Disobbedite

di Stefania Salomone

Un Commento all’articolo: "Da spose di cristo a serve del parroco.
Il vescovo di albano caccia le suore che non vogliono fare le colf"
Da Adista Notizie n. 79


Eccoci qui, ancora di fronte ad una notizia che suscita orrore, almeno così è stato per me.
Era da molto che riflettevo su questa cosa: mancano i preti un po’ in tutto il mondo, parrocchie chiuse, molte accorpate, parroci che fanno la spola tra città e città senza riuscire a garantire, come è ovvio, una presenza costante ed efficace. Ma le suore, questo stuolo di “spose” a servizio della chiesa dove accidenti sono finite?
Trovate! In cucina o in canonica ad accudire i “superiori maschi”.
Già mi sembra evidente che le suore non hanno la possibilità di studiare e prepararsi come invece i preti sono tenuti a fare (senza commentare i risultati - che non discuto in questa sede), tanto, a cosa servirebbe?
Allora, ricapitoliamo. La suora può ricamare, rammendare, può lavorare con i bambini, negli ospedali, coi disabili, può struggersi di rosari e adorazioni, e, se estremamente capace, può mettere su un bello ostello a cinque stelle per ospitare i pellegrini, quindi di nuovo cucinare, lavare per gli ospiti.
Ecco fatto. Questo il suo ruolo. Bello, no?
Certamente se la sorella in questione esprimesse il desiderio di dedicarsi a tutto questo, nulla in contrario, ma che sia la sua unica scelta, mi suona vagamente sessista.
Dall’articolo emerge una condizione in assenza della quale alle suore è stato proibito di continuare il proprio servizio pastorale, ritenuto peraltro essenziale dagli stessi parrocchiani.
Non mi sembra di aver mai letto nel Vangelo, e prego chiunque fosse in grado di farlo di smentirmi, che Gesù si sia posto in questo modo verso chicchessia, ma magari devo aver tralasciato qualche passaggio.
Se le suore del mondo che si sentono chiamate a farlo, saranno coinvolte attivamente nella pastorale parrocchiale, forse i nostri amici preti avranno più tempo per imparare a cucinare o a stirarsi i panni, senza fingere di essere i “mariti” che tornano stanchi dal lavoro ed hanno bisogno della “sposa” che li accudisca, in fondo hanno “SCELTO” di essere celibi, o sbaglio?
Comunque, nulla di tragico, la via d’uscita c’è, e quella è scritta nel Vangelo.
“Disobbedire”.
Mi rivolgo sia alle suore, e in particolare alla superiora, sia ai parrocchiani.
Cara Madre Superiora, visto che, grazie a Dio, lei ha avuto il coraggio di dissentire riguardo tale offensiva condizione, le suggerisco di andare oltre, faccia tornare le suore in parrocchia, contravvenga a quanto arbitrariamente stabilito. Ne guadagneremo tutti, mi creda. Se la verità ci farà liberi, abbiamo l’occasione di sperimentare questa promessa, o meglio questa realtà.
Cari fratelli parrocchiani, se le suore non verranno più da voi, andate voi da loro, disertate il lager in cui vi trovate e continuate a rivolgervi a chi vi è stato accanto con dedizione e autentico spirito di servizio.

DA SPOSE DI CRISTO A SERVE DEL PARROCO.
IL VESCOVO DI ALBANO CACCIA LE SUORE CHE NON VOGLIONO FARE LE COLF

34137. APRILIA-ADISTA. Cacciate per non aver accettato di fare da colf al parroco ed al vice-parroco. È quanto accaduto a tre suore missionarie di Santa Gemma, impegnate nei servizi della catechesi e della pastorale giovanile presso la parrocchia dei Ss. Pietro e Paolo di Aprilia. Il vescovo di Albano mons. Marcello Semeraro, aveva infatti subordinato il rinnovo della convenzione di collaborazione (che prevedeva una retribuzione di 800 euro al mese da dividere in tre) ad una precisa condizione: le suore dovevano prestare servizio "materiale" ai due anziani sacerdoti presenti nella parrocchia. La richiesta è stata giudicata "inaccettabile" dalla superiora della casa generalizia di Lucca, e così il vescovo ha dato il benservito alle tre sorelle, nonostante i parrocchiani gli avessero chiesto, con una petizione che ha raccolto ben 1500 firme, di ritornare sui propri passi.
"Non Le nascondiamo - avevano scritto i fedeli al vescovo - la nostra amarezza e incredulità, poiché siamo consapevoli che le suore costituiscono una presenza evangelizzatrice importante, di cui la nostra realtà ha potuto beneficiare largamente nel cammino di fede intrapreso negli ultimi anni". "Noi fedeli - aggiungevano - speriamo vivamente che Sua Eccellenza non sia realmente convinto che l’assunzione di un siffatto impegno costituisca una condizione perché le suore possano permanere nella nostra Comunità e continuare così a collaborare con i Sacerdoti ed i laici nella missione di evangelizzazione del territorio. Tanto più se si considera che gli attuali Sacerdoti della Parrocchia, interpellati da noi, hanno affermato di non aver richiesto tale servizio, preferendo la loro condizione attuale e la loro indipendenza".
I toni pacati ma fermi della lettera, non sono però serviti a far tornare il vescovo sulle sue decisioni. E così, il 21 ottobre scorso, le tre suore hanno dovuto abbandonare la parrocchia.
Molto dura è stata a questo punto la reazione dei parrocchiani di Aprilia. "Le suore sono state ’cacciate’ - hanno scritto in un comunicato -: è un’affermazione dura e scomoda, che infastidisce l’attuale vescovo di Albano monsignor Semeraro; ma noi sappiamo che è l’unica che descrive esattamente quanto è accaduto ed è inutile affannarsi a dire o ripetere meccanicamente, come fa il vicario foraneo, don Giuseppe Billi, che le suore hanno scelto di andarsene". "Nessuno in Curia sembra aver considerato che le suore rappresentano un punto di riferimento spirituale per la vita delle persone. La loro presenza è un ’completamento’ della testimonianza del Vangelo, che viene portata avanti in comunione da sacerdoti, religiose, laici nel pieno rispetto di quanto disposto nel Concilio Vaticano II. Abbiamo avuto di fronte una gerarchia ecclesiastica" che "riconosce un ruolo all’interno della Comunità alle donne consacrate nella misura in cui queste prima ’passano per la casa’ del parroco e fanno le casalinghe; poi possono finalmente permettersi di ’scendere’ e prestare il loro servizio a favore del popolo di Cristo, in tutte le forme necessarie". "Non si può pensare - concludono i parrocchiani - di intervenire nella storia di una comunità, cancellandone una componente come se niente fosse: il modo di agire della Curia e lo sviluppo dell’intera vicenda hanno incrinato uno dei pilastri del cristianesimo in cui noi, nonostante tutto, continuiamo a credere: l’accoglienza". (e. c.)



Martedì, 20 novembre 2007