Un dibattito fra persone che amano il dialogo

Le chiese lavorino per riconoscersi e non per escludersi


da Riforma n. 31 del 3 agosto 2007

Un incontro organizzato dalla redazione a Torino per discutere sulle conseguenze del Documento vaticano sulla natura della Chiesa e sui rapporti ecumenici


Un dibattito fra persone che amano il dialogo

Quindici persone intorno a tavolo della redazione di Riforma – L’Eco delle valli valdesi. Una parte di loro cattoli­ci: don Toni Revelli, suor Chiara Corbella, Enrico Peyretti, Ezio Susella della Rocca. Gli altri evangelici, valdesi e batti­sti: Didi Saccomani, Enrico Paschetto, Marco Piovano, Eu­genia Ferreri, Alga Barbacini, Giuseppe Molinari, Marco Bouchard, Piero Imazio, Angelo Brunero, Stefano D’Amo­re. Ogni membro del gruppo condivide l’interesse, che a volte si trasforma in passione, per l’ecumenismo, il dialogo interreligioso. Siamo di fronte a persone profondamente impegnate nella vita della propria chiesa. Mentre ci dispo­niamo intorno al tavolo aleggia una doppia bolla di calore: la prima per il caldo umido e afoso di fine luglio che oppri­me Torino, la seconda per le recenti prese di posizione va­ticana sulla questione ecclesiologica.

Questa seconda «bolla» sta alla base del nostro incontro. «Alcuni di noi s’erano illusi – noto nell’introduzione al di­battito che modero – che l’espressione cattolica tesa ad af­fermare l’unicità della chiesa di Cristo rilanciata dalla Do-minus Jesus scritta nel 2000 dal cardinale Joseph Ratzinger fosse nel frattempo impallidita, o comunque non avesse un carattere così esclusivo, centrale. Ma oggi, di fronte alle nette precisazioni del documento della Congregazione per la Dottrina della fede dello scorso mese, intitolato Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla chiesa, ogni possibilità di dubbio è fugata. La vera chiesa di Cristo sussiste esclusivamente nella chiesa cattolica roma­na. E, dulcis in fundo, alla domanda: «Perché i testi del Concilio e del Magistero non attribuiscono il titolo di “Chiesa” alle Comunità cristiane nate dalla Riforma del XVI secolo?», la risposta ufficiale sottolinea i motivi per i quali esse non possono, secondo la dottrina cattolica, essere chiamate «Chiese» in senso proprio. La chiesa cattolica ba­sta quindi a se stessa. Non si accontenta di definirsi come depositaria esclusiva della verità. Ma vuole definire, e quin­di giudicare, in relazione a se stessa, le altre realtà ecclesio­logiche presenti nell’ecumene cristiana.

Di fronte a una così netta chiusura non sarebbe il caso di esprimere, in sede ecumenica, una protesta che esprima la forte delusione di tanti credenti che non accettano più que­sta invasione di campo? Non è forse arrivata l’ora d’inaugu­rare, in modo netto, una moratoria delle attività ecumeni­che? A un mese esatto che ci separa dall’appuntamento ecu­menico di Sibiu per la Terza Assemblea ecumenica europea questo documento vaticano spegne l’entusiasmo residuo dei precedenti appuntamenti ecumenici europei di Basilea (1989) e Graz (1997). Oppure no, paradossalmente, il docu­mento vaticano con la sua rigidità potrebbe rilanciare il la­voro ecumenico? Su questi aspetti i pareri si dividono tra quelli che vogliono manifestare il loro sconcerto attraverso una radicale azione di protesta e quelli che, proprio perché tutto è diventato più difficile, sostengono che non bisogna abdicare dal compito del dialogo e del confronto ecumenico anche a livello ufficiale, perché solo insistendo nel dialogo la situazione potrà modificarsi. Ritirarsi sull’Aventino non ser­virebbe a sciogliere i nodi. E tra questi ultimi il nodo più consistente, una volta di più, è quello ecclesiologico.

