L’ennesima scomunica vaticana
"extra pauperes nulla salus"

La lettera di autodifesa di Jon Sobrino. Testo in spagnolo e in italiano


In appendice altri link in spagnolo dal sito http://www.proconcil.org/


Riprendiamo dal sito http://www.reflexionyliberacion.cl/ la lettera di autodifesa di Jon Sobrino contenuta in una lettera a Padre Kolvenbach e riferita alla Notificazione diffusa ieri nei suoi confronti dalla "Congregazione per la dottrina della fede". Il testo è in spagnolo e non è ancora stato tradotto. Si capisce però quasi tutto. Cercheremo in ogni caso di fare al più presto questa traduzione. Esprimiamo piena solidarietà a Jon Sobrino per questa ennesima scomunica decretata non tanto nei suoi confronti ma nei confronti della teologia della liberazione da parte della gerarchia vaticana.
Condividiamo appieno l’affermazione che Sobrino fa alla fine della sua lettera e che abbiamo usato come titolo della sua lettera: "extra pauperes nulla salus" (nessuna salvezza senza i poveri). In fondo alla lettera segnaliamo alcuni link in spagnolo alla vicenda di Jon Sobrino dal sito http://www.proconcil.org/.


Traduzione italiana dal sito
http://devarim.ilcannocchiale.it/


JON SOBRINO scrive a  P. PETER HANS KOLVENBACH
(preposito generale della Compagnia di Gesù)
a proposito della "Notificazione" su errori e imprecisioni di due sue opere.


Carissimo p. Kolvenbach.

Anzitutto la ringrazio per la lettera che mi scrisse il 20 novembre, e per tutte le gestioni da lei fatte per difendere i miei scritti e la mia persona. P. Idiàquez mi ha chiesto di scriverle a proposito del mio atteggiamento di fronte alla Notificazione e le ragioni per le quali non aderisco - "senza riserve", dice lei nella lettera - ad essa. In un breve testo prossimamanete esporrò la mia reazione alla notificazione, dato che, come lei dice, è prassi che la notizia appaia nei mezzi di comunicazione e che i colleghi teologi aspettino una mia parola.

  1. La ragione fondamentale.

La ragione fondamentale è la seguente. Un buon numero di teologi hanno letto i miei due libri prima che fosse pubblicato il testo della Congregazione della fede del 2004. Vari di loro lessero anche il testo della Congregazione. Il loro giudizio unanime è che nei miei due libri non c’è niente che non sia compatibile con la fede della Chiesa.

Il primo libro, "Jesucristo liberador. Lectura historico-teologica de Jesùs de Nazareth" fu pubblicato in spagnolo nel 1991, 15 anni fa, ed è stato tradotto in portoghese, inglese e italiano. La traduzione portoghese ha l’imprimatur del Cardinal Arns, del 4 dicembre 1992. Che io sappia, nessuna recensione o commentario teologico orale questionò la mia dottrina.

Il testo del secondo libro, "La fe en Jesucristo, ensayo desde las vìctimas", fu pubblicato nel 1999, sette anni fa, ed è stato tradotto al portoghese, inglese e italiano. Fu esaminato molto attentamente, prima della sua pubblicazione, da vari teologi, in alcuni casi per incarico del padre provinciale, Adàn Quadra, e in altri a richiesta mia. Sono i padri J. I. Gonzales Faus, J. Vives, X. Alegre; il presbitero Javier Vitoria, de Deusto; il p. Martin Maier, di Stimmen der Zeit. Vari di loro sono esperti in teologia dogmatica. Uno in esegesi, un altro in patristica.

Recentemente p. Sesbouè, su richiesta di p. Maier, nell’anno 2005 ebbe la cortesia di leggere il secondo libro, "La fe en Jesucristo", conoscendo anche, da come capisco, il testo della congregazione della fede del 2004. P. Maier gli chiese di controllare se c’era qualcosa nel mio libro contrario alla fede della Chiesa. La sua risposta di 15 pagine nel suo insieme loda il libro. E non trovò niente di criticabile dal punto di vista della fede. Solamente trovò un errore, che lui chiama tecnico, non dottrinale: "la mia intenzione è di mostrare il centro di gravità dell’opera e quanto egli prenda seriamente le affermazioni conciliari, come pure i titoli di Cristo nel Nuovo Testamento. Ho trovato un solo errore vero, cioè la sua interpretazione della "communicatio idiomatum", ma non è che un errore tecnico e non dottrinale" (dico subito che non ho nessun inconveniente per chiarire, nella misura delle mie possibilità, questo errore tecnico).

Sul modo di analizzare il mio testo da parte della congregazione dice questo: "non ho voluto rispondere con troppa precisione al documento della Congregazione della Fede, che tende a premiare il libro di Sobrino e mi pare talmente esagerato da non aver valore. Talleyrand ripeteva questa frase: ciò che è esagerato è insignificante. Con questo metodo deliberatamente dubbioso io posso leggere molte eresie nelle encicliche di Giovanni Paolo II! Ne ho comunque tenuto conto nella mia valutazione. Ho voluto dire che questo libro mi sembra più rigoroso nelle sue formulazioni che il precedente. Ho anche citato dei testi della Tradizione, o contemporanei, o dei papi, che sono sulla linea di Sobrino (in questo seguo il metodo della CDF)".

Ho consegnato una copia del testo di p. Sesbouè a p. Idiaquez e a p. Valentin Menendez. Tutti questi teologi sono buoni conoscitori del tema cristologico, a livello teologico e dottrinale. Sono persone responsabili. Si sono concentrati esplicitamente su possibili errori dottrinali miei. Sono rispettosi della chiesa. E non hanno trovato errori dottrinali né affermazioni pericolose. Allora non riesco a capire come la notificazione legge i miei testi in modo tanto diverso e persino contrario.

Questa è la prima e fondamentale ragione per non accettare la notificazione: "non mi sento rappresentato in assoluto nel giudizio globale della notificazione". Per questo non mi sembra onorevole firmarla. Inoltre, sarebbe una mancanza di rispetto verso i teologi menzionati.

  1. 30 anni di relazioni con la gerarchia.

Il documento del 2004 e la notificazione non sono una totale sorpresa. Dal 1975 ho dovuto rispondere alla Congregazione per l’Educazione Cattolica, sotto il card. Garrone, nel 1976, e alla congregazione della Fede, prima sotto il card. Sepe e poi, varie volte, sotto il card. Ratzinger. P. Arrupe, soprattutto e p. Paolo Dezza, come delegato papale, sempre mi hanno spinto a rispondere con onestà, fedeltà e umiltà. Mi hanno ringraziato per la mia disponibilità a rispondere e mi facevano capire che il modo di procedere delle curie vaticane non sempre si distingueva per onestà e stile evangelico. La mia esperienza, quindi, viene da lontano. E lei sa quello che è successo negli anni del suo generalato.

