Il vescovo benedettino incalza la chiesa: non camminare al passo del gambero

di Adista 62 del 13/09/2008

DOC-2033. BRASILIA-ADISTA. A 91 anni, dom Clemente Isnard, monaco benedettino e vescovo emerito di Nova Friburgo, membro di quel gruppo di grandi vescovi latinoamericani che hanno legato il proprio nome alle conferenze di Medellín e di Puebla, avrebbe potuto godere di un meritato riposo, dormendo sugli allori di una carriera importante: dalla vicepresidenza della Cnbb (Conferenza episcopale brasiliana) a quella del Celam (Consiglio episcopale latinoamericano), fino alla nomina, da parte di Paolo VI, a membro prima del Consiglio per l’esecuzione della Costituzione della Liturgia e poi della Congregazione per il Culto Divino. Ma dom Clemente ha fatto un’altra scelta, decidendo di affrontare in un libro, contro il parere degli stessi vescovi della sua regione, temi che in tanti si guardano bene dal toccare, come le nomine dei vescovi, il celibato sacerdotale, l’ordinazione femminile (v. Adista n. 54/08). “Nel caso optassi ora per la mia tranquillità, per una vecchiaia circondata da onore e considerazione – scrive nelle sue Reflexões de um Bispo sobre as Instituições eclesiásticas atuais – starei tradendo la mia vocazione, la vocazione che mi ha condotto al monastero, che mi ha fatto amare la Chiesa al punto di rinunciare a tutto per essa. Sarei un codardo”.

Un esempio per tutti i vescovi emeriti, che – come sottolinea il teologo José Comblin nella prefazione del libro – “dispongono ancora per molti anni di una libertà che non hanno conosciuto prima”, potendo quindi offrire una preziosa testimonianza della propria esperienza personale. “Di fronte all’eccessiva concentrazione dei poteri a Roma – conclude Comblin – è bene che alcuni vescovi abbiano il coraggio di dire quello che pensano. Hanno poca probabilità di essere ascoltati, ma almeno la loro parola resta come testimonianza per le generazioni future”.

Di seguito, in una nostra traduzione dal portoghese, alcuni stralci del libro di dom Isnard, tratti dai capitoli sulle nomine episcopali e sull’ordinazione femminile. (c. f.)



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PER RIPRENDERE LA VIA DELLE RIFORME


 di Clemente Isnard

L’influenza dei nunzi sulle nomine episcopali

(...) Nel 1960 il nunzio Armando Lombardi mi chiamò alla nunziatura per comunicarmi che ero stato designato come primo vescovo di Nova Friburgo. Com’è che avvenne? Stavano creando molte nuove diocesi in Brasile e il Monastero di San Benedetto aveva ricevuto vari candidati con studi superiori (...). Il nunzio chiese all’abate, dom Martinho Michler, di presentare alla nunziatura tre nomi di monaci che avrebbero potuto essere nominati vescovi. Nel rispetto del segreto pontificio, dom Martinho indicò dom Inácio Barbosa Accioly, dom Basilio Penido e dom Clemente Isnard. Noi non sapevamo nulla perché l’osservanza del segreto pontificio era allora assai stretta. Iniziarono le ricerche di informazioni ed io ricevetti due lettere della nunziatura in cui mi si chiedevano notizie dei miei due compagni. Immaginai che anche il mio nome fosse stato fatto e che i compagni avessero ricevuto lettere in cui si chiedevano notizie su di me, ma essi non potevano dirmi nulla al riguardo. Il nunzio dell’epoca, dom Armando Lombardi, riteneva necessario raccogliere buone informazioni sui candidati. Consapevole dell’importanza della Conferenza episcopale, che era stata fondata da poco, ne invitava a pranzo tutti i sabati il segretario generale, dom Helder Câmara, per parlare dei possibili candidati. Derivano da queste conversazioni le nomine dei buoni vescovi dell’epoca, grazie a cui l’episcopato brasiliano crebbe non solo in numero ma anche in qualità. In effetti non è facile avere un episcopato con così con tante figure di primo piano come in quel periodo. Chi non ricorda dom Aloísio Lorscheider, dom Ivo Lorscheiter, dom José Maria Pires, dom Luciano Mendes de Almeida, dom Carlos Gouvea Coelho, dom Waldyr Calheiro de Novais, dom Antonio Fragoso, dom Paulo Evaristo Arns?

Il Concilio Vaticano II ebbe inizio nel 1962. Le quattro sessioni del Concilio nei quattro anni successivi furono un vero noviziato per i vescovi, i quali ebbero l’opportunità di conoscere i grandi vescovi della Chiesa che vivevano in altri Paesi e in altri Continenti. Il nostro segretario generale, dom Helder Câmara, oltre ad esercitare una grande influenza personale sull’andamento del Concilio, ci pose in contatto con vescovi e periti e, insieme ad un prete brasiliano, Guglielmi, organizzò delle conferenze, le celebri conferenze della Domus Mariae, che, per la scelta degli oratori, comportarono un vero processo di trasformazione per i vescovi. I pontificati di Giovanni XXIII e di Paolo VI furono un soffio dello Spirito Santo sulla Chiesa. L’elezione di Giovanni Paolo I fu una speranza di continuità. Ma la morte prematura di questo papa portò all’elezione del primo papa non italiano dal XVI secolo. Il papa polacco ebbe un lungo pontificato e sotto di lui, con la collaborazione di elementi conservatori che pullulavano nella Curia romana e che già avevano rialzato la testa al termine del governo di Paolo VI, si verificò un arresto o una decelerazione nel movimento di riforma della Chiesa, con alcuni segnali di involuzione.