Ripercorriamo alcuni passaggi degli interventi che Rifor­ma ha registrato nel corso del dibattito che ha promosso, aggiungendovi inoltre un commento personale a pag. 9. Abbiamo volutamente mantenuto l’immediatezza del lin­guaggio parlato. (g.p.)


Un incontro organizzato dalla redazione a Torino per discutere sulle conseguenze del Documento vaticano sulla natura della Chiesa e sui rapporti ecumenici

Le chiese lavorino per riconoscersi e non per escludersi

Si affiancano trasversalmente atteggiamenti diversi in un singolare drappello di evangelici e cattolici da sempre disponibili al confronto: brucia latteggiamento esclusivista, ed è possibile anche  ipotizzare dei gesti «di rottura» nei confronti di un ecumenismo di maniera; ma resta la volontà di dialogare con franchezza con fratelli e sorelle animati dalla fede in Gesù Cristo

E. PASCHETTO: Nelle varie reazioni che ho ascoltato in questi giorni, segnalo quella di Georges Lemopoulos, vice­segretario generale del Con­siglio ecumenico delle chiese con sede a Ginevra, che affer-ma:«Ogni chiesa è la chiesa cattolica (universale) e non semplicemente una parte di essa. Ogni chiesa è la chiesa cattolica, ma non nella sua interezza. Ogni chiesa realiz­za la propria cattolicità quan­do è in comunione con le al­tre chiese»; e segnalo anche la reazione del decano della Chiesa luterana in Italia, pa­store Holger Milkau, che ha chiaramente detto: «L’auto-consapevolezza di essere chiesa per fortuna non di­pende dal placet del papa, ma solo dallo Spirito Santo, dalla grazia di Dio e dal­l’amore di Cristo, che ha det­to: “Dove due o tre sono ra­dunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro”». Quest’ulti­mo è il punto dal quale noi evangelici partiamo. La stes­sa successione apostolica è qualcosa che viene dopo, la si scoprirà nel terzo, quarto se­colo dopo Cristo.

D.  SACCOMANI: Io non escludo che ci sia qualche protestante contento di que­sta nuova situazione; che og­gi possa dire: «Avete visto, voi che amate l’ecumenismo, dove si va a finire?».

E. PASCHETTO: Mi sembra che in qualche modo erava­mo arrivati faticosamente, tra cattolici e protestanti, all’idea di riconoscersi reciprocamen­te. A noi il papa non sta bene, ma se a voi cattolici sta be­ne..., per carità tenetevelo pu­re, ma almeno consideriamo­ci in modo paritario. L’ambi­guità del termine utilizzato – che la chiesa di Cristo «sussi­ste» nella sola chiesa cattolica – mi fa venire in mente un po’ la discussione tra Lutero e Zwingli sulla Santa cena, sul termine est che andrebbe tra­ dotto con significat. Ma nel caso cattolico, il subsistit, vie­ne oggi precisato che la chiesa di Cristo sussiste esclusiva­mente (così nel testo!) nella
chiesa cattolica romana.

E. PEYRETTI: Il verbo «sussiste» non è escludente. Come dire: qui c’è la chiesa di Cristo. Ma con l’ulteriore recente precisazione raffor­zata dall’avverbio «esclusi­vamente» la situazione si è definitivamente chiarita. Occorre prendere atto di questa chiarezza.

E. FERRERI: Sono poco in­teressata al giudizio del papa. Non credo che noi dobbiamo far dipendere dal pontefice quello che noi ci sentiamo di essere. Noi sappiamo di essere una chiesa perché da noi si predica l’evangelo, si ammini­strano i sacramenti. È vero che siamo pochi, ma quei po­chi che frequentano sono cre­denti autentici. Sono più inte­ressata a conoscere quale sia oggi l’orientamento degli altri cattolici, in particolare di quelli che fanno ecumenismo da tanto tempo, vorrei chiedere loro: vi sentite di portare avanti il discorso ecumenico oppure, in forza di questo de­creto, vi sentite bloccati nei nostri confronti? Per noi la di­chiarazione su chi sia la vera e unica chiesa non è bloccante. Del resto tutta questa impor­tanza al papa siamo soprattut­to noi in Italia a darla. Già in Inghilterra del papa non si parla quasi mai. Per non dire della vicina Francia. Mi chiedo a volte: perché qui in Italia dobbiamo vivere questa sin­drome di dipendenza dal pa­pa? Egli non è padrone dei no­stri destini e tantomeno può dirci: voi non siete una vera chiesa! Non riuscirei mai pen­sare al papa come rappresen­tante di Cristo. Soprattutto quando lo vedo, e tutti volenti o nolenti lo vediamo spesso, sfilare con pizzi, gemme, il ca­mauro e tutti gli altri para­menti con al seguito la sua corte maschile.