Quello che voglio aggiungere adesso è che non solo ho avuto seri avvertimenti e accuse da queste congregazioni, soprattutto quella della Fede, ma che da molto presto si creò un ambiente in Vaticano, in varie curie diocesane e tra vari vescovi, contrari alla mia teologia, e in generale contro la teologia della liberazione. Si generò un ambiente contrario alla mia teologia a priori, senza la necessità di leggere molte volte le mie pubblicazioni. Sono 30 lunghi ani di storia. Solo menzionerò alcuni fatti significativi. Lo faccio non perché questa sia una ragione fondamentale per firmare la notificazione, ma per capire la situazione nella quale viviamo e per capire la difficoltà che ho io, anche dando il meglio di me, di affrontare onestamente, umanamente ed evangelicamente il problema. Per essere sincero, anche se ho detto che non è una ragione per non aderire alla notificazione, sento che non è etico per me "approvare o appoggiare" con la mia firma un modo di procedere poco evangelico, che ha dimensioni strutturali in buona parte, ma che è abbastanza esteso. Ritengo che avvallare questi procedimenti non aiuta in niente la Chiesa di Gesù, né a presentare il volto di Dio nel nostro mondo, né ad animare la sequela di Gesù, né alla "lotta cruciale del nostro tempo", le fede e la giustizia. Lo dico con grande modestia.

Alcuni fatti dell’ambiente generalizzato che si è generato contro la mia teologia, più in là delle accuse delle congregazioni, sono le seguenti. Mons. Romero scrive nel suo Diario il giorno 3 maggio 1979: "Ho fatto visita a p. Lopez Gall. Mi ha detto con la semplicità di un amico il giudizio negativo che si percepiscono in alcuni settori verso gli scritti teologici di Jon Sobrino". Per quanto riguarda mons. Romero, pochi mesi dopo mi chiese di scrivergli il discorso che pronunciò nell’università di Lovanio il 2 febbraio 1980 - nel 1977 avevo già redatto per lui la seconda lettera pastorale "La Chiesa, corpo di Cristo nella storia".

Scrissi il discorso di Lovanio. Gli piacque, lo lesse integralmente e me lo ringraziò.

Prima della sua conversione come vescovo. Il Monsignore mi aveva accusato di pericoli dottrinali, e ciò mostra che lui sapeva muoversi in questa problematica (scrisse anche un giudizio critico contro la "Teologia politica" di Ellacuria nel 1974). Però poi non mi avvisò mai di tali pericoli. Credo che la mia teologia gli sembrasse dottrinamente corretta - almeno sostanzialmente (so molto bene che in Vaticano un problema per la sua canonizzazione è stato il mio possibile influsso nei suoi scritti e omelie. Scrissi un testo di 20 pagine su ciò. E lo firmai).

Quando Alfonso Lopez Trujillo fu nominato cardinale, disse poco dopo in un gruppo, più o meno pubblicamente, che l’avrebbe fatta finita con Gustavo Gutierrez, Leonardo Boff, Ronaldo Muñoz e Jon Sobrino. Così mi raccontarono, e mi sembra molto verosimile. Le beghe di Lopez Trujillo con p. Ellacurìa - con monsignor Romero soprattutto - e con me sono interminabili. Continuano fino al giorno d’oggi. E cominciarono presto. Credo che nel 1976 o 1977 parlò contro la teologia di p. Ellacuria e mia in una riunione della Conferenza Episcopale del Salvador, alla cui riunione si autoinvitò. Dopo, in una lettera a Ellacuria, negò risolutamente che avesse parlato di lui e di me in detta conferenza. Però noi avevamo la testimonianza di prima mano di mons. Rivera, che fu presente nella riunione della conferenza episcopale.

Nel 1983 in card. Corripio, arcivescovo di Mexico, proibì la celebrazione di un congresso di teologia. Lo organizzavano i passionisti per celebrare, secondo il loro carisma l’anno della redenzione, che era stato propiziato da Giovani Paolo II. Volevano trattare teologicamente il tema della croce di Cristo e quella dei nostri popoli. Mi invitarono e accettai. Dopo mi comunicarono il divieto del cardinale. La ragione, o una ragione importante, era che io avrei tenuto due conferenze nel congresso.

In Honduras, l’arcivescovo sgridò un gruppo di religiose perché erano andate in una diocesi vicina per ascoltare una mia conferenza. Mi aveva invitato il vescovo. Credo che si chiamasse mons. Corrivau, canadese.

Solo un esempio in più per non stancarla. Nel 1987 o 1988, più o meno, fui invitato per parlare a un numeroso gruppo di laici in Argentina, nella diocesi del mons. Hesayne, si trattava di rivitalizzare i cristiani che avevano sofferto durante la dittatura. E accettai. Poco dopo ricevetti una lettera di mons. Hesayne che mi diceva che la mia visita alla sua diocesi era stata oggetto di dibattito in una riunione della Conferenza Episcopale. Il card. Primatesta disse che gli sembrava una pessima idea che io andassi a parlare in Argentina. Mons. Hesayne mi difesa come persona e difese la mia ortodossia. Domandò al cardinale se aveva letto qualche mio libro, e riconobbe di no. Ugualmente però il vescovo si vide obbligato a cancellare il mio invito. Mi scrisse e si scusò con molto affetto e umiltà, e mi chiese di comprendere la situazione. Gli risposi che capivo, e lo ringraziavo.

Di quello che ho detto finora sull’Argentina ne sono certo. Quanto segue lo ascoltai da due sacerdoti, non so se argentini o boliviani, che passarono per l’UCA. Al vedermi mi dissero che sapevano quello che era successo in Argentina. In riassunto, nella riunione della conferenza episcopale avevano detto a Mons. Hesayne che doveva decidere: o invitava Jon Sobrino nella sua diocesi, e il papa non sarebbe passato per essa nella prossima visita in Argentina, o accettava la visita del papa alla sua diocesi e Jon Sobrino non poteva passare per di là.

Non voglio stancarla ulteriormente, anche se mi credo potrei raccontale più storie. Anche di vescovi che si sono opposti alla mia partecipazione a conferenze in Spagna. Questa cattiva fama non credo che fosse qualcosa specificamente personale, ma parte della campagna contro la teologia della liberazione.

Ed ora formulo la mia seconda ragione per non aderire. Ha a che vedere meno direttamente con i documenti della congregazione della Fede e più con il modo di precedere del Vaticano negli ultimi 20 o30 anni. Il questi anni molti teologi e teologhe, gente buona, con limitazioni ovviamente, amanti di Cristo e della Chiesa, e con un grande amore ai poveri, sono stati perseguitati senza misericordia. E non solo loro. Anche vescovi, come lei sa, Mons. Romero in vita (tuttora c’è chi non lo vuole in Vaticano, o per lo meno non vogliono il mons. Romero reale, ma un mons. Romero annacquato), dom Helder Camara dopo la sua morte, mons. Proaño, don Samuel Ruiz, e un molto lungo eccetera. Han cercato di decapitare, a volte in malo modo, alla CLAR e a migliaia di religiose e religiosi con una immensa generosità, e ciò è molto doloroso per l’umiltà di molti di essi. E soprattutto han fatto tutto il possibile perché spariscano le comunità di base, i piccoli, i privilegiati di Dio.

