Lite sul vescovo-presidente in Paraguay: "E’ la teologia, stupido!"

di JOHN L. ALLEN JR., New York

National Catholic Reporter

3 maggio 2008

Ho ripetuto spesso che riportare notizie sul cattolicesimo romano attraverso il prisma della logica corporativa o delle politiche secolari è come tentare di costruire un oggetto tridimensionale in uno spazio bidimensionale: inevitabilmente alcuni aspetti della realtà vengono trascurati e ne deriva una immagine distorta.

E’ un’immagine che ben dipinge la situazione, ma la gente ha bisogno di esempi concreti per entrare nel merito. I giorni scorsi ci hanno regalato una cosa straordinaria, sotto forma di controversia riguardo l’elezione di Fernando Lugo, ex prete Verbita e vescovo emerito della diocesi di San Fernando in Paraguay, a presidente – una vittoria che è arrivata nonostante l’insistenza del Vaticano che Lugo restasse vescovo e che rimanesse al di fuori delle parti politiche.

In superficie sembra una tipica storia di politica, ma in realtà la situazione non può essere compresa a pieno senza una minima padronanza di teologia cattolica e di diritto canonico, specialmente sul significato di essere vescovo.

Ecco la storia pregressa: Lugo, populista di sinistra, è stato sempre una figura di spicco della scena sociale del Paraguay. L’attivismo scorre nelle sue vene: suo padre fu arrestato 20 volte sotto il regime dell’ex-dittatore Alfredo Stroessner, e tre dei suoi quattro fratelli sono stati espulsi dal paese. Nel 1996, Lugo ha organizzato un incontro nazionale delle comunità di base, i piccoli gruppi dedicati alla formazione spirituale e all’azione politica legate alla teologia della liberazione. Nel 2004 Lugo partecipò alle proteste dei pacifisti per una equa distribuzione delle terre e del commercio in agricoltura.

Tre anni fa si cominciò a parlare di Lugo come candidato alle presidenziali, e da allora è nata la questione del suo status di vescovo cattolico. L’articolo 235 della costituzione del Paraguay proibisce ad un ministro religioso di ricoprire cariche politiche, così nel 2006 Lugo scrisse al Vaticano per chiedere di essere "laicizzato", cioè dimesso dallo stato clericale. Poi annunciò di essersi dimesso dal suo episcopato, motivo sufficiente per lo stato del Paraguay per permettere la sua candidatura.

Tuttavia, il Cardinale Giovanni Battista Re della Congregazione Vaticana per il Vescovi scrisse a Lugo il 4 gennaio 2007, per informarlo che la sua richiesta era stata respinta. Ovviamente Lugo protestò e di lì incominciarono le diatribe sulla stampa che narravano le tensioni tra il futuro presidente e Roma.

La polemica è stata presentata sia sotto l’aspetto disciplinare che politico. Alcuni affermano che il Vaticano ha contrastato Lugo secondo il principio che il clero non deve essere coinvolto nella politica (argomento a tutt’oggi valido), oppure per difendere l’autorità del papa. Altri invece sottolineano le tendenze di sinistra di Lugo, sospettando che il Vaticano tema lo spettro del venezuelano Hugo Chavez, o abbia paura di un rifiorire della teologia della liberazione.

In ogni caso, la realtà dei fatti è che dire "no" a Lugo rappresenta un legalismo rigido legato certamente ad altre ragioni. Dopo tutto, da un punto di vista puramente secolare, se un individuo è determinato a lasciare, a che serve rifiutare le sue dimissioni – a meno che, naturalmente, non gli si voglia rendere la vita difficile?

Ciò che tale ragionamento omette, però, è la dimensione teologica del problema.

Sotto questo aspetto, non è assolutamente scontato che il Vaticano dovesse accogliere la domanda di riduzione allo stato laicale di Lugo, anche se motivata. I canonisti non possono appellarsi a nessun precedente di vescovo ridotto allo stato laicale, e, sebbene sia un punto dibattuto, ci sono serie motivazioni che sanciscano che non sia praticamente possibile.

