A metà anni Ottanta le finanze vaticane sono una scatola vuota e nera. Un anno dopo larrivo di Ruini alla Cei, soltanto il passaporto vaticano salva il presidente dello Ior, monsignor Paul Marcinkus, dallarresto per il crack del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. La crisi economica è la ragione per cui Giovanni Paolo II chiama a Roma il giovane vescovo di Reggio Emilia, allora noto alle cronache solo per aver celebrato il matrimonio di Flavia Franzoni e Romano Prodi, ma dotato di talento manageriale. Poche scelte si riveleranno più azzeccate. Nel "ventennio Ruini", segretario dall86 e presidente dal 91, la Cei si è trasformata in una potenza economica, quindi mediatica e politica. In parallelo, il presidente dei vescovi ha assunto un ruolo centrale nel dibattito pubblico italiano e allinterno del Vaticano, come mai era avvenuto con i predecessori, fino a diventare il grande elettore di Benedetto XVI. Le ragioni dellascesa di Ruini sono legate allintelligenza, alla ferrea volontà e alle straordinarie qualità di organizzatore del personaggio. Ma unaltra chiave per leggerne la parabola si chiama "otto per mille". Un fiume di soldi che comincia a fluire nelle casse della Cei dalla primavera del 1990, quando entra a regime il prelievo diretto sullIrpef, e sfocia ormai nel mare di un miliardo di euro allanno. Ruini ne è il dominus incontrastato. Tolte le spese automatiche come gli stipendi dei preti, è il presidente della conferenza episcopale, attraverso pochi fidati collaboratori, ad avere lultima parola su ogni singola spesa, dalla riparazione di una canonica alla costruzione di una missione in Africa agli investimenti immobiliari e finanziari.
Dallotto per mille, la voce più nota, parte linchiesta di Repubblica sul costo della chiesa cattolica per gli italiani. Il calcolo non è semplice, oltre che poco di moda. Assai meno di moda delle furenti diatribe sul costo della politica. Il "prezzo della casta" è ormai calcolato in quattro miliardi di euro allanno. "Una mezza finanziaria" per "far mangiare il ceto politico". "Lequivalente di un Ponte sullo Stretto o di un Mose allanno".
Alla cifra dello scandalo, sbattuta in copertina da Il Mondo e altri giornali, sulla scia di La Casta di Rizzo e Stella e Il costo della democrazia di Salvi e Villone, si arriva sommando gli stipendi di 150 mila eletti dal popolo, dai parlamentari europei allultimo consigliere di comunità montane, più i compensi dei quasi trecentomila consulenti, le spese per il funzionamento dei ministeri, le pensioni dei politici, i rimborsi elettorali, i finanziamenti ai giornali di partito, le auto blu e altri privilegi, compresi buvette e barbiere di Montecitorio.
Per la par condicio bisognerebbe adottare al "costo della Chiesa" la stessa larghezza di vedute. Ma si arriverebbe a cifre faraoniche quanto approssimative, del genere strombazzato nei libelli e in certi siti anticlericali.
Con più prudenza e realismo si può stabilire che la Chiesa cattolica costa in ogni caso ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro allanno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale. La prima voce comprende il miliardo di euro dellotto per mille, i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dellora di religione ("Un vecchio relitto concordatario che sarebbe da abolire", nellopinione dello scrittore cattolico Vittorio Messori), altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità. Poi cè la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) allultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nellultimo decennio, di 250 milioni. A questi due miliardi 600 milioni di contributi diretti alla Chiesa occorre aggiungere il cumulo di vantaggi fiscali concessi al Vaticano, oggi al centro di uninchiesta dellUnione Europea per "aiuti di Stato". Lelenco è immenso, nazionale e locale. Sempre con prudenza si può valutare in una forbice fra 400 ai 700 milioni il mancato incasso per lIci (stime "non di mercato" dellassociazione dei Comuni), in 500 milioni le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, in altri 600 milioni lelusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per lItalia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini. Il totale supera i quattro miliardi allanno, dunque una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose allanno, più qualche decina di milioni.