Aderire alla notificazione, che esprime in buona parte questa campagna e questo modo di procedere, molte volte chiaramente ingiusto, contro tanta gente buona, sento che sarebbe come approvarlo. Non voglio peccare di arroganza, però non credo che aiuterebbe alla causa dei poveri di Gesù e della Chiesa dei poveri.

  1. Le critiche alla mia teologia del teologo Joseph Ratzinger.

Questo tema m sembra importante per comprendere dove siamo, anche se non è una ragione per non firmare la notificazione.

Poco prima di pubblicare la prima Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione, corse, in forma manoscritta, un testo del card. J. Ratzinger su questa teologia. P. Cesar Jerez, allora provinciale, ricevette il testo da un amico gesuita, degli Stati Uniti. Il testo fu pubblicato dopo in 30 GIORNI, III/3 (1984), pp. 48-55.

Io potei leggerlo, già pubblicato ne IL REGNO. Documenti 21 (1984) pp. 220-223. In questo articolo si menzionano i nomi di 4 teologi della liberazione: Gustavo Gutierrez, Hugo Assmann, Ignacio Ellacuria e il mio, che è quello più frequentemente citato. Dico testualmente quello che dice su di me. Le referenze sono del mio libro "Jesùs en America Latina. Su significado para la fe e la crostologia", San Savador 1982.

Ratzinger: "rispetto alla fede dice, per esempio, J. Sobrino: "l’esperienza che Gesù ha di Dio è radicalmente storica"; "la sua fede si converte in fedeltà". Sobrino rimpiazza fondamentalmente, di conseguenza, la fede con la "fedeltà alla storia" (fedeltà alla storia, 143-144)

Commento. Quello che io dico testualmente è: "la sua fede nel mistero di Dio si converte in fedeltà a questo mistero", con cui voglio sottolineare la processualità dell’atto di fede. Dico anche che "la lettera (agli Ebrei) riassume mirabilmente come si realizza in Gesù la fedeltà storica e nella storia attraverso la pratica dell’amore agli uomini e la fedeltà al mistero di Dio" (p .144). l’interpretazione di Ratzinger di sostituire la fede con la fedeltà alla storia è ingiustificata. Ripeto più volte: "fedeltà al mistero di Dio".

: "Gesù è fedele alla profonda convinzione che il mistero della vita degli uomini è realmente l’ultimo" (p. 144). Qui si produce quella fusione tra Dio e la storia che da la possibilità a Sobrino di conservare con rispetto a Gesù la formula di Calcedonia, però con un significato totalmente alterato: si vede come i criteri classici dell’ortodossia non sono applicabili all’analisi di questa teologia.

Commento. Il contesto di ciò che ho scritto è che "la storia rende credibile la sua fedeltà a Dio, e la fedeltà a Dio, a colui che lo inviò, scatena la fedeltà alla storia, all’ "essere a favore degli altri" (p. 144). Non confondo assolutamente Gesù e la storia. Inoltre, la fedeltà non è a una storia astratta, o lontana da Dio o assolutizzata, ma è la fedeltà all’amore dei fratelli, che è ciò che ha una ultimità specifica nel Nuovo Testamento ed è mediazione della realtà di Dio.

Ratzinger: "Ignacio Ellacurìa insinua questo dato nella tappa del libro su questo tema: Sobrino dice di nuovo che Gesù è Dio, però aggiungendo immediatamente che il Dio vero è solo quello che si rivela storicamente e scandalosamente in Gesù e nei poveri, che continuano la sua presenza. Solo chi mantiene con forza e unitariamente queste due affermazioni è ortodosso".

Commento. Non vedo che c’è di male in quanto affermato da Ellacuria.

Ratzinger: "il concetto fondamentale della predicazione di Gesù è il "Regno di Dio". Questo concetto si ritrova anche nel nucleo delle teologie della liberazione, però letto sul trasfondo dell’ermeneutica marxista. Secondo Jon Sobrino il modo non deve intendersi in modo spiritualista, né universalista, né nel senso di una riserva escatologia astratta. Deve essere inteso in forma partitica e orientato verso la prassi. Solo a partire dalla prassi di Gesù, e non teoricamente, si può definire quello che significa il Regno; lavorare con la realtà storica che ci circonda per trasformarla nel Regno" (p. 166).

Commento: "è falso che io parli del regno nel trasfondo dell’ermeneutica marxista. È certo che do un’importanza decisiva al riprodurre la prassi di Gesù per ottenere un concetto che possa avvicinarci a quello che ebbe Gesù. Però quest’ultimo è un problema di epistemologia filosofica, che ha anche radici nella comprensione biblica di quello che è CONOSCERE. Come dicono Geremia ed Osea: "fare giustizia, non è questo conoscermi?".

Ratzinger: "In questo contesto voglio anche menzionare l’interpretazione impressionante, però in definitiva spaventosa, della morte e della resurrezione che fa Jon Sobrino. Stabilisce anzitutto, contrariamente alle concezioni universaliste, che la resurrezione è, in primo luogo, una speranza per i crocifissi, i quali costituiscono la maggioranza degli uomini: tutti questi milioni ai quali l’ingiustizia strutturale viene imposta come una lenta crocifissione (176). Il credente prende parte anche lui nel regno di Gesù sulla storia attraverso l’instaurazione del Regno, e cioè nella lotta per la giustizia e per la liberazione integrale, nella trasformazione delle strutture ingiuste in strutture più umane. Questa signoria sulla storia si esercita nella misura in cui si ripete nella storia il gesto di Dio che risuscita Gesù, e cioè dando vita ai crocifissi della storia (181). L’uomo assume il ruolo di Dio, e con questo si manifesta tutta la trasformazione del messaggio biblico in modo quasi tragico, se si pensa a come questo tentativo di imitazione di Dio si è realizzato e si realizza".

Commento. Se la resurrezione di Gesù è quella di un crocifisso, mi sembra almeno plausibile comprendere teologicamente la speranza in primo luogo per i crocifissi. A questa speranza possiamo partecipare tutti, nella misura in cui partecipiamo nella croce. E "Ripetere nella storia il gesto di Dio" è ovviamente un linguaggio metaforico. Non ha niente a che vedere né con hybris né con arroganza. Fa risuonare invece l’ideale di Gesù: "siate buoni come il Padre vostro è buono".