Teologicamente, l’ordinazione sacramentale è come un campanello che non può essere zittito. Il canone 290 del Codice di Diritto Canonico afferma chiaramente: "Dopo essere stati impartiti validamente, i sacri ordini non possono essere invalidati". Tuttavia un prete può essere "laicizzato", cioè può tornare formalmente e legalmente laico, anche se il suo "marchio" permanente conferito con l’ordinazione resta.

Per preti e diaconi, la riduzione allo stato laicale è di solito un passo estremo a cui si ricorre in casi molto gravi. I preti possono chiedere al Vaticano di tornare ad essere laici, ad esempio quando intendono sposarsi. Tale atto è considerato una azione pontificale, cioè qualcosa che il papa fa personalmente ed è considerato un favore, più che un diritto. I preti possono anche essere ridotti allo stato laicale forzatamente, se colpevoli di gravi mancanze come è accaduto per alcuni preti che avevano compiuto abusi sessuali, di cui siamo venuti a conoscenza nei recenti scandali. Il canone 290 sancisce che la laicizzazione possa riguardare "i diaconi solo per gravi motivazioni, e i presbiteri solo per ragioni estremamente gravi".

Certamente, il canone 290 non fa mai riferimento ai vescovi, come se questa ipotesi fosse praticamente impensabile.

Alcuni esperti ritengono che l’omissione possa basarsi sulla differenza teologica tra il presbiterato e l’episcopato. Detto in parole semplici, la ragione dell’impossibilità di laicizzare un vescovo deriva da questo: l’episcopato rappresenta la "pienezza" dell’ordinazione sacramentale. Ecco perché i vescovi possono ordinare i preti ed altri vescovi, mentre i preti non possono. Data questa differenza, alcuni ritengono che lo status conferito mediante l’ordinazione episcopale sia a livello talmente profondo da renderla indissolubile non solo in senso metafisico, ma giuridico.

Non tutti i teologi o canonisti sposano questa teoria, ma essa sembra implicita nel modo in cui il Vaticano ha trattato i recenti casi di vescovi dissidenti.

I vescovi possono essere rimossi dall’incarico, anche forzatamente, dal papa; è accaduto ad esempio nel 1995, al vescovo francese Jacques Gaillot, rimosso dalla diocesi di Évreux e riassegnato alla sede di Partenia. Gaillot è conosciuto come "il chierico rosso" per le sue visioni liberali in contrapposizione con gli insegnamenti ufficiali cattolici su una vasta gamma di tematiche.

Nel caso di Gaillot, comunque, è stato semplicemente assegnato ad una diocesi inesistente, ma non laicizzato. Egli rimane un vescovo cattolico romano.

Se il Vaticano laicizzasse i vescovi, l’avrebbe già fatto diverse volte, specialmente nei casi in cui vescovi dissidenti hanno ordinato illecitamente altri preti o altri vescovi, creando di fatto una sorta di scisma. Primo fra tutti l’Arcivescovo Emmanuel Milingo, il guaritore dello Zambia ed esorcista che ha rotto i ponti con Roma e ha ordinato vescovi nella sua prelatura Married Priests Now! Dal punto di vista di Roma, comunque, Milingo resta un vescovo e la sua ordinazione quindi resta valida, nonostante il Vaticano abbia annunciato che coloro che sono stati ordinati da lui non verranno riconosciuti ufficialmente.

Sicuramente ci sono alcuni esperti che non concordano sulla teoria che un vescovo possa essere laicizzato qualora il papa lo decida.

Alcuni citano il canone 1405, ad esempio, che riserva al papa l’autorità di giudicare i vescovi nelle cause penali. Dato che la laicizzazione è prevista come punizione dal diritto canonico, il canonista afferma, che non esista nessuna ragione di principio per cui non possa essere applicata a un vescovo, sebbene una sorta di prudenza e di rispetto dell’ufficio episcopale consigli prudenza. Altri citano un rito del 1862, pubblicato da papa Benedetto XIV che riguarda "la denigrazione di un vescovo", che sembra riguardare un vero e proprio rituale di espulsione di un vescovo dal ministero episcopale. Tutti i simboli come la mitria e il pallio vengono sottratti e vengono graffiate le dita e il capo per significare la rimozione dell’unzione impartita durante la cerimonia di ordinazione.