La Chiesa cattolica, non eletta dal popolo e non sottoposta a vincoli democratici, costa agli italiani come il sistema politico. Soltanto agli italiani, almeno in queste dimensioni. Non ai francesi, agli spagnoli, ai tedeschi, agli americani, che pure pagano come noi il "costo della democrazia", magari con migliori risultati.
Si può obiettare che gli italiani sono più contenti di dare i soldi ai preti che non ai politici, infatti se ne lamentano assai meno. In parte perché forse non lo sanno. Il meccanismo dellotto per mille sullIrpef, studiato a metà anni Ottanta da un fiscalista allepoca "di sinistra" come Giulio Tremonti, consulente del governo Craxi, assegna alla Chiesa cattolica anche le donazioni non espresse, su base percentuale. Il 60 per cento dei contribuenti lascia in bianco la voce "otto per mille" ma grazie al 35 per cento che indica "Chiesa cattolica" fra le scelte ammesse (le altre sono Stato, Valdesi, Avventisti, Assemblee di Dio, Ebrei e Luterani), la Cei si accaparra quasi il 90 per cento del totale. Una mostruosità giuridica la definì già nell84 sul Sole 24 Ore lo storico Piero Bellini.
Ma pur considerando il meccanismo "facilitante" dellotto per mille, rimane diffusa la convinzione che i soldi alla Chiesa siano ben destinati, con un ampio "ritorno sociale". Una mezza finanziaria, daccordo, ma utile a ripagare il prezioso lavoro svolto dai sacerdoti sul territorio, la fatica quotidiana delle parrocchie nel tappare le falle sempre più evidenti del welfare, senza contare limpegno nel Terzo Mondo. Tutti argomenti veri. Ma "quanto" veri?
Fare i conti in tasca al Vaticano è impresa disperata. Ma per capire dove finiscono i soldi degli italiani sarà pur lecito citare come fonte insospettabile la stessa Cei e il suo bilancio annuo sullotto per mille. Su cinque euro versati dai contribuenti, la conferenza dei vescovi dichiara di spenderne uno per interventi di carità in Italia e allestero (rispettivamente 12 e 8 per cento del totale). Gli altri quattro euro servono allautofinanziamento. Prelevato il 35 per cento del totale per pagare gli stipendi ai circa 39 mila sacerdoti italiani, rimane ogni anno mezzo miliardo di euro che il vertice Cei distribuisce allinterno della Chiesa a suo insindacabile parere e senza alcun serio controllo, sotto voci generiche come "esigenze di culto", "spese di catechesi", attività finanziarie e immobiliari. Senza contare laltro paradosso: se al "voto" dellotto per mille fosse applicato il quorum della metà, la Chiesa non vedrebbe mai un euro.
Nella cultura cattolica, in misura ben maggiore che nelle timidissime culture liberali e di sinistra, è in corso da anni un coraggioso, doloroso e censuratissimo dibattito sul "come" le gerarchie vaticane usano il danaro dellotto per mille "per troncare e sopire il dissenso nella Chiesa". Una delle testimonianze migliori è il pamphlet "Chiesa padrona" di Roberto Beretta, scrittore e giornalista dellAvvenire, il quotidiano dei vescovi. Al capitolo "Laltra faccia dellotto per mille", Beretta osserva: "Chi gestisce i danari dellotto per mille ha conquistato un enorme potere, che pure ha importantissimi risvolti ecclesiali e teologici". Continua: "Quale vescovo per esempio - sapendo che poi dovrà ricorrere alla Cei per i soldi necessari a sistemare un seminario o a riparare la cattedrale - alzerà mai la mano in assemblea generale per contestare le posizioni della presidenza?". "E infatti - conclude lautore - i soli che in Italia si permettono di parlare schiettamente sono alcuni dei vescovi emeriti, ovvero quelli ormai in pensione, che non hanno più niente da perdere...".