Fin qui il commento alle accuse di Ratzinger. Non riconosco la mia teologia in questa lettura dei testi. Inoltre, come lei ricorderà, p. Alfaro scrisse un giudizio sul libro dal quale Ratzinger attinge le citazioni, senza riscontrare alcun errore nel suo articolo "Analisis del libro Jesùs en America Latina de Jon Sobrino" (Revista Latinoamericana de Teologia 1, 1984, pp. 130-120). Per quanto riguarda l’ortodossia conclude testualmente:

Espressa e ripetuta affermazione della fede nella divinità (filiazione divina) di Cristo lungo tutto il libro

Riconoscimento credente del carattere normativo e vincolante dei dogmi cristologici, definiti dal magistero ecclesiale nei concili ecumenici

Fede nell’escatologia cristiana, iniziata già ora nel presente storico con anticipazione della sua pienezza futura meta storica (oltre la morte);

Fede nella liberazione cristiana come "liberazione integrale", vale a dire ome salvezza totale dell’uomo nella sua interiorità e corporeità, nella sua relazione con Dio, gli altri, la morte, il mondo. Queste 4 verità della fede cristiana sono fondamentali per ogni cristologia. Sobrino le afferma senza alcuna ambiguità" (117-118).

Ed è grave che senza citare il mio nome l’Istruzione del 1984, IX, traduzione "teologica di questo nucleo", ripete alcune idee che Ratzinger pensa di aver trovato nel mio libro "alcune arrivo perfino al limite di identificare Dio e la storia, e a divenire la fede come ’fedeltà alla storia’" (n. 4).

Credo che il card. Ratzinger, nel 1984, non comprese totalmente la teologia della liberazione, né sembra aver accettato le riflessioni critiche di Juan Luis Segundo, "Teologìa de la liberaciòn. Respuesta al card. Rtzinger", Madrid 1985 e di I. Ellacurìa, "Estudio teologico-pastoral de la Instrucciòn sobre algunos aspectos de la teologia de la liberaciòn", Revista latinoamericana de Teologia 2 (1984) 145-178. personalmente credo che fino al giorno d’oggi gli è difficile capirla. E mi ha disgustato un commento che ho letto in almeno due occasioni, in quanto poco obbiettivo e può arrivare ad essere ingiusto, l’idea cioè che "quello che cercano alcuni teologi della liberazione è conseguire fama, richiamare l’attenzione",

Concludo. Non è facile dialogare con la Congregazione della Fede. A volte sembra impossibile. Sembra ossessionata dal trovare qualsiasi limitazione o errore, o dal ritenere tale quella che può essere una concettualizzazione distinta di qualche verità di fede. Opino che qui c’è, in buona misura, ignoranza, pregiudizio ed ossessione per terminare la teologia della liberazione. Sinceramente non è facile dialogare con questo tipo di mentalità.

Quante volte ho ricordato il presupposto degli Esercizi: "ogni buon cristiano deve essere più disposto a salvare la proposizione del prossimo che a condannarla". In questi giorni ho letto nella stampa un paragrafo del libro di Benedetto XVI, di prossima apparizione, su Gesù di Nazaret: "credo che non sia necessario dire espressamente che questo libro non è in assoluto un atto magisteriale, ma l’espressione della mia ricerca personale del "volto del Signore" (Sal 27). Pertanto, ognuno ha la libertà di contraddirmi. Solo chiedo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza la quale non esiste comprensione possibile". Personalmente offro al papa simpatia e comprensione. E desidero fortemente che la congregazione della Fede tratti ai teologi e teologhe allo stesso modo.

  1. Problemi di fondo importanti

Nella mia risposta di marzo 2005 trattai di spiegare il mio pensiero. È stato vano. Per questo adesso non commenterò, per l’ennesima volta, le accuse che mi fa la notificazione, perché fondamentalmente sono le stesse. Solo voglio menzionare alcuni temi importanti, sui quali in futuro potremmo offrire alcune riflessioni.

    1. I poveri come luogo del fare teologia. È un problema di epistemologia teologica, esigito o almeno suggerito dalla Scrittura. Personalmente non dubito che dai poveri si vede meglio la realtà e si comprende meglio la rivelazione di Dio.
    2. Il mistero di Cristo sempre ci sorpassa. Mantengo come fondamentale che esso sia sacramento di Dio, presenza di Dio nel nostro mondo. E mantengo come ugualmente fondamentale che sia un essere umano e storico concreto. Il docetismo mi sembra che sia ancora il maggior pericolo della nostra fede.
    3. La relazionalità costitutiva di Gesù con il Regno di Dio. Nelle parole più semplici possibili, il regno è un mondo come lo vuole Dio, nel quale ci sia giustizia e pace, rispetto e dignità, nel quale i poveri stiano al centro degli interessi dei credenti e delle chiese. Ugualmente, la relazionalità costitutiva di Gesù con un Dio che è Padre, nel quale confida totalmente, in un Padre che è Dio, davanti al quale si pone in totale disponibilità.
    4. Gesù è figlio di Dio, la parola fatta SARX. In ciò vedo il mistero centrale della fede. La tra-scendenza si è fatta tra-discendenza per arrivare ad essere con-discendenza.
    5. Gesù porta la salvezza definitiva, la verità e l’amore di Dio. La fa presente attraverso la sua vita, prassi, denuncia profetica e annuncio utopico, croce e resurrezione. E Puebla, rifacendosi a Mt 25, afferma che Cristo "ha voluto identificarsi con tenerezza speciale con i più deboli e poveri" (n. 196). Ubi pauperes ibi Christus.
    6. Molte altre cose sono importanti nella fede. Solo ne volgio menzionare ancora una, che Giovanni XXIII e il card. Lercaro proclamarono nel Vaticano II: la Chiesa come "Chiesa dei poveri", chiesa di vera compassione, di profezia per difendere gli oppressi e di utopia per dar loro speranza.
    7. In un mondo gravemente malato come l’attuale proponiamo come utopia che "extra pauperes nulla salus".

Di questi e di molti altri temi bisogna parlare più approfonditamente. Credo buono che tutti dialoghiamo. Personalmente ne sono disposto.

Carissimo padre Kolvenbach, questo era quanto volevo comunicarle. Lei sa bene che, nonostante queste cose siano sgradevoli, posso dirle che sono in pace. Una pace che viene dal ricordo di innumerevoli amici e amiche, molti di loro martiri. In questi giorni, il ricordo di p. Jon Cortina ci riporta nuovamente l’allegria. Se mi permette di parlarle con totale sincerità, non mi sento "a casa" in questo mondo di curie, diplomazie, calcoli, potere, … Essere distante da "questo mondo", nonostante io non l’abbia cercato, non mi produce angustia. Se mi capisce bene, mi da addirittura sollievo.

Sento che la notificazione produrrà qualche sofferenza. Per dirlo con semplicità, soffriranno i miei familiari e amici, una sorella che ho, molto vicina a mons. Romero e ai martiri. Però penso che fare la vita più difficile per esempio al mio grande amico p. Rafael de Sivatte. Se non fossero pochi i problemi che ha già per mantenere con serietà il Dipartimento di Teologia - che lo fa molto bene, per la sua grande capacità, dedicazione e scienza - dovrà adesso trovare un altro professore di cristologia e, come lei saprà, dovrà pure cercare un altro professore di storia della chiesa, dato che p. Rodolfo Cardenal no può insegnare perché non è ben visto dalla gerarchia del paese.