Per ora, il punto importante è che esista un dibattito canonico e teologico nel cattolicesimo sulla possibilità di laicizzare un vescovo. Dire "no" a Lugo, comunque, non è solo una volontà di mantenere o di guadagnare punti in politica, ma una sorta di rispetto delle complessità teologiche e canoniche.

Per essere chiari, nulla di quanto detto vuole dimostrare che la opposizione vaticana sia scevra da fini politici o che non esistano buoni argomenti teologici per laicizzare un vescovo. Queste questioni saranno oggetto di numerose e legittime discussioni nel prossimo futuro.

Ciò che l’attuale polemica dimostra, è che cercare di comprendere perché la chiesa fa quello che fa, è dovere di tutti, una sfida alla propria logica interiore. Altrimenti, pezzi importanti della realtà resteranno fuori. Applicando questo alla situazione di Lugo, il sottotitolo potrebbe essere: "E’ la teologia, stupido!".


Testo originale
traduzione di Stefania Salomone



NCR

Fracas over bishop-president in Paraguay: ’It’s the theology, stupid’

Posted on May 3, 2008 07:30am CST.

By JOHN L. ALLEN JR.
New York

I’ve long said that trying to report on Roman Catholicism through the prism of corporate logic or secular politics is like trying to present a three-dimensional object in a two-dimensional space: inevitably only bits and pieces of the reality come into view, and the resulting picture is often badly distorted.

That’s a nice sound-bite so far as it goes, but most people need a concrete example to get the point. Recent days have given us a doozy, in the form of controversy surrounding the election of Fernando Lugo, a former Verbite priest and the emeritus bishop of the San Fernando diocese in Paraguay, as his country’s new president -- a victory which came despite Vatican insistence that Lugo remains a bishop and thus should stay out of the partisan fray.

On the surface it looks like a typical politics story, but in reality the situation can’t be fully understood without some grasp of Catholic theology and canon law, especially concerning what it means to be a bishop.

Here’s the relevant back-story: Lugo, a left-wing populist, has long been a popular figure on the social scene in Paraguay. Activism runs in his veins; his father was arrested 20 times under the regime of former dictator Alfredo Stroessner, and three of his four brothers were expelled from the country. In 1996, Lugo hosted a continent-wide gathering of base communities, the small faith groups dedicated to spiritual formation and political action associated with liberation theology. In 2004, Lugo supported peasants protesting unequal land distribution and the inroads of commercial agriculture.

Talk of Lugo as a presidential candidate began more than three years ago, and ever since the question of his status as a Catholic bishop has been a live wire. Article 235 of Paraguay’s constitution prohibits a religious minister from holding political office, so in 2006 Lugo wrote to the Vatican to ask for "laicization," meaning release from the clerical state. He then announced that he had resigned his office as a bishop, which was enough under Paraguayan law to allow his candidacy to proceed.

Nonetheless, Cardinal Giovanni Battista Re of the Vatican’s Congregation for Bishops wrote Lugo on January 4, 2007, to inform him that his request was denied. Obviously Lugo chose not to comply, so inevitably news reports since his election are full of talk about tension between the incoming president and Rome.

To date, the standoff has typically been presented in either disciplinary or political terms. Some suggest that the Vatican turned Lugo down on the general principle that it doesn’t want clergy involved in partisan politics (certainly true as far as it goes), or in order to defend the pope’s authority. Others point to Lugo’s left-wing platform to suggest that the Vatican fears the specter of Venezuela’s Hugo Chavez, or is anxious about a revival of Latin America’s liberation theology movement.

In any case, the suggestion is that saying "no" to Lugo amounts to fussy legalism rooted in ulterior motives. After all, from a purely secular point of view, if a guy is determined to quit, what’s the point of refusing to accept – unless, of course, you want to make his life difficult?

What that analysis omits, however, is any distinctively theological dimension to the problem.

