Parma, crisi delle vocazioni
E i preti parlano spagnolo

di Giacomo Talignani

Nel ducato ci sono solo quattro futuri sacerdoti, gli altri arrivano dall’Africa, dalla Polonia e dal Sudamerica. Le difficoltà dei giovani, la rinuncia alla fede, raccontate da don Daniele Bonini, direttore del centro vocazioni


Don Daniele preferisce non parlare di numeri, perché sa che quelli fanno una certa impressione. Quattro seminaristi. Solo quattro futuri preti in una città con più di trecento parrocchie. A Parma è crisi delle vocazioni. Don Daniele Bonini, direttore del Centro diocesano vocazioni di Parma, la chiama sempre "crisi con le virgolette" perché, dice lui, "l’andiamo è lo stesso da almeno cinque anni". A Parma non crescono più preti: nel seminario maggiore di via Cardinal Ferrari, sono solo quattro le persone che hanno deciso di abbracciare la via del Signore "ma fino almeno a dieci anni fa erano il doppio se non di più, in anni passati il seminario ospitò oltre cento persone". Già, anni passati. Adesso, i nuovi preti di Parma e provincia, hanno la pelle color ebano e l’accento sudamericano. Oppure polacco.

Nella Parma del cardinal Casaroli, che fu sottosegretario dello stato Vaticano, di cardinal Ferrari, di Giovanni Maria Conforti e della lunga tradizione diocesana della città, adesso le vocazioni appaiono sempre più lontane. "C’è stato un calo significativo, rilevante – dice don Bonini – ma non guarderei tanto ai numeri quanto alla difficoltà di molti giovani, oggi, nel ricercare ed accettare la propria vocazione. Molti hanno paura a prendersi dei rischi, hanno paura a sposare il Signore, anche sesentono che è ciò che vogliono. E su questo ha decisamente inciso il mondo di oggi".

Eppure, nella Parma del sacerdozio in picchiata, i giovani sembrano ancora vicini alla chiesa. "E’ vero, lo so, sono solo 4 i seminaristi, ma in seminario minore oltre 100 adolescenti (fra i 10 e i 19 anni), fra ragazze e ragazzi, si confrontano giorno dopo giorno con la fede. E poi i giovani sono nelle parrocchie, nella vita della comunità, quindi se penso al futuro non lo vedo in pericolo per la Chiesa: lo vedo solo diverso, cambiato". E una struttura come quella del seminario maggiore, così grande, così vuota, che fine farà? "Non è a me che va rivolta questa domanda, ma non credo che sarà chiusa o cambiata".


E poi ci sono i nuovi preti, capelli color corvino e pelle ambrata. "La crisi delle vocazioni ha toccato soprattutto l’Europa, negli altri Paesi invece c’è una crescita. Per cui è normale che comincino ad essere presenti sacerdoti non italiani: nella nostra diocesi c’è un prete colombiano, due polacchi (a Colorno e Langhirano), un africano, uno del Bangladesh a Felino e tanti altri ne arriveranno ancora".

Arrivano da tutto il mondo, ma non da Parma. "Ripeto, per i nostri giovani la difficoltà oggi è capire la propria strada e spesso, per paura, rischiano di non realizzare la propria vita. In questa città però, per chi vuole intraprendere il cammino di Dio, ci sono tutte le possibilità". Quasi tutte. "Sì, i seminaristi di Parma, essendo pochi, come quelli di Modena ad esempio, ogni giorno vanno a studiare alla scuola di teologia di Reggio Emilia, una delle poche città emiliano romagnole che non soffre della crisi".

E poi c’è la cultura dell’ immagine, internet, un mondo che accelera sempre di più. "Già, ci sono anche queste cose che non lasciano il tempo per una pausa definitiva. Per decidere". Resta il fatto che nel ducato, solo un ex ricercatore universitario, un diacono di più di cinquant’anni, un giovane ingegnere e un laureato in giurisprudenza hanno avuto il tempo e la vocazione per intraprendere il percorso del sacerdozio. "Sì, sono pochi, ma bisogna ricordarsi che la comunità parrocchiale sta cambiando: non ci sono più i preti tutto fare, è una intera comunità ecclesiastica, fatta anche di laici e famiglie, a collaborare per il futuro in nome della fede".



Domenica, 31 agosto 2008