La paura impedisce alla chiesa di crescere

di Stefania Salomone

Può sembrare la classica scoperta dell’acqua calda, ma recentemente, parlando con un mio caro amico, è come se avessi realizzato nel profondo quanta parte del blocco verso la crescita sia determinato dalla paura.
Se uno psicologo divino iniziasse un’analisi psicoanalitica della chiesa e dei suoi strani percorsi, concluderebbe certamente che la paura è il fattore scatenante, ma anche la conseguenza dello stato dei fatti.
Un gatto che si morde la coda? Sembrerebbe di si. Esiste un modo per interrompere questa catena malefica? Probabilmente esiste, ma bisogna fare i conti con un avversario invisibile e tenace: la paura.
I media ci informano di fatti gravi che accadono all’interno della chiesa e la maggior parte delle volte neanche ci stupiamo più. E’ come se ci fossimo assuefatti. Sembrano cose lontane che riguardano il pinco pallino in questione. Invece non è così, ci riguardano tutti. Altrimenti che chiesa saremmo?
Se è vero, come è vero, che siamo stati salvati, liberati, perché ci costruiamo trappole che continuano ad ingabbiarci?
Moltissime persone che conosco stanno compiendo un percorso individuale, o a volte comunitario, di liberazione dal “giogo religioso” e, attraverso di esso, stanno acquisendo una nuova consapevolezza. Per quanto la strada sia difficile e spesso dolorosa, tutti, nessuno escluso, affermano che non tornerebbero indietro per nessuna ragione.
Allora perché quando si tratta poi di dare seguito al cambiamento interiore, ci sentiamo paralizzati?
Evidentemente non ci siamo affatto liberati, almeno non del tutto. Se la paura ancora la fa da padrone, c’è qualcosa che impedisce alla teoria di diventare azione concreta. Abbiamo ancora bisogno di maschere che ci proteggano dal giudizio altrui e che ci permettano di confonderci in mezzo alla folla. Ci sono persone che, a parole, sono al di fuori di ogni legge precostituita, ma, al momento di lottare per le proprie convinzioni, tornano a nascondersi.
Sembrerà strano ma capita molto spesso che preti, vescovi o alti prelati sul pulpito si esprimano in un certo modo e, in via confidenziale, magari davanti a un buon piatto di pasta, dicano l’esatto contrario. Ad esempio ho avuto modo di parlare con preti che si sentono costretti a negare pubblicamente l’Eucaristia al divorziato risposato, ma che poi, in forma privata, la concedono, pregando ovviamente il fedele di non diffondere la notizia. Risulta palese quindi che non sono d’accordo col principio secondo il quale debba essere negata, ma che, di fatto, non se la sentono di prendere una posizione ufficiale che sia in contrasto con la dottrina del magistero.
Ma se, in coscienza, decidono di ammettere il divorziato risposato all’Eucaristia, perché non farlo pubblicamente? E’ questo il punto. Non sono disposti a perdere la faccia di fronte al vescovo, quindi la loro reputazione rimane inalterata, il fedele tutto sommato è soddisfatto e acquisisce una stima particolare verso la persona che gli fa questa speciale concessione, e siamo tutti contenti.
Quanti vescovi in sede sinodale o durante le riunioni delle Conferenze Episcopali Nazionali hanno convinzioni diverse dallo stesso voto che poi esprimono? Secondo il principio illustrato sopra, moltissimi. Ma non è conveniente esporsi.
Certo che non lo è. Non esiste una persona al mondo che abbia tratto giovamento (coscienza a parte) da una ferma opposizione alla cultura dominante.
Non siamo chiamati proprio a questo? Gesù ha sovvertito l’ordine della casta sacerdotale per liberarci dal giogo della legge, del tempio, del culto e ha perso la faccia davanti a tutti, per tutti. L’ha persa davanti al suo clan familiare, tanto da sentirsi dare del “pazzo”, davanti agli ecclesiastici, che avevano troppa paura di lui e l’hanno messo a morte, davanti al popolo, che lo ha disconosciuto. Niente poteva fermarlo e niente lo ha fermato.
Invece la nostra vita è costellata di battute d’arresto dovute alla paura dell’isolamento e della persecuzione. Ci sono esempi di persone, anche all’interno del clero, che operano a favore di una visione liberante del volto di Dio, ma, fintanto che resteranno casi isolati e sporadici, costituiranno la minoranza da combattere. Ci sono altre persone invece che sono disposte a scoprirsi fino ad un certo punto, ma mai fino in fondo.
Non so se sono più tanto d’accordo con la tesi che bisogna fare un passetto alla volta per arrivare all’obiettivo. Ciò che ci sembra sbagliato, va cambiato, con ogni mezzo pacifico a disposizione.
Allora, se il parroco vuole cambiare le cose, anche a costo di diventare impopolare, deve farlo. Dando spiegazioni, si intende, condividendo il suo percorso interiore con la comunità, illustrando le ragioni che lo hanno portato alle convinzioni attuali. Certo, la cosa potrebbe arrivare al superiore e creare problemi, ma questo è il prezzo da pagare per annunciare la Paternità di Dio.
Coloro che hanno superato in concetto di inferno, di punizione divina, di giudizio universale, di peccato originale, e sono tantissimi, possono e devono lavorare insieme.
Se tutti quelli che hanno già iniziato questo percorso agissero così, i risultati non tarderebbero ad arrivare. In fondo, cari signori, di solito quello che dice il prete è legge. Egli rappresenta sempre la parte autorevole e allora diamo un senso a questa autorevolezza, Vangelo alla mano, affinché non rimanga mera “autorità”.
Questo mio scritto potrà sembrare uno sfogo fine a se stesso; vorrei invece che venisse accolto come un appello, un appello che rivolgo a tutti coloro che stanno camminando e che hanno paura, come me, di andare fino in fondo.
Se e quando riusciremo a comprendere che il raccolto, alla mietitura, sarà molto più abbondante di ogni più ottimistica aspettativa, potremo scacciare ogni timore e ringraziare Dio anche per il difficile tempo della semina.



Mercoledì, 05 marzo 2008