Applying that lens, it’s actually not clear that the Vatican could laicize Lugo even if it were so inclined. Canon lawyers can’t point to a single recent example of a bishop being laicized, and although it’s a debated point, there’s a solid argument that it’s simply not possible.

Theologically, sacramental ordination is like a bell that can’t be un-rung. Canon 290 of the Code of Canon Law states clearly: "After it has been validly received, sacred ordination never becomes invalid." Nonetheless, a priest can be "laicized," meaning formally returned to the lay state as a matter of law, even though the permanent "mark" of ordination endures.

For priests and deacons, laicization is seen as an extreme step taken only in serious cases. Priests can petition the Vatican for laicization, for instance if they wish to be married. Granting the request is considered a pontifical act, meaning something the pope has to do personally, and it’s considered a favor rather than a right. Priests can also be forcibly laicized if found guilty of a serious offense, as has happened with several notorious abuser-priests in the recent sex abuse scandals. Canon 290 states that laicization can be done "to deacons only for serious reasons, and to presbyters only for the most serious reasons."

Tellingly, however, canon 290 never refers to laicization of a bishop, as if that option were almost unthinkable.

Some experts believe that omission is based on a significant theological difference between the priesthood and the episcopacy. Put simply, the argument against the possibility of laicizing a bishop comes down to this: the episcopacy represents the "fullness" of sacramental ordination. That’s why bishops can ordain priests and other bishops, while priests cannot. Given that difference, some experts believe the imprint produced by ordination to the episcopacy runs so deep as to be indissolvable, not just metaphysically but legally.

Not every theologian or canon lawyer buys that view, but it seems implicit in the way the Vatican has handled recent cases involving dissident bishops.

Bishops can be removed from office, even involuntarily, by an act of the pope; that happened in 1995, for example, with French Bishop Jacques Gaillot, whom John Paul II removed from the Évreux diocese and assigned to the titular see of Partenia. Gaillot is known as the "red cleric" for liberal views at odds with official Catholic teaching on a wide variety of matters.

In Gaillot’s case, however, he was simply assigned to a non-existent diocese – he was never laicized. Gaillot remains a valid Roman Catholic bishop.

If the Vatican felt free to laicize bishops, it would probably already have happened several times, particularly in cases where renegade bishops have illicitly ordained priests and other bishops, thereby creating the basis for a full-blown schism. First in line might well be Archbishop Emmanuel Milingo, the Zambian faith-healer and exorcist who has broken with Rome and ordained bishops as part of his "Married Priests Now!" movement. From Rome’s point of view, however, Milingo remains a bishop and hence his ordinations are technically valid, even if the Vatican has announced that it will never grant legal faculties to the men who have been ordained.

To be sure, there are experts who take the contrary view, that a bishop could be laicized if the pope really wanted to do so.

Some point to canon 1405, for example, which gives the pope authority to judge bishops in penal cases. Given that laicization is provided for as a penalty in canon law, these canonists say, there’s no reason in principle it couldn’t be applied to a bishop, even if prudence and respect for the episcopal office counsel restraint. Others cite an 1862 rite published by Pope Benedict XIV for the "degradation of a bishop," which seems to involve the ritual casting out of a bishop from the episcopal state. All the symbols of office, such as the mitre and pallium, are removed, and the bishop’s fingers and head are even ritually scraped with a knife to signify the removal of the anointing imparted in his ordination ceremony.

For now, the relevant point is that there’s an active theological and canonical debate inside Catholicism about the very possibility of laicizing a bishop. Saying "no" to Lugo, therefore, is not just about grinding axes or scoring political points, but also respecting the theological and canonical complexities.

To be crystal clear, none of this is intended to suggest that the Vatican’s recalcitrance is entirely innocent of political motives, or that there aren’t good theological arguments for laicizing bishops. Those questions will be the object of much legitimate discussion for some time to come.

What the current fracas does illustrate, however, is that in trying to understand why the Church does what it does, it’s incumbent upon observers to take seriously its own inner logic. Otherwise, important pieces of the picture will forever remain out of focus. Applied to Lugo’s situation, the bottom line might well be: "It’s the theology, stupid."



Mercoledì, 07 maggio 2008