La visita di Benedetto XVI in USA
Un Papa «americano» non serve al mondo e alla Chiesa.

di Vittorio Bellavite

Riflessioni del coordinatore di “Noi Siamo Chiesa” Vittorio Bellavite sul viaggio di Benedetto XVI negli USA


IL viaggio di Benedetto XVI negli USA ha avuto caratteri di eccezionalità. Di qui l’attenzione anche da parte del Movimento Internazionale We Are Church- Noi Siamo Chiesa che ha diffuso il 14 aprile un testo che poneva le questioni fondamentali che erano di fronte al Papa. Contemporaneamente We Are Church diffondeva le proprie considerazioni sui primi tre anni di pontificato. A partire da questi due documenti mi sembra necessario fare alcune osservazioni su un avvenimento che meriterà ulteriori analisi.
Il Papa mi è sembrato efficace nei ripetuti interventi sullo scandalo degli abusi sessuali da parte dei preti. Del resto Benedetto XVI non poteva non essere esplicito in relazione alla gravità ed all’estensione dei fatti successi. Per noi, dall’Europa, è però difficile capire bene quanta la severità proclamata sia poi veramente praticata e se ci sia, o ci sia stata, una vera generalizzata “purga” nei confronti dei preti colpevoli e soprattutto dei vescovi che li hanno coperti o tollerati. Aspettiamo di conoscere le opinioni delle organizzazioni di base sorte in seno alla Chiesa in seguito allo scandalo.
Importante è stato il riconoscimento delle “ingiustizie sofferte dalle native popolazioni americane e da quanti dall’Africa furono portati qui come schiavi”. Sono parole molto diverse dal discorso di Aparecida in Brasile dello scorso maggio sui modi della evangelizzazione in America nel ’500, sul quale Benedetto XVI dovette poi fare marcia indietro. Anche l’attenzione ai gravi problemi dell’immigrazione ispanica in USA è stato affrontato. Ugualmente importante è stato l’auspicio di un necessario consenso multilaterale per interventi sui problemi del mondo che è “in crisi a causa della sua subordinazione alle decisioni di pochi” (con indiretto riferimento al funzionamento del Consiglio di sicurezza condizionato dal diritto di veto delle superpotenze).
Benedetto XVI ha poi insistito ripetutamente, nei tanti discorsi fatti, sui temi preferiti del suo insegnamento, la messa in guardia nei confronti del relativismo, il problema della famiglia, il rispetto della vita dal concepimento alla morte naturale. Nonostante la tanto asserita diffusa religiosità presente negli USA, nella Chiesa cattolica la secolarizzazione e la distanza tra i cattolici e le indicazioni della gerarchia, soprattutto su tematiche relative al sesso e alla famiglia, si presentano in modo analogo a quanto avviene in Europa. Queste questioni sono da tempo sollevate da numerosi e vivaci movimenti di contestazione interni alla Chiesa che si lamentano dello scarso ascolto da parte della gerarchia (anche Benedetto XVI non ha voluto riceverli). Per esempio, Voice of the Faithfull ha pubblicato l’8 aprile una pagina intera, a pagamento, sul New Jork Times chiedendo chiarezza sulla questione dei preti pedofili e maggiore democrazia nella Chiesa.
Premessi gli aspetti interessanti del viaggio e dopo aver preso atto del suo successo mediatico e di partecipazione popolare, devo dire dei due momenti più importanti che hanno confermato -a mio giudizio- la linea di Benedetto XVI sulle grandi questioni del mondo all’inizio del terzo millennio. Mi riferisco all’incontro con Bush ed al discorso all’assemblea generale delle nazioni Unite. Il compleanno festeggiato sui prati della Casa Bianca, con canti e fanfare all’americana, l’assenza nel discorso di saluto del Papa a Bush e nella Dichiarazione congiunta diffusa dopo l’incontro di qualsiasi serio riferimento realmente critico alla guerra in Iraq o ad altri comportamenti imperiali degli USA hanno esibito una evidente consonanza con un Presidente fondamentalista, organizzatore di un grande riarmo e demolitore della legalità internazionale. Si tratta -mi chiedo- di una definitiva svolta nella linea del Vaticano? Un Papa che appare omogeneo ed amico del maggior leader dell’Occidente come può non creare un appiattimento, nell’immaginario collettivo- penso ai paesi dell’islam- della Chiesa cattolica su una dimensione unilaterale e non universale, diversa da quella che Giovanni Paolo II forse riuscì a comunicare? Un Papa “americano” mi sembra sia un fatto grave per l’evangelizzazione nel mondo, che è il compito principale della Chiesa. Ma perché nessuno parla o scrive di queste cose, sia sulla stampa cattolica che su quella laica?
Il discorso all’ONU poi è consistito in una autorevole lezione sui diritti umani e sulla libertà religiosa, tematica molto importante ma più scontata e quasi celebrativa e sulla quale il consenso è condiviso, almeno formalmente (infatti la Dichiarazione universale sui diritti dell’uomo del ’48 è sottoscritta da tutti gli Stati). Il grande problema della fame e del rapporto Nord/Sud del mondo è stato solo sfiorato con parole generiche mentre è stato del tutto ignorato-non una parola- quello delle guerre e del riarmo/disarmo. Ma di cosa dovrebbe parlare il Papa all’ONU se non di queste cose ? Il mio sconcerto ed il mio smarrimento sono aumentati dopo aver riletto i precedenti interventi all’assemblea generale dell’ONU di Paolo VI nel 1965 e di Giovanni Paolo II nel 1995. In entrambi questi interventi le analisi e le denuncie su questi problemi furono esplicite e appassionate. L’assordante silenzio di Benedetto XVI all’ONU su queste grandi questioni del mondo conferma l’orientamento di questo pontificato che appare filoccidentale e ben poco impegnato ad essere voce dal basso sui grandi problemi dell’umanità, voce dei popoli e degli uomini senza voce.

Roma 21 aprile 2008



Lunedì, 21 aprile 2008