Non so se questa lunga lettera la aiuterà nelle sue conversazioni con il Vaticano. Spero di sì. Ho cercato di essere li più sincero possibile. Grazie per i suoi sforzi fatti per difenderci.

La ricordo con affetto davanti al Signore.

Jon Sobrino

Dal sito : http://devarim.ilcannocchiale.it/


Testo in spagnolo


Jon Sobrino al P. Peter - Hans Kolvenbach

Querido P. Kolvenbach:

Ante todo le agradezco la carta que me escribió el 20 de noviembre y todas las gestiones que ha hecho para defender mis escritos y mi persona. Ahora me dice el P. Idiáquez que le escriba a usted sobre mi postura ante la notificatio y las razones por las que no me adhiero -"sin reservas", dice usted en su carta- a ellas. En un breve texto posterior expondré mi reacción ante la notificatio, pues, como usted dice, lo normal es que la noticia aparezca en los medios y que los colegas de la teología esperen una palabra mía.

1. La razón fundamental.

La razón fundamental es la siguiente. Un buen número de teólogos han leído mis dos libros antes de que fuese publicado el texto de la Congregación de la fe de 2004. Varios de ellos leyeron también el texto de la Congregación. Su juicio unánime es que en mis dos libros no hay nada que no sea compatible con la fe de la Iglesia.

El primer libro, Jesucristo liberador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret, fue publicado en español en 1991, hace 15 años,y ha sido traducido al portugués, inglés, alemán e italiano. La traducción portuguesa tiene el imprimatur del Cadenal Arns, del 4 de diciembre de 1992. Que yo sepa ninguna recensión o comentario teológico oral cuestionó mi doctrina.

El texto del segundo libro, La fe en Jesucristo. Ensayo desde las víctimas, fue publicado en 1999, hace siete años, y ha sido tradcido al portugués, inglés e italiano. Fue examinado muy cuidadosamente, antes de su publicación, por varios teólogos, en algunos casos por encargo del P. Provincial, Adán Cuadra, y en otros a petición mía. Son los PP. J. I. González Faus, J. Vives y X. Alegre, de San Cugat; el P. Carlo Palacio, de Bello Horizonte; el Pbro. Gesteira, de Comillas; el Pbro. Javier Vitoria, de Deusto; el P. Martin Maier, de Stimmen der Zeit. Varios de ellos son expertos en teología dogmática. Uno, en exégesis. Y otro, en patrística.

Recientemente, el P. Sesboué, a petición de Martin Maier, el año 2005 tuvo la gentileza de leer el segundo libro, La fe en Jesucristo, conociendo también, según entiendo, el texto de la Congregación de la fe de 2004. El P. Maier le pidió que se fijase si había algo en mi libro contra la fe de la Iglesia. Su respuesta de 15 páginas en conjunto es laudatoria para el libro. Y no encontró nada criticable desde el punto de vista de la fe. Sólo encontró un error, que él llama técnico, no doctrinal. "Mon intention est de 0montrer le centre de gravité de l’ouvrage et combien il prend au serieux les  affirmations conciliares, comme les titres de Crist dans le N.T. Je n’ai trouvè qu’une erreure réelle, s’est son interpretation de la communication des idiomes, mais c’este une errer technique en non doctrinale". (Afirmo desde ahora que no tengo ningún inconveniente en esclarecer, en la medida de mis posibilidades, ese error técnico).

Sobre el modo de analizar mi texto por parte de la congregación dice lo siguiente:"Je n’ai pas voulu répondre avec trop de précision au document de la CDF qui vise aussi le premier livre de Sobrino et me paraît tellement exagéré qu’il est sans valeur. Talleyrand avait ce mot: "Ce qui est exagéré est insignifiant!". Avec cette méthode délibérément soupçonneuse je peux lire bien des hérésies dans les encycliques de J.P. II! J’en ai tout de même tenu compte dans mon évaluation. J’ai voulu dire que ce livre me paraît plus
rigoureux dans ses formulations que le précédent. J’ai aussi cité des textes de la tradition, ou contemporains, ou même des papes qui vont dans le sens de Sobrino (en cela je suis la méthode de la CDF!).Entregué una copia del texto del P. Sesboué al P. Idiáquez y al P. Valentìn Menéndez.

Todos estos teólogos son buenos conocedores del tema cristológico, al nivel teológico y doctrinal. Son personas responsables. Se han fijado explícitamente en posibles errores doctrinales míos. Son respetuosos de la Iglesia. Y no han hallado errores doctrinales ni afirmaciones peligrosas. Entonces no puedo comprender cómo la notificatio lee mis textos de manera tan distinta y aun contraria.

Esta es la primera y fundamental razón para no suscribir la notificatio: "no me siento representado en absoluto en el juicio global de la notificatio". Por ello no me parece honrado suscribirla. Y además, sería una falta de respeto a los teólogos mencionados.

2. 30 años de relaciones con la jerarquía

El documento de 2004 y la notificatio no son una total sorpresa. Desde 1975 he tenido que contestar a la Congregación para la Educación católica, bajo el cardenal Garrone, en 1976, y a la Congregación de la Fe, primero bajo el cardenal Seper y después, varias veces, bajo el Cardenal Ratzinger. El P. Arrupe, sobre todo, pero también el P. Vincent O’keefe, como vicario general, y el P. Paolo Dezza, como delegado papal, siempre me animaron a responder con honradez, fidelidad y humildad. Me agradecieron mi buena
disposición a responder y me daban a entender que el modo de proceder las curias vaticanas no siempre se distinguía por ser honrado y muy evangélico. Mi experiencia, pues, viene de lejos. Y usted conoce lo que ha ocurrido en los años de su generalato.

Lo que quiero añadir ahora es que no sólo he tenido serias advertencias y acusaciones de esas congregaciones, sobre todo la de la fe, sino que desde muy pronto se creó un ambiente en el Vaticano, en varias curias diocesanas y entre varios obispos, en contra de mi teología -y en general, contra la teología de la liberación. Se generó un ambiente en contra de mi teología, a priori, sin necesidad de leer muchas veces mis escritos. Son 30 largos años de historia. Sólo voy a mencionar algunos hechos significativos. Lo hago no
porque ésa sea una razón fundamental para suscribir la notificatio, sino para comprender la situación en que estamos y qué difícil es, al menos para mí, y aun poniendo lo mejor de mi parte, tratar honrada, humana y evangélicamente, el problema. Y para ser sincero, aunque ya he dicho que no es una razón para no adherirme a la notificatio, siento que no es ético para mí "aprobar o apoyar" con mi firma un modo de proceder poco evangélico, que tiene dimensiones estructurales, en una medida, y que está bastante extendido. Pienso que avalar esos procedimientos para nada ayuda a la Iglesia de Jesús, ni a resentar el rostro de Dios en nuestro mundo, ni a animar al seguimiento de Jesús, ni a la "lucha crucial de nuestro tiempo", la fe y la justicia. Lo digo con gran modestia.

