Un altro scisma

di Gérard Bessière

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in Il Gallo n. 685 del giugno 2008 Una successione di decisioni e di documenti romani hanno messo in luce orientamenti fondamentali della Roma di Benedetto XVI. Molti cristiani si pongono domande le cui risposte, purtroppo, sono evidenti. L’Istituto del Buon Pastore, a Bordeaux, è stato eretto senza che i vescovi francesi abbiano partecipato alla decisione. Che significa la parola "collegialità"? Se questa creazione avesse per unico scopo, come si ripete, l’offerta dell’unità, perché aver permesso a questo Istituto di aprire seminari? Questa autorizzazione mostra bene che c’è una strategia di restaurazione e di promozione di un clero profondamente segnato dalle posizioni dottrinali  il rifiuto delle decisioni capitali del Concilio  di Monsignor Lefebvre. In effetti questa autorizzazione romana è un’opzione per il ritorno verso un cattolicesimo chiuso su se stesso, ben lontano dall’aggiornamento conciliare. L’opinione pubblica, anche poco informata, sente bene che la Chiesa "ritorna indietro". I vescovi non hanno affatto manifestato il loro imbarazzo, ancor meno il loro disaccordo. Il Papa ha un bel loro scrivere che la loro "autorità" è intatta: il Motu Proprio mostra che essi non hanno piú il potere di autorizzare o no la celebrazione della messa in latino; il ricorso alla commissione Ecclesia Dei permetterà ricatti e pressioni. La centralizzazione e il potere romano hanno appena fatto un passo in piú nella loro marcia secolare verso il monopolio delle decisioni. La retorica della "comunione" non è piú che parole? Un vescovo recentemente promosso, replicava in luglio a dei preti che gli dicevano il loro turbamento: «Siete gallicani!». Bella scappatoia! La manovra romana vuole, si dice, ridurre o sedurre lo scisma lefebvrista. Ma gli dà una voce critica per l’interpretazione del Concilio e possibilità di accrescere la sua influenza con un clero tradizionalista piú numeroso. Come non constatare che Roma condivide molto largamente le prese di posizione della corrente tradizionalista? Le lettere di denuncia, gli interventi al Vaticano degli adepti o dei vicini a Monsignor Lefebvre sono stati efficaci: hanno dato un’importanza spropositata a quella corrente, hanno sfruttato generalizzandoli indebitamente gli abusi che avevano potuto prodursi talora in certe celebrazioni. Perché Roma non ha inviato persone per apprezzare tante belle liturgie nelle lingue dei diversi Paesi? Qui ancóra, impossibile non constatare che i circoli romani maggioritari condividono le opzioni della corrente tradizionalista. L’identificazione della tradizione con la liturgia di Pio V (che i papi dei secoli seguenti già modificarono) fa mostra di un’ignoranza volontaria della vera Tradizione che ha conosciuto varie esperienze e importanti evoluzioni dalle origini.Un solo esempio basta per mostrare a qual punto questa pretesa di ricostruire "la tradizione" occulti la storia: la resistenza dei tradizionalisti dell’epoca, condotta da Ippolito, all’inizio del terzo secolo, quando il papa volle introdurre il latino nelle celebrazioni, perché la popolazione di Roma non parlava piú il greco!... Una volta di piú, dopo la conferenza di Ratisbona e le parole rivolte agli Indiani in Brasile, bisogna ben constatare che Benedetto XVI, in nome della "sua" teologia, non tiene conto della storia. Il suo timore ossessivo del relativismo contribuisce a chiuderlo in una visione dottrinale irrigidita. Come se la presa in considerazione dei contesti storici fosse rovinosa per l’accoglienza dell’Assoluto... La sua concezione "sacrale" della liturgia è strana e molto lontana dalla creatività liturgica dei primi secoli cristiani. Perché il "sacro" è salvaguardato quando il celebrante volta la schiena all’assemblea che è, secondo San Paolo, "il corpo di Cristo"? Dopo il "Buon Pastore" e il "Motu Proprio", ci sono state le risposte della Congregazione della Dottrina della Fede. Si resta confusi davanti alla sufficienza di questi testi e la qualifica data alle altre confessioni cristiane, "vittime di deficienze". Come se la Chiesa romana fosse stata e fosse, lei, senza deficienze! I canonisti diranno che è un linguaggio particolare che non ostacola il dialogo ecumenico. Come non ne soffrirebbe? Bisogna far scisma per essere presi in considerazione dalle istanze romane invaghite di unità? In realtà, Benedetto XVI, il Cardinal Hoyos e altri dignitari romani condividono in larga misura gli orientamenti dei tradizionalisti e la loro visione della Chiesa e del cattolicesimo. Si pongono questioni fondamentali: abbiamo lo stesso Gesú? lo stesso Dio? L’interpretazione del Concilio, in "continuità", senza rottura, non tende a svuotarlo di ogni novità, di ogni revisione degli atteggiamenti del passato? Un altro scisma è in corso, ma questo non preoccupa affatto Roma. È quello di molti cristiani che se ne vanno senza rumore, di molti preti che prendono distanza interiore in rapporto al magistero romano e ai loro responsabili gerarchici silenziosi. Questo scisma è provocato dai responsabili di una Chiesa che rimane impastoiata in un passato idealizzato e che non accetta affatto un mondo, culture, valori, aspirazioni nuove apparsi da qualche secolo. Ci fu la stupefacente apertura conciliare... L’accesso al conservatorismo a cui assistiamo e di cui soffriamo è un episodio supplementare, temibile, della contrazione di Roma sul potere e le prerogative ch’essa si è data nel corso dei secoli. Molte donne e uomini mormoreranno nelle loro coscienze: "Addio, Chiesa...". Essi portano e porteranno la luce e lo slancio del Vangelo nel loro cuore e nella loro vita senza aver ricorso a questa Chiesa. Possano essi, prendendo le loro distanze, conservare lo sguardo fisso su Gesú...



Domenica, 15 giugno 2008