Era evidente che, con l’attuale sistema di nomina dei vescovi, ciò avrebbe avuto delle conseguenze sulle promozioni in Brasile. Se è il papa che nomina il nunzio e se è questo che indica i vescovi, chi esercita il controllo sull’e-piscopato e sui suoi orientamenti è Roma. Paolo VI, a cui la Chiesa deve tanto, alla fine del suo governo, probabilmente sotto la pressione di quanti lo circondavano, operò nel Consiglio per l’esecuzione della Costituzione della Liturgia due cambiamenti tragici. Il primo fu l’allontanamento dalla presidenza del card. Lercaro, sostituito dal card. Gut, un anziano benedettino svizzero destinato ad essere una figura decorativa; il secondo, ancora più tragico, l’allontanamento del segretario Annibale Bugnini, autore della riforma liturgica che godeva dell’appoggio dell’immensa maggioranza dei periti e che aveva realizzato un lavoro magnifico. Bugnini venne nominato nunzio apostolico in Persia! Una volta, conversando a Roma con lui, Bugnini mi disse: “Qui ho solo l’appoggio del papa”, lasciando intendere che i capi erano tutti contro di lui. Di fatto, nei primi anni Paolo VI appoggiò Bugnini con grande fiducia e nessuno poteva immaginare che l’avrebbe licenziato senza preavviso durante le ferie. Infine, Giovanni Paolo II nominò come prefetto della Congregazione per il Culto divino il card. Medina, vescovo cileno che faceva carriera grazie alla spinta del card. Sodano, il quale era stato nunzio in Cile. Adesso Benedetto XVI ripristina l’antico messale di san Pio V, creando due riti per la messa nella Chiesa cattolica e favorendo la possibilità di una restaurazione del latino nella liturgia. Come non vedere che ciò colpisce la Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia del Vaticano II? Non solo non si cammina nella direzione data dal Concilio, ma si muovono passi indietro.

Possiamo sperare in un secondo forte soffio dello Spirito Santo, come quello che portò all’elezione di Giovanni XXIII, perché la Chiesa avanzi in una linea di purificazione e riforma?

Che fare ora per recuperare un episcopato zelante, colto e avanzato? Che fare per avere vescovi come dom Aloísio Lorscheider e come dom Luciano Mendes de Almeida? Nell’attuale situazione sarebbe necessario un nuovo Concilio ecumenico per completare il Vaticano II. Ma non servirebbe a nulla, con la curia romana che prepara e dirige. È necessario coscientizzare sempre più una larga fascia della Chiesa e pregare molto per la conversione dei vescovi attuali, senza dimenticare i cardinali. Ciò può essere fatto solo dallo Spirito Santo che guida la Chiesa. Dom Helder Câmara disse di essersi convertito a 56 anni. Un vecchio provinciale gesuita, p. José Aldunate, si convertì anche lui a 56 anni. Tutti conosciamo vescovi convertiti, chi più e chi meno. Ci sono anche nomine episcopali che bucano la rete allestita da Roma e lasciano passare vescovi convertiti. Ma la cosa decisiva sarà diffondere la critica costruttiva per rivelare la necessità di modificare certe cose nella vita della Chiesa, una delle quali è data proprio dalle nomine episcopali. Perché non trarre ispirazione dalla storia della Chiesa e riprendere dal primo millennio gli esempi che servono anche per i nostri tempi?

Come procedere nelle nomine episcopali? La cosa principale è che in esse operino tre elementi: il popolo, il clero e l’autorità ecclesiastica, il metropolita o il papa. Non si tratta di portare una folla in cattedrale come si faceva nel primo millennio, quando la popolazione cattolica non era molto grande. Si tratta di far partecipare uomini e donne impegnati nella Chiesa, anziani e giovani, in numero significativo secondo la diocesi, e di convocare presbiteri e diaconi incardinati in un numero che esprima le due categorie. Sarebbe il metropolita o il suffraganeo più anziano a presiedere all’elezione.

Anche mantenendo rappresentanti diplomatici in tutti i Paesi del mondo, questo decentramento nelle nomine episcopali porterebbe un sollievo notevole alle finanze della Sede apostolica dal momento che non servirebbe più un personale della nunziatura tanto numeroso. Pensiamo ai salari che tutte queste persone ricevono!

Con tale semplificazione, il papa sarebbe portato ad abolire alcune dipendenze della curia romana che negli ultimi anni si sono moltiplicate in modo impressionante.

