Crisichiese
Sacerdoti, pochi e anziani

di Gian Guido Vecchi

L’età media è 60 anni, da 33 in servizio
Calo costante, nel 2023 un quarto in meno


Riprendiamo questo articolo dal sito: http://www.corriere.it/cronache/08_maggio_18/focus_sacerdoti_pochi_anziani_45f81a92-24ad-11dd-80ae-00144f486ba6.shtml


«In Italia, c’è un’Italia antica fatta di scale ripide, anziani soli e giovani sacerdoti...». Stacco su carrugi e prospettive vertiginose, accanto a un vecchio pescatore appare don Franco, prete in erba che galleggia allegramente in un gozzo sullo sfondo di una splendida marina. «Lui e tanti come lui sono gli occhi, il cuore, la voce e l’anima di tanti piccoli paesi a volte dimenticati...». Ecco, a parte la storia del paesello «dimenticato» - in realtà si tratta di Riomaggiore, fiorente gioiello delle Cinque Terre patrimonio mondiale dell’umanità -, lo spot Cei dell’otto per mille mostra l’essenziale: che succederebbe se non ci fosse, don Franco?

Perché quelli come lui non abbondano, loro sì «dimenticati». Di solito non se ne scrive, gli archivi dei giornali e la rete internet traboccano di preti pedofili, preti concubini, preti eccentrici. Di quelli normali, cioè la quasi totalità, mai. Eppure la faccenda riguarda migliaia di fedeli in tutta Italia, una quantità di quartieri, paesi e paeselli che da anni non vedono un parroco, una miriade di ragazzini ignari del catechismo che senza un oratorio non saprebbero dove giocare a pallone e di anziani che non avrebbero con chi parlare. Per dare l’idea: all’inizio del Novecento, in Italia, c’erano 68.848 sacerdoti per 33 milioni di abitanti; ora che siamo 57 milioni i preti sono più che dimezzati. E se oggi non è facile, fare il prete in futuro lo sarà ancora meno.

I sacerdoti in Italia hanno un’età media di sessant’anni e un’anzianità di servizio di trentatré. La metà è stata ordinata prima del ’67, cioè prima che entrassero in vigore le riforme del Vaticano II. Con 31.179 sacerdoti diocesani e 25.817 parrocchie si arriva a poco più di un prete (il rapporto è 1,19) per parrocchia compresi gli anziani - un prete su otto viaggia sugli ottanta -, e in regioni come Emilia, Abruzzo, Molise, Toscana e Liguria ci sono da tempo più campanili che sacerdoti. Ma potrebbe andare peggio: è «praticamente certo» che ci sarà un quarto di preti in meno, «ma in alcune regioni un terzo», nel giro di quindici anni. Così, in proiezione ventennale, si calcola ne La parabola del clero, un’approfondita ricerca curata dal sociologo Luca Diotallevi e promossa dalla Cei con la Fondazione Giovanni Agnelli.

L’indagine offre uno scenario che, a «ordinazioni costanti», passa dai 32.970 preti del 2003 ai 25.407 del 2023, meno 22,9 per cento, con punte sul 40 dal Piemonte alle Marche. Fin qui le brutte notizie. Perché anche nello scenario più fosco l’Italia del 2023 vivrebbe ciò che già adesso sperimentano le Chiese di Francia o Spagna, «realtà tutt’altro che estinte e agonizzanti», nota Diotallevi. E poi i numeri non sono tutto: lo stesso monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, nel commentare la ricerca mette in guardia dal «sopravvalutare l’aspetto quantitativo delle trasformazione del clero » e badare alle qualità richieste dalla nuova situazione, «serve una fede più pensata, il necessario rinnovamento richiederà maggiore attenzione al mondo che cambia...».

Ogni crisi è sempre fertile, basta conoscerla. Dai numeri alla realtà la prima immagine è quella di don Franco Pagano, 31 anni, il sacerdote del gozzo di Riomaggiore. Se gli si chiede cos’è cambiato, oggi, don Franco risponde deciso: «Bisogna essere ancora più preti, non imboscarsi: stare tra la gente, sì, ma come sacerdote. Come dice il nostro vescovo, Francesco Moraglia: ricordiamoci che non facciamo i preti, siamo preti».

Nella vicina Biassa la gente ricorda come una figura mitologica il vecchio parroco, don Alfonso Ricciardi, quello che durante la vendemmia andava a stanare la gente con un megafono, «contadini di Tramonti!», e ormai da anni alla Chiesa romanica di San Martino badano le donne del paese. «Eh sì, è un grande problema. Se ogni settimana, per dire, riuscissi ad andare a trovare tutti gli anziani, sarebbero contenti e lo sarei anch’io. Ma devo pensare al catechismo, agli sposi, all’oratorio, all’insegnamento a scuola e in seminario, alle messe che talvolta mi chiedono di celebrare anche in altri paesi come Biassa, a tutti quei ruoli che una volta in parrocchia ci si divideva mentre adesso sono da solo», allarga le braccia don Franco. «E questo quando si richiede un ministero più attivo verso la gente. Non è più scontato che vengano da te, conta sempre più l’aspetto missionario, li devi cercare. E la risposta c’è, mai come adesso la gente avrebbe bisogno che fossimo più presenti e desidera ardentemente un parroco residente. Solo che noi non riusciamo ad essere residenti ».

Così i preti stanno già cambiando. Se l’Italia delle famiglie numerose che usavano mandare un figlio fisso in seminario è storia, in compenso un giovane che si fa oggi sacerdote, con la prospettiva di un impegno totale (a 852,93 euro al mese) è più consapevole e maturo, la stessa età media di ordinazione, dai 23 anni del 1928, ha superato i trenta, «quest’anno aMilano saranno ordinati anche due cinquantenni, casi peraltro straordinari, ma è vero che oggi si inizia per lo più dopo l’università», spiega don Luigi Panighetti, prorettore del seminario ambrosiano di Seveso, sede del primo biennio di Teologia. Scenderà l’età media e saranno più «globalizzati», visto che cresce la presenza di stranieri da tutto il mondo e già adesso il 4,5 per cento dei preti è nato all’estero, il 23 per cento a Roma e nel Lazio (per motivi di studio), mentre in Umbria la metà dei preti fino a quarant’anni è straniera.

Dopo la strage di ’ndrangheta a Duisburg, il viceparroco di San Luca don Stefano Fernandez, indiano, spiegava candido: «Qui i preti italiani non ci vogliono venire». Sarà sempre meno così, le diocesi chiedono «flessibilità» e sperimentano, le «comunità pastorali» con équipe di preti, religiose e laici nate a Milano per coprire più parrocchie si diffondono da Bergamo a Venezia. In fondo non avranno il tempo d’annoiarsi né di sentirsi isolati. «C’è uno stare con se stessi educativo», sorride don Franco. «E poi non si è mai soli quando hai un interlocutore nel Signore...».

Gian Guido Vecchi



Lunedì, 19 maggio 2008