Algunos hechos del ambiente generalizado que se ha generado contra mi teología, más allá de las acusaciones de las congregaciones, son los siguientes.

Monseñor Romero escribe en su Diario el día 3 de mayo de 1979: "Visité al P. López Gall. Me dijo con sencillez de amigo el juicio negativo que se tiene en algunos sectores para con los escritos teológicos de Jon Sobrino". Por lo que toca a Monseñor Romero, pocos meses después me pidió que le escribiera el discurso que pronunció en la Universidad de Lovaina el 2 de febrero de 1980 -en 1977 ya había redactado para él la segunda carta pastoral "La Iglesia, cuerpo de Cristo en la historia".

Escribí el discurso de Lovaina. Le pareció muy bien, lo leyó íntegramente y me lo agradeció.

Antes de su cambio como obispo, Monseñor me había acusado de peligros doctrinales, lo que muestra que sabía moverse en esa problemática (también escribió un juicio crítico contra la "Teología Política" de Ellacuría en 1974). Pero después, nunca me avisó de tales peligros. Creo que mi teología le parecía correcta doctrinalmente -al menos en lo sustancial. (Sé muy bien que en el Vaticano un problema para su canonización ha sido mi posible influjo en sus escritos y homilías. Escribí un texto de unas 20 páginas sobre ellos. Y lo firmé).

Cuando Alfonso López Trujillo fue nombrado cardenal, dijo poco después en un grupo, más o menos públicamente, que iba a acabar con Gustavo Gutiérrez, Leonardo Boff, Ronaldo Muñoz y Jon Sobrino. Así me lo contaron, y me parece muy verosímil. Las historias de López Trujillo con el P. Ellacuría -con Monseñor Romero, sobre todo- y conmigo son interminables. Continúan hasta el día de hoy. Y empezaron pronto. Creo que en 1976 o 1977 habló en contra de la teología de Ellacuría y de la mía en una reunión de la Conferencia Episcopal de El Salvador, a cuya reunión se autoinvitó. Después, en carta a Ellacuría, negó tajantemente que hubiera hablado de él y de mí en dicha conferencia. Pero nosotros teníamos el testimonio, de primera mano, de Mons.
Rivera, quien estuvo presente en la reunión de la conferencia episcopal.

En 1983 el cardenal Corripio, arzobispo de México, prohibió la celebración de un congreso de teología. Lo organizaban los pasionistas para celebrar, según su carisma, el año de la redención, que estaba siendo propiciado por Juan Pablo II. Querían tratar teológicamente el tema de la cruz de Cristo y la de nuestros pueblos. Me invitaron y acepté. Después me comunicaron la prohibición del cardenal. La razón, o una razón importante, era que yo iba a tener dos conferencias en el congreso.

En Honduras, el arzobispo, regañó a un grupo de religiosas porque habían ido a una diócesis cercana a escuchar una conferencia mía. Me había invitado el obispo. Creo que su nombre era Mons. Corrivau, canadiense.

Sólo un ejemplo más para no cansarle. En 1987 o 1988, más o menos, recibí una invitación a hablar a un numeroso grupo de laicos en Argentina, en la diócesis de Mons. Hesayne. Se trataba de revitalizar a los cristianos que habían sufrido durante la dictadura. Y acepté. Poco después recibí una carta de Mons. Hesayne diciéndome que mi visita a su diócesis había sido objeto de debate en una reunión de la Conferencia Episcopal.

El cardenal Primatesta dijo que le parecía muy mal que yo fuese a hablar a Argentina. Monseñor Hesayne, me defendió como persona y defendió mi ortodoxia. Le preguntó al cardenal si había leído algún libro mío, y reconoció que no. Sin embargo, el obispo se vio obligado a cancelar la invitación. Me escribió y se disculpó con mucho cariño y humildad, y me pidió que comprendiese la situación. Le contesté que la comprendía y que le agradecía.

De lo que he dicho hasta ahora sobre Argentina tengo certeza. Lo que sigue lo oí a dos sacerdotes, no sé si de Argentina o de Bolivia, que pasaron por la UCA. Al verme, me dijeron que conocían en lo que había ocurrido en Argentina. En resumen, en la reunión de la Conferencia Episcopal le habían dicho a Mons. Hesayne que tenía que elegir: o invitaba a Jon Sobrino a su diócesis, y el Papa no pasaría por ella en la próxima visita a Argentina, o aceptaba la visita del Papa a su diócesis y Jon Sobrino no podía pasar por
allí.

No quiero cansarle más, aunque créame que podría contar más historias. También de obispos que se han opuesto a que dé conferencias en España. Esta "mala fama" no creo que fuese algo específicamente personal, sino parte de la campaña contra la teología de la liberación.

Y ahora formulo mi segunda razón para no adherirme. Tiene que ver menos directamente con los documentos de la Congregación de la fe, y más con el modo de proceder del Vaticano en lo últimos 20 ó 30años. En esos años, muchos teólogos y teólogas, gente buena, con limitaciones por supuesto, con amor a Jesucristo y a la Iglesia, y con gran amor a os pobres, han sido perseguidos inmisericordemente. Y no sólo ellos. También obispos, como usted sabe, Monseñor Romero en vida (todavía hay quien no le quiere en el Vaticano, al menos no quieren al Monseñor Romero real, sino a un Monseñor Romero aguado), Don Helder Camara tras su muerte, y Proaño, Don Samuel Ruiz y un muy largo etcétera. Han intentado descabezar, a veces con malas artes, a la CLAR, y a miles de religiosas y religiosos de inmensa generosidad, lo
que es más doloroso por la humildad de muchos de ellos. Y sobre todo, han hecho lo posible para que desaparezcan las comunidades de base, los pequeños, los privilegiados de Dios.

Adherirme a la notificatio, que expresa en buena parte esa campaña y ese modo de proceder, muchas veces claramente injusto, contra tanta gente buena, siento que sería avalarlo. No quiero pecar de arrogancia, pero no creo que ayudaría a la causa de los pobres de Jesús y de la iglesia de los pobres.

3. Las críticas a mi teología del teólogo Joseph Ratzinger

Este tema me parece importante para comprender dónde estamos, aunque no es una razón para no suscribir la notificatio.

Poco antes de publicar la primera Instrucción sobre algunos aspectos de la "Teología de la liberación", corrió, en forma manuscrita, un texto del cardenal Joseph Ratzinger sobre dicha teología. El Padre César Jerez, entonces Provincial, recibió el texto de un jesuita amigo, de Estados Unidos. El texto fue publicado después en 30 giorni III/3 (1984) pp. 48-55.