M. PIOVANO: Questo do­cumento rappresenta un ri­torno all’antico. Quasi a voler dire: voi protestanti, se volete essere veramente chiesa, do­vete ritornare nell’ovile roma­no. Posso capire che il papa dica che la sua chiesa è l’uni­ca vera chiesa di Cristo. Una sorta di autocertificazione. Ma ciò che è inaccettabile da parte sua è la squalifica nei confronti di chi sta dialogan­do con te. Con quale credibi­lità la chiesa cattolica con una mano firma la Carta ecu­menica e con l’altra firma un atto di squalifica dei suoi in­terlocutori? Mi sembra un at­teggiamento antievangelico.

D. SACCOMANI: Se faccia­mo dell’ecumenismo non è per essere pro o contro il pa­pa, ma è perché siamo stati invitati a farlo da Dio stesso. I rapporti profondi che intrat­teniamo con fratelli e sorelle cattoliche nell’ambito ecume­nico a volte sono più forti di quelli che intratteniamo con i nostri stessi membri di chie­sa. Il giudizio del papa non mi riguarda. Al proposito mi è tornato alla mente quel passo di Matteo (20, 20 sgg.) dove la madre di Giacomo e Giovanni chiede a Gesù di far sedere nel regno i suoi figli alla de­stra e alla sinistra del Signore. Voleva accaparrare per loro il posto migliore. È la logica del­la raccomandazione. Meno male che il regno di Dio è così grande che ci sarà posto per tutti e non solo per i primi della classe. Pretendere il primato qui su questa terra sta­bilendolo in forza di un prete­so potere spirituale sacro su­periore, come il trasformare il pane nel corpo mistico di Cri­sto, non mi convince.

E. PASCHETTO: Sarei ten­tato di dire: non partecipia­mo alla Settimana di pre­ghiera per l’unità dei cristia­ni perché questa è organiz­zata dai vertici delle chiese. Abbiamo sempre insistito sull’unità dei cristiani, non abbiamo mai parlato di unità delle chiese, anche se spesso si sente dire: «che bello, adesso facciamo l’u­nione delle chiese!». L’equi­voco è duro a morire. Tocca a noi chiarire che un conto sono le chiese, un altro sono i cristiani. Sul piano invece dei rapporti ecumenici loca­li, in particolare là dove chie­se evangeliche e cattoliche organizzano, nel corso dell’anno, studi biblici, oc­corre continuare a lavorare. Penso in particolare agli in­contri, sovente molto ben preparati e partecipati, in­torno alla Parola di Dio sca­vata e pregata. Questo tipo di ecumenismo di base va certamente proseguito an­che perché racchiude una serie importante di rapporti umani spesso splendidi. Il coinvolgimento delle gerar­chie, anche alla luce del re­cente documento vaticano che afferma che la chiesa di Cristo sussiste esclusiva­mente nella chiesa romana, rende tutto terribilmente difficile. Io penso che alme­no la Settimana di preghiera ecumenica occorrerà diser­tarla. Oggi come oggi non mi sento più di parteciparvi, a meno che si chiariscano al­cune questioni centrali di or­dine ecclesiologico.

