GLI ISTITUTI RELIGIOSI SULLA PREVENZIONE ALL’AIDS: “IL CONDOM SERVE”. BASTA DIRLO A BASSA VOCE

di Agenzia Adista

34439. ROMA-ADISTA. Una sommessa apertura verso l’uso del preservativo è stata manifestata dai religiosi riuniti a Roma per presentare “Un servizio d’amore. Analisi globale dell’impegno degli istituti religiosi contro Hiv-Aids”, una “mappatura” sul lavoro svolto e sulle prospettive future che coinvolge i cinque continenti. L’incontro, organizzato dall’Unione superiori generali (Usg) e dall’Unione Internazionale delle Superiore Religiose (Uisg), si è svolto dal 3 al 5 maggio.

Il 27% dell’assistenza e della cura a livello mondiale dei malati di Hiv e Aids, ha detto p. Frank Monks, della Commissione per la salute Usg/Uisg, è fornito dai religiosi. A fronte di un tale contributo, il Fondo globale per la Lotta all’Aids, tubercolosi e malaria (Gfatm) dell’Onu (che valuta i progetti in base a meriti tecnici fra i quali l’avvicinamento allo scopo e la fattibilità) destina alle organizzazioni basate sulla fede il 5% delle risorse a sua disposizione (10 miliardi di dollari). Il dato “è importante”, ha sottolineato il religioso: dimostra che “la risposta dei religiosi al problema dell’Hiv non è sempre stata visibile, oscurata dall’attenzione quasi esclusiva che il mondo secolare ha riservato alla questione del preservativo”. Per la prevenzione della pandemia il condom è considerato indispensabile da tutti ma non dalla Chiesa cattolica, che mette il preservativo alla stregua degli altri anticoncezionali artificiali, ’da non usare’ essendo un tradimento dei piani naturali voluti da Dio. Per evitare il contagio dell’Aids il rimedio proposto dal magistero ecclesiastico è l’astensione dai rapporti sessuali. Ma la strategia degli ordini religiosi per controllare la pandemia non si risolve affatto in questo ’no use’: “siamo molto attivi - ha informato p. Monks - sia a livello di attività medico-sanitaria, sia a livello di prevenzione generale, prevenzione della trasmissione madre-figlio, cura di orfani e famiglie colpite, assistenza spirituale, educazione sessuale e, infine, nel campo della ricerca, in particolare del vaccino”.

E c’è di più: “L’atteggiamento pastorale non è da Giudizio Universale”, ha ammesso suor Maria Martinelli, missionaria comboniana e coordinatrice del progetto di mappatura. “I nostri principi sono noti”, ha ribadito, “magari però a livello personale, considerando poi che operiamo spesso su persone di diversa religione, cultura o etnia, certo non andiamo dicendo col megafono di utilizzarlo (il preservativo), ma ci rendiamo conto che serve”.

Dunque, sembrano dire i religiosi, non è che siamo poi così differenti da altri organismi di prevenzione e cura dell’Hiv-Aids, abbiamo tutti i titoli per reclamare una maggiore partecipazione ai benefici economici del programma mondiale, e per un lavoro, testimoniato da quel 27%, che oltretutto è enorme: solo in Africa, sono 1.000 gli ospedali, più di 5.000 i dispensari e 800 gli orfanotrofi dedicati all’assistenza di persone affette dalla pandemia. “Abbiamo bisogno - così si era espressa con l’agenzia Sir, il 30 aprile, suor Dorina Todiello indicando le finalità della “mappatura” - di trovare una voce unitaria per creare una rete di collaborazione e di scambio di esperienze, per acquisire maggiore visibilità presso le agenzie internazionali e poter accedere in modo più efficace ai fondi”. E aveva attribuito ai religiosi qualche merito in più e qualche ostacolo in meno rispetto ad altri operatori sul campo: l’assistenza a questi malati, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, i più afflitti dall’Aids (due terzi dei 40 milioni di persone malate sono in Africa) “non è solo una questione medica, richiede un approccio globale alla persona, sotto l’aspetto spirituale, economico, affettivo, familiare”; servono cioè “competenze specifiche diverse”, mentre “molti interventi” degli organismi internazionali sono visti come “caduti dall’alto” e a “breve termine”. La maggior parte dei fondi, poi, “è assorbita dalla corruzione” e “la gente non ha fiducia nelle istituzioni pubbliche”.

Rispetto all’“approccio settoriale” di vari organismi internazionali, gli ordini religiosi possono vantare un qualificato impegno nel campo della prevenzione e dell’educazione. “Si tratta di un impegno continuo di educazione sanitaria e sessuale - parole di suor Martinelli alla Sir dello stesso giorno - per prevenire l’uso di alcolici e lo scambio di aghi” e “una sessualità precoce” che “è irresponsabile”. Insomma, “un’educazione alla cultura della vita e alla dignità della persona”. (eletta cucuzza)

Articolo tratto da
ADISTA

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Lunedì, 26 maggio 2008