Yo lo pude leer, ya publicado, en Il Regno. Documenti 21 (1984) pp. 220-223. En este artículo se mencionan los nombres de cuatro teólogos de la liberación: Gustavo Gutiérrez, Hugo Assmann, Ignacio y Ellacuría, y el mío, que es el más frecuentemente citado. Cito textualmente lo que dice sobre mí. Las referencias son de mi libro Jesús en América Latina. Su significado para la fe la cristología, San Salvador, 1982.

a) Ratzinger: "Respecto a la fe dice, por ejemplo, J. Sobrino: La experiencia que Jesús tiene de Dios es radicalmente histórica. "Su fe se convierte en fidelidad". Sobrino reemplaza fundamentalmente, por consiguiente, la fe por la "fidelidad a la historia" (fidelidad a la historia, 143-144).

Comentario. Lo que yo digo textualmente es: "su fe en el misterio de Dios se convierte en fidelidad a ese misterio". con lo cual quiero recalcar la procesualidad del acto de fe. Digo también que "la carta (de los Hebreos) resume admirablemente cómo se da en Jesús la fidelidad histórica y en la historia a la práctica del amor a los hombres y la fidelidad al misterio de Dios" (p. 144). La interpretación de Ratzinger de remplazar la fe por la fidelidad a la historia está injustificada. Repito varias veces: "fidelidad al misterio de Dios".

b) Ratzinger: "’Jesús es fiel a la profunda convicción de que el misterio de la vida de los hombres. es realmente lo último.’ (p. 144). Aquí se produce aquella fusión entre Dios y la historia que hace posible a Sobrino, conservar con respecto a Jesús la fórmula de Calcedonia pero con un sentido totalmente alterado: se ve cómo los criterios clásicos de la ortodoxia no son aplicables al análisis de esta teología.

Comentario. El contexto de mi texto es que "la historia hace creíble su fidelidad a Dios, y la fidelidad a Dios, a quien le instituyo, desencadena la fidelidad a la historia, al ’ser a favor de otros’" (p. 144). Para nada confundo Dios y la historia. Además, la fidelidad no es a una historia abstracta, o alejada de Dios y absolutizada, sino que es la fidelidad al
amor a los hermanos, lo que tiene una ultimidad específica en el Nuevo Testamento y es mediación de la realidad de Dios.

c) Ratzinger: "Ignacio Ellacuría insinúa este dato en la tapa del libro sobre este tema: Sobrino "dice de nuevo.que Jesús es Dios, pero añadiendo inmediatamente que el Dios verdadero es sólo el que se revela histórica y escandalosamente en Jesús y en los pobres, quienes continúan su presencia. Sólo quien mantiene tensa y unitariamente esas dos afirmaciones es ortodoxo."

Comentario. No veo que tiene de malo las palabras de Ellacuría.

d) Ratzinger: "El concepto fundamental de la predicación de Jesús es "Reino de Dios". Este concepto se encuentra también en el núcleo de las teologías de la liberación, pero leído sobre el trasfondo de la hermenéutica marxista. Según J. Sobrino el reino no debe comprenderse de modo espiritualista, ni universalista, ni en el sentido de una reserva escatológica abstracta. Debe ser entendido en forma partidista y orientado hacia la praxis. Sólo a partir de la praxis de Jesús, y no teóricamente, se puede definir lo que significa el reino; trabajar con la realidad histórica que nos rodea para transformarla en el Reino" (166).

Comentario. Es falso que yo hable del reino de Dios en el transfondo de la hermenéutica marxista. Sí es cierto que doy importancia decisiva a reproducir la praxis de Jesús para obtener un concepto que pueda acercarnos al que tuvo Jesús. Pero esto último es problema de epistemología filosófica, que tiene también raíces en la comprensión bíblica de lo que es conocer. Como dicen Jeremías y Oseas: "hacer justicia, ¿no es eso conocerme?".

e) Ratzinger: "En este contexto quisiera también mencionar la interpretación impresionante, pero en definitiva espantosa, de la muerte y de la resurrección que hace J. Sobrino. Establece ante todo, en contra de las concepciones universalistas, que la resurrección es, en primer lugar, una esperanza para los crucificados, los cuales constituyen la mayoría de los hombres: todos estos millones a los cuales la injusticia estructural se les impone como una lenta crucifixión (176). El creyente toma parte también en el reinado de Jesús sobre la historia a través de la implantación del Reino, esto es, en la lucha para la justicia y por la liberación integral, en la transformación de las estructuras injustas en estructuras más humanas. Este señorío sobre la historia se ejerce, en la medida en que se repite en la historia el gesto de Dios que resucita a Jesús, esto es, dando vida a los crucificados de la historia (181). El hombre asumió las gestas de Dios, y en esto se manifiesta toda la transformación del mensaje bíblico de modo casi trágico, si se piensa cómo este intento de imitación de Dios se ha efectuado y se efectúa".

Comentario. Si la resurrección de Jesús es la de un crucificado, me parece al menos plausible comprender teológicamente la esperanza en primer lugar para los crucificados. En esta esperanza podemos participar "todos "en la medida en que participemos en la cruz.

Y "repetir en la historia el gesto de Dios" es obviamente lenguaje metafórico. Nada tiene que ver con hybris y arrogancia. Hace resonar el ideal de Jesús: "sean buenos del todo como el Padre celestial es bueno".

Hasta aquí el comentario a las acusaciones de Ratzinger. No reconozco mi teología en esta lectura de los textos. Además, como usted recordará, el P. Alfaro escribió un juicio sobre el libro del que Ratzinger saca las citas, sin encontrar error alguno en su artículo "Análisis del libro ’Jesús en América Latina’ de Jon Sobrino", Revista Latinoamericana de Teología 1, 1984, pp. 103-120). Por lo que toca a la ortodoxia concluye textualmente:

"a) Expresa y repetida afirmación de fe en la divinidad (filiación divina) de Cristo a lo largo de todo el libro;
b) reconocimiento creyente del carácter normativo y vinculante de los dogmas cristológicos, definidos por el magisterio eclesial en los concilios ecuménicos;

c) fe en la escatología cristiana, iniciada ya ahora en el presente histórico como anticipación de su plenitud venidera meta-histórica (más allá de la muerte);

d) fe en la liberación cristiana como "liberación integral", es decir, como salvación total del hombre en su interioridad y en su corporalidad, en su relación a Dios, a los otros, a la muerte y al mundo. Estas cuatro verdades de la fe cristiana son fundamentales para toda cristología. Sobrino las afirma sin ninguna ambigüedad" (p. 117-118).

Y es grave que, sin citar mi nombre, la Instrucción de 1984, IX. Traducción "teológica de este núcleo", repite algunas ideas que Ratzinger piensa haber encontrado en mi libro. "Algunos llegan hasta el límite de identificar a Dios y la historia, y a definir la fe como ’fidelidad a la historia’." (n. 4).