E. PEYRETTI: Vivo in una piccola comunità cattolica con due preti operai, non è una vera comunità di base. Vivo in modo marginale, cri­tico tante cose dell’istituzio­ne ecclesiale, ma non ho motivo di rinnegare la chiesa cattolica nella quale sono nato. Ci sto dentro con que­sta libertà. Con una sincerità critica. Esiste un popolo ecu­menico, esiste una chiesa ecumenica. Se le cose stan­no così insistiamo su questo aspetto. Anche nella dimen­sione cattolica, ovvero uni­versale. La chiesa di tutti i seguaci di Cristo sussiste al di là di tutte le definizioni dei concili, papi. Tuttavia il problema esiste, nel senso che se io non mi sento preso sul serio dal mio interlocuto­re c’è qualcosa che non fun­ziona. La mia prima reazione al documento vaticano è sta­ta quella di sentirmi turbato e umiliato. Chiedo perdono ai miei fratelli e sorelle pro­testanti per questa offesa che è stata espressa dalla mia chiesa nei confronti del loro senso di vivere la chiesa. Sono persuaso che come cattolici dobbiamo chiedervi scusa perché è come se vi fosse stato detto: tu esci dalla stanza! Ma Gesù ha detto che dove due o tre sono riu­niti nel suo nome e cercano di vivere la loro fede secondo le sue proposte, tutti quelli sono la chiesa. Mi piace quello che a questo proposi­to scrive Raniero la Valle sul prossimo numero del perio­dico Rocca (rocca@cittadel-la.org), in particolare là dove afferma che per far coincide­re l’«è» con il «sussiste» la Congregazione per la dottri­na della fede si appella al Concilio, ma non all’aula, bensì al Segretariato per l’unità dei cristiani che esa­minava gli emendamenti, il quale cercava di tranquilliz­zare i Padri che volevano riaffermare l’identità pura e semplice tra Chiesa di Cristo e Chiesa cattolica, ma nello stesso tempo ne respingeva fermamente gli emenda­menti. Paradossalmente la Congregazione per la Dottri­na della fede indebolisce il termine «sussiste», perché lo storicizza, dice che la sussi­stenza sarebbe la «perenne continuità storica della Chie­sa», mentre il Concilio la in­tendeva in modo sostanzia­le, di una pienezza di essere sebbene non esclusiva.

Io credo che dobbiamo la­vorare nella direzione di ri­conoscersi tra chiese e non disconoscersi, non esclude­re ma includere. Dobbiamo passare dal micro al ma­croecumenismo. Ragionare in termini di una chiesa di chiese non escludente; non solo, ma dobbiamo anche porci il problema del dialo­go con le altre religioni. Dobbiamo riconoscere lo spirito di Dio nella ricerca umana. Nella quarta rispo­sta del documento c’è una particolare insistenza sul sa­cerdozio. Io sono stato prete per dieci anni e quando so­no tornato allo stato laico ho precisato che intendevo la­sciare quella situazione di celibato che avevo accettato come condizione e non co­me vocazione, anche perché non intendevo riconoscere il carattere sacro del sacerdo­zio. Il Nuovo Testamento utilizza la parola sacerdote per Gesù e per l’intero po­polo dei credenti: per i mini­stri utilizza termini presi a prestito dall’amministrazio­ne civile, laica: diacono, pre­sbitero, episcopo… La rispo­sta del documento afferma che la chiesa vera è la dove c’è il potere sacro. E qui sta il nocciolo della questione. Il potere che alcuni hanno, in forza del quale vengono ap­punto chiamati sacerdoti; ma il Concilio aveva lasciato da parte il termine sacerdote e aveva ripescato la parola presbitero («prete» è contra­zione del termine presbite­ro, che è l’anziano della co­munità che ha una funzione a termine): ora invece assi­stiamo al ritorno del termine sacerdote. Io credo che dob­biamo impegnarci insieme in questo servizio di vita all’umanità: la pace, la giu­stizia, la salvaguardia del creato. Il programma delle assemblee ecumeniche eu­ropee di Basilea e Graz ri­mane attuale. Bisogna prati­care l’intercomunione. Mi riprometto di venire, ogni tanto, al tempio valdese per condividere la prima dome­nica del mese la santa cena. Per dire: qui c’è Gesù Cristo, la sua Parola; bisogna offrire delle dimostrazioni concre­te. Bisogna pregare insieme e operare per la giustizia. E queste cose si fanno. Non dobbiamo aspettare delle autorizzazioni ufficiali.