A scorrere i resoconti dei convegni culturali e le pagine di "Chiesa padrona", rifiutato in blocco dalleditoria cattolica e non pervenuto nelle librerie religiose, si capisce che la critica al "dirigismo" e alluso "ideologico" dellotto per mille non è affatto nelluniverso dei credenti. Non mancano naturalmente i "vescovi in pensione", da Carlo Maria Martini, ormai esiliato volontario a Gerusalemme, a Giuseppe Casale, ex arcivescovo di Foggia, che descrive così il nuovo corso: "I vescovi non parlano più, aspettano linput dai vertici... Quando fanno le nomine vescovili consultano tutti, laici, preti, monsignori, e poi fanno quello che vogliono loro, cioè chiunque salvo il nome che è stato indicato". Il già citato Vittorio Messori ha lamentato più volte "il dirigismo", "il centralismo" e "lo strapotere raggiunto dalla burocrazia nella Chiesa". Alfredo Carlo Moro, giurista e fratello di Aldo, in uno degli ultimi interventi pubblici ha lanciato una sofferta accusa: "Assistiamo ormai a una carenza gravissima di discussione nella Chiesa, a un impressionante e clamoroso silenzio; delle riunioni della Cei si sa solo ciò che dichiara in principio il presidente; i teologi parlano solo quando sono perfettamente in linea, altrimenti tacciono".
La Chiesa di ventanni fa, quella in cui Camillo Ruini comincia la sua scalata, non ha i soldi per pagare gli impiegati della Cei, con le finanze scosse dagli scandali e svuotate dal sostegno a Solidarnosc. La cultura cattolica si sente derisa dallegemonia di sinistra, ignorata dai giornali laici, espulsa dalluniverso edonista delle tv commerciali, perfino ridotta in minoranza nella Rai riformata. Eppure è una Chiesa ancora viva, anzi vitalissima. Tanto pluralista da ospitare nel suo seno mille voci, dai teologi della liberazione agli ultra tradizionalisti seguaci di monsignor Lefebrve. Capace di riconoscere movimenti di massa, come Comunione e Liberazione, e di "scoprire" lantimafia, con le omelie del cardinale Pappalardo, il lavoro di don Puglisi a Brancaccio, limpegno di don Italo Calabrò contro la ndrangheta. Dopo ventanni di "cura Ruini" la Chiesa allapparenza scoppia di salute. È assai più ricca e potente e ascoltata a Palazzo, governa lagenda dei media e influisce sullintero quadro politico, da An a Rifondazione, non più soltanto su uno. Nelle apparizioni televisive il clero è secondo soltanto al ceto politico. Si vantano folle oceaniche ai raduni cattolici, la moltiplicazione dei santi e dei santuari, i record di audience delle fiction di tema religioso. Le voci di dissenso sono sparite. Eppure le chiese e le sagrestie si svuotano, la crisi di vocazioni ha ridotto in ventanni i preti da 60 a 39 mila, i sacramenti religiosi come il matrimonio e il battesimo sono in diminuzione.
Il clero è vittima dellillusoria equazione mediatica "visibilità uguale consenso", come il suo gemello separato, il ceto politico. Nella vita reale rischia dinverarsi la terribile profezia lanciata trentanni fa da un teologo progressista: "La Chiesa sta divenendo per molti lostacolo principale alla fede. Non riescono più a vedere in essa altro che lambizione umana del potere, il piccolo teatro di uomini che, con la loro pretesa di amministrare il cristianesimo ufficiale, sembrano per lo più ostacolare il vero spirito del cristianesimo". Quel teologo si chiamava Joseph Ratzinger.
(Hanno collaborato Carlo Pontesilli e Maurizio Turco)
Domenica, 30 settembre 2007
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