Creo que el cardenal Ratzinger, en 1984, no entendió a cabalidad la teología de la liberación, ni parece haber aceptado las reflexiones críticas de Juan Luis Segundo, Teología de la liberación. Respuesta al cardenal Ratzinger, Madrid, 1985, y de I. Ellacuría, "Estudio teológico-pastoral de la Instrucción sobre algunos aspecto de ’la teología de la liberación’", Revista Latinoamericana de Teología 2 (1984) 145-178. Personalmente creo que hasta el día de hoy le es difícil comprenderla. Y me ha disgustado un comentario que he leído al menos en dos ocasiones. Es poco objetivo y puede llegar a ser injusto. La idea es que "lo que buscan los (algunos) teólogos de la liberación es conseguir fama, llamar la atención".

Termino. No es fácil dialogar con la Congregación de la fe. A veces parece imposible. Parece que está obsesionada por encontrar cualquier limitación o error, o por tener por tal lo que puede ser una conceptualización distinta de alguna verdad de la fe. En mi opinión, hay aquí, en buena medida, ignorancia, prejuicio y obsesión para acabar con la teología de la liberación. Sinceramente no es fácil dialogar con ese tipo de mentalidad.

Cuántas veces he recordado el presupuesto de los Ejercicios: "todo buen cristiano ha de ser más pronto a salvar la proposición del prójimo que a condenarla". Y estos días he leído en la prensa un párrafo del libro de Benedicto XVI, de próxima aparición, sobre Jesús de Nazaret. "Creo que no es necesario decir expresamente que este libro no es en absoluto un acto magisterial, sino la expresión de mi búsqueda personal del «rostro del
Señor» (salmo 27, Por lo tanto, cada quien tiene libertad para contradecirme. Sólo pido a las lectoras y a los lectores el anticipo de simpatía sin la cual no existe comprensión posible". Personalmente le ofrezco al papa simpatía y comprensión. Y deseo vehementemente que la Congregación de la fe trate a los teólogos y teólogas de la misma manera.

4. Problemas de fondo importantes

En mi respuesta de marzo de 2005 traté de explicar mi pensamiento. Ha sido en vano. Por eso ahora no voy a comentar, una vez más, las acusaciones que me hace la notificatio, pues fundamentalmente son las mismas. Sólo quiero mencionar algunos temas importantes, sobre los que en el futuro podamos ofrecer algunas reflexiones.

1. Los pobres como lugar de hacer teología. Es un problema de epistemología teológica, exigido o al menos sugerido por la Escritura. Personalmente, no dudo de que desde los pobres se ve mejor la realidad y se comprende mejor la revelación de Dios.

2. El misterio de Cristo siempre nos desborda. Mantengo como fundamental el que sea sacramento de Dios, presencia de Dios en nuestro mundo. Y mantengo como igualmente fundamental el que sea un ser humano e histórico concreto. El docetismo me parece que sigue siendo el mayor peligro de nuestra fe.

3. La relacionalidad constitutiva de Jesús con el reino de Dios. En las palabras más sencillas posibles, éste es un mundo como Dios lo quiere, en el que haya justicia y paz, respeto y dignidad, y en el que los pobres estén en el centro de interés de los creyentes y de las iglesias. Igualmente, la relacionalidad constitutiva de Jesús con un Dios que es Padre, en quien confía totalmente, y en un Padre que es Dios ante quien se pone en total
disponibilidad.

4. Jesús es hijo de Dios, la palabra hecha sarx. Y en ello veo el misterio central de la fe: la transcendencia se ha hecho transdescendencia para llegar a ser condescendencia.

5. Jesús trae la salvación definitiva, la verdad y el amor de Dios. La hace presente a través de su vida, praxis, denuncia profética y anuncio utópico, cruz y resurrección. Y Puebla, remitiéndose a Mt 25, afirma Cristo "ha querido identificarse con ternura especial con los más débiles y pobres" (n. 196). Ubi pauperes ibi Christus.

6. Muchas otras cosas son importantes en la fe. Sólo quiero mencionar una más, que Juan XXIII y el cardenal Lercaro proclamaron en el Vaticano II: La Iglesia como "Iglesia de los pobres". Iglesia de verdadera compasión, de profecía para defender a los oprimidos y de utopía para darles esperanza.

7. Y en un mundo gravemente enfermo como el actual proponemos como utopía que "extra pauperes nulla salus".

De estos y de muchos otros temas hay que hablar más despacio. Creo que es bueno que todos dialoguemos. Personalmente estoy dispuesto a ello.

Querido Padre Kolvenbach esto es lo que quería comunicarle. Bien sabe usted que, aunque estas cosas son desagradables, puedo decir que estoy en paz. Esta viene del recuerdo de innumerables amigos y amigas, muchos de ellos mártires. Estos días, el recuerdo del P. Jon Cortina nos trae de nuevo la alegría. Si me permite hablarle con total sinceridad, no me siento "en casa" en ese mundo de curias, diplomacias, cálculos, poder, etc. Estar alejado de "ese mundo", aunque yo no lo haya buscado, no me produce angustia. Si me entiende bien, hasta me produce alivio.

Sí siento que la notificatio producirá algún sufrimiento. Por decirlo con sencillez, algo sufrirán mis amigos y familiares, una hermana que tengo, muy cercana a Monseñor Romero y a los mártires. Pienso también que hará la vida más difícil, por ejemplo a mi gran amigo el P. Rafael de Sivatte. Si no fuesen pocos los problemas que ya tiene para mantener con seriedad el Departamento de Teología -que lo mantiene muy bien por su gran capacidad, dedicación y ciencia- tendrá ahora que buscar otro profesor de cristología, y, como usted sabrá, también tendrá que buscar otro profesor de Historia de
la Iglesia, pues, injustamente, el P. Rodolfo Cardenal no va a dar clases, pues no es bien visto por la jerarquía del país.

No sé si esta larga carta le ayudará en sus conversaciones con el Vaticano. Ojalá así sea. He procurado ser lo más sincero posible. Y le agradezco todos los esfuerzos que ha hecho para defendernos.

Le recuerdo con afecto ante el Señor.

Jon Sobrino.

File originale in: http://www.reflexionyliberacion.cl/modules.php?name=News&file=article&sid=195


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CON LOS POBRES, CONTRA LA POBREZA. AGRADECIMIENTO A JON SOBRINO
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ORACIÓN DE SOLIDARIDAD CON JON SOBRINO
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UN CAPÍTULO MÁS EN UNA DOLOROSA HISTORIA...
http://www.proconcil.org/document/2007/EspecialSobrino/Hoornaert.Sobrino.htm

EL CASO JON SOBRINO: OTRO ABUSO ECLESIÁSTICO DE PODER
http://www.proconcil.org/document/2007/EspecialSobrino/IONSOBRINO.htm



Martedì, 20 marzo 2007