E. SUSELLA DELLA ROC­CA: Come cattolico sono im­barazzato perché debbo rico­noscere nel pontefice romano il capo della chiesa. E come cattolico non posso mettere in discussione ciò che il papa af­ferma in un documento uffi­ciale. Se condivido attività ecumeniche di comunità ec­clesiali (non chiesa!) allora au­tomaticamente mi pongo fuo­ri della chiesa cattolica. Que­sto mio imbarazzo è l’ultimo di una lunga serie e raggiunge ormai l’apice. Penso alla presa di posizione contraria alle coppie di fatto, o a quelle sulla fecondazione artificiale. In Italia il cristiano è sinonimo di cattolico, le posizioni di altre realtà cristiane non hanno spazio. Io dico che chi è catto­lico apostolico romano, se è onesto con se stesso, deve ac­cettare le direttive del papa. E chi non si riconosce in certe posizioni deve riflettere se possa ancora definirsi cattoli­co nel senso ufficiale del ter­mine. Oggi avverto un doppio disagio: nei confronti di alcu­ne prese di posizione ufficiale della mia chiesa e nei con­fronti degli altri cristiani che non vengono considerati sullo stesso piano. Sono in contatto con cattolici che oggi sono contenti che il papa abbia, in qualche modo, ripristinato la messa in latino e abbia posto dei paletti per condizionare le espressioni ecumeniche. Oggi io mi sento cristiano, battez­zato nel nome di Cristo. E questo mi basta.

T. REVELLI: Parto dall’af­fermazione del patriarca Smolensk di Leningrado che dice: «finalmente la smettia­mo con la diplomazia vatica­na che nasconde sempre dei retropensieri. Il documento della Congregazione per la dottrina della fede manifesta chiaramente quanto siamo vicini e quanto siamo lonta­ni. Perché il Concilio ado­però l’espressione «sussiste» e non semplicemente «è»? Quell’addolcimento, che ha un contenuto però teologico, era un cambio di prospettiva teologica, indica la piena identità della chiesa di Cristo con la chiesa cattolica, non cambia la dottrina sulla chie­sa che trova qui la sua vera motivazione. Come dire: «Noi abbiamo tutto, voi ave­te perso dei pezzi per la stra­da». In sintesi: voi protestanti avete perso il sacerdozio, avete perso l’eucarestia, cosa che invece hanno conservato le antiche chiese ortodosse. Che infatti continuano a es­sere chiamate, in sede catto­lica, «chiesa», anche se non hanno la pienezza della vera chiesa… Capisco il disagio che tutto ciò provoca. Il mio disagio ha anche un altra ra­dice perchè io prego in co­munione con il papa. E per­sonalmente quando celebro la messa aggiungo «in unio­ne con tutte le chiese angli­cane, ortodosse e protestanti perché insieme ci convertia­mo al Vangelo». Questo do­cumento ci provoca ma non è un aut-aut. Nel disagio che è reale alla luce di cin-quant’anni di ministero, oggi vi dico: continuiamo con gli incontri ecumenici. Conti­nuiamo a preparare i matri­moni interconfessionali che sono atti ufficiali tra chiese, continuiamo a lavorare sui battesimi interconfessionali. Quanto tempo ci è voluto per il reciproco riconoscimento reciproco dei nostri battesi­mi. Non possiamo tornare indietro.

P. IMAZIO: Questo docu­mento sembra una ripicca del papa verso i protestanti. Ma per noi il papa non è un’autorità che riconoscia­mo. Riconosciamo di più l’ar­civescovo di Canterbury o un patriarca ortodosso, ma il pa­pa è solo una voce tra le voci. Per me l’ecumenismo è solo incontro del popolo di Dio. Le gerarchie hanno distrutto in un minuto anni di lavoro ecumenico.