Dom Helder Câmara, che era diventato amico di Paolo VI quanto questi era mons. Montini e lavorava alla Segreteria di Stato vaticana, vedendolo papa, si prese la libertà di scrivergli una lettera con preziosi consigli. Questa lettera non rimase riservata, ma divenne pubblica. In essa, si consigliava al papa di trasformare il Vaticano in un museo e di andare ad abitare in Laterano, che era stato la residenza pontificia nel primo millennio. Lo si consigliava anche di dissolvere la guardia svizzera ed altre cose ancora.

Non so cosa pensò Paolo VI del contenuto di questa lettera. Credo che non seguì nessuno dei consigli del suo vecchio amico. Ma quello che è importante è restituire a Roma quell’aspetto di povertà che aveva nel primo millennio fino all’inizio del secondo, prima dei papi del Rinascimento. Ed evitare una crescita burocratica che ricorda un processo cancerogeno.

L’esistenza della conferenze episcopali, che è una novità del XX secolo, deve essere presa in considerazione per ridimensionare l’organizzazione centrale della Chiesa. Il processo di nomina dei vescovi è una questione che spetterebbe alla conferenza episcopale e questa potrebbe essere incaricata di ciò insieme al popolo, ai presbiteri e ai diaconi delle rispettive diocesi.

Per far questo non sarebbe nemmeno necessario convocare un concilio ecumenico. Basterebbe una costituzione apostolica discussa in un normale sinodo. (...).

 

Le ordinazioni femminili

La partecipazione del popolo all’elezione dei vescovi e la dispensa dal celibato perché anche la Chiesa latina abbia preti e vescovi sposati sono stati i temi dei capitoli precedenti.

Non si tratta di cambiamenti teologici ma solo disciplinari e, per questo, perfettamente possibili nella Chiesa. Io, come vescovo e come padre conciliare del Concilio Vaticano II, sono francamente favorevole a queste due misure. Misure che, peraltro, non sarebbero una novità ma una restaurazione di pratiche già esistenti nel primo millennio.

Penso che, avendo maturato la mia comprensione della Chiesa attraverso quasi 50 anni di vita episcopale e sentendomi felice nel praticare il mio ideale monastico come monaco benedettino osservante, ho il dovere di pubblicare e diffondere quello che ritengo sia necessario oggi per la Chiesa. (...).

In questo capitolo desidero affrontare una questione su cui non mi sento sicuro, ma che è importante maturare nella nostra Chiesa. Non è una proposta che sia stata fatta al Concilio né che io faccio ora. È quella del sacerdozio femminile. L’istituzione del sacerdozio femminile in due Chiese serie come l’Anglicana e la Luterana  e i buoni risultati raggiunti da questa novità ci invitano però a riflettere sulla questione.

Due millenni sono passati dalla nascita di Gesù Cristo e la Chiesa romana in questo periodo ha attraversato molte tempeste. Nel XVI si verificò la rottura della Riforma protestante, ma solo ora, nel XX secolo, quelle due Chiese protestanti si sono ricordate dell’ordinazione delle donne, non solo concedendo loro il presbiterato ma anche l’episcopato.

Cosa dire delle parole di san Paolo nella Lettera ai Galati? “Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,27 ss).

San Paolo in questo passaggio predica l’uguaglianza. La differenza culturale tra giudei e greci era molto profonda e comportava anche differenze pratiche che andavano oltre la circoncisione. La differenza tra schiavi e liberi era molto più grande di quanto lo fosse in Brasile all’epoca della schiavitù. All’epoca di san Paolo lo schiavo era una cosa. Anche la differenza tra uomini e donne era notevole, per la subordinazione della donna nella famiglia e nella vita sociale, per non parlare della vita professionale.

Queste parole di san Paolo sono molto forti. Non so se siano state debitamente meditate nella Chiesa cattolica. Soprattutto la Lettera ai Galati, sicuramente redatta da Paolo, in cui egli scrive di aver rimproverato Pietro pubblicamente. In altre due lettere, san Paolo riporta la stessa opposizione tra giudeo e greco e tra schiavo e libero ma non aggiunge quella tra uomo e donna. Perché questa è stata aggiunta nella Lettera ai Galati? Se siamo tutti uno in Cristo e non c’è differenza tra uomo e donna, perché il potere dell’Ordine può essere conferito solo agli uomini?

Questo mi pare un forte argomento biblico a favore dell’ordinazione delle donne. Ma sarà sufficiente a fronte di due millenni di divieto? Nel caso fosse adottata nella Chiesa cattolica, tale misura porterebbe un profondo malessere nelle relazioni con le Chiese orientali.

La posizione della donna all’interno della Chiesa è molto cambiata rispetto al secolo scorso. Le numerose congregazione femminili, in cui le donne brillano a volte più dei membri delle congregazioni maschili, la presenza di assistenti donne nella conferenza episcopale e la nomina di donne come partecipanti al Concilio Vaticano II rappresentano una testimonianza eloquente. È bene ricordare che le donne riuscirono ad entrare nel Concilio solo alla terza o quarta sessione, ma entrarono. (...).

Durante la mia lunga vita, ho conosciuto preti incapaci di fare i parroci e ho conosciuto anche religiose e laiche consacrate con grande capacità di guida delle comunità.

Articolo tratto da
ADISTA

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Marted́, 09 settembre 2008