D. SACCOMANI: Noi non rinunceremo mai alla libertà. I cristiani non possono essere incolonnati tutti nella stessa truppa. Le differenze le ha volute Dio stesso e quindi vanno valorizzate. Uniti sì ma nel rispetto delle sacrosante differenze. Uniti per­ ché diversi.

E.  FERRERI: Io sono favo­revole a continuare gli incon­tri ecumenici di base, ma non quelli ufficiali. Un segnale
dobbiamo darlo.

E. PEYRETTI: L’occasione della Settimana di preghiera può essere un occasione in cui compaiono dei cattolici che dicano agli evangelici: «Noi vi riconosciamo come chiesa».

E. SUSELLA DELLA ROC­CA: Io non credo che i prote­stanti abbiano bisogno del nostro riconoscimento. Sa­rebbe come promuovere una loro sudditanza psicologica nei nostri confronti.

M. BOUCHARD: Perché in questo momento la chiesa cattolica, attraverso le sue massime autorità, compie un gesto così provocatorio? Mi sembra evidente che la chie­sa cattolica, al pari di altre chiese storiche, affronta oggi una crisi di identità. Il pro­blema è che la risposta a que­sta crisi da parte di questo papa è una risposta che fini­sce per favorire la parte più conservatrice. Questa gerar­chia ecclesiastica ha messo serenamente in conto come la ricostruzione dell’identità comporti una rottura con l’ecumenismo. Così come penso che sia stata messa in conto la crisi che può deri­varne per la base della chiesa. Condivido quello che afferma Riforma (n. 29), dove sostie­ne la necessità, in sede ecu­menica, di uno strappo, che evidenzi la crisi in atto. L’at­tuale presa di posizione vati­cana rappresenta la fine del dialogo. Rifondare un ecu­menismo di base significa che tutti si mettano seria­mente in discussione. Ma non è possibile proseguire così come si è fatto sinora, se improvvisamente l’interlocu­tore viene meno. Anche le in­tese già raggiunte tra le con­fessioni devono essere rimes­se in discussione.

G. MOLINARI: La mia inti­ma preoccupazione e dolore che ho provato alla lettura di questa nota vaticana è verso i fratelli e le sorelle cattoli­che. Chi è veramente colpito da questo Documento, che tra l’altro non presenta nep­pure una sintassi chiara ed è un testo che si autocontrad-dice, è il mondo cattolico. Non potendo smentire le aperture del Concilio, il do­cumento rovescia l’intendi­mento iniziale: dall’equipa­razione che la chiesa di Cri­sto è la chiesa cattolica (la copula che l’unisce al predi­cato), il Concilio non esclu­deva che la chiesa di Cristo sussista anche in altre chie­se. Adesso è arrivata la vera interpretazione. E quest’ulti­ma, insieme ad altri elemen­ti, tende a limitare tutto ciò che è dissenso interno alla chiesa di Roma. Si è operato un rovesciamento del Conci­lio. Il papa smentisce il Con­cilio. Certo che dobbiamo esprimere un segnale forte non solo verso le chiese ma per la società. Ma non lascia­moci prendere dall’impulso a deciderlo qui intorno a questo tavolo. Non dobbia­mo agire da soli. Facciamolo insieme agli ortodossi. A proposito qual è la loro rea­zione qui in Italia? Penso al prossimo Sinodo valdese e all’Assemblea battista con­giunti come sede per dire una parola forte. Dobbiamo ridefinire il nostro atteggia­mento verso l’istituzione ro­mana alla luce del sole.

A. BARBACINI: Avverto co­me l’imbarazzo del mondo cattolico cresca e sia diretta­mente proporzionale alle tante richieste che riceviamo di conoscere gli evangelici. Il papa paradossalmente ci sta dando una mano. Noi dob­biamo stare vicini ai cattolici in crisi, non certo per «cattu­rarli» ma, se ce lo chiedono, per accompagnare la loro crisi . In Italia pochi sanno cosa sia il protestantesimo. Pochi sanno che ci sono anche altri modi di vivere il cristianesimo. Il cristianesi­mo non si esaurisce nel papa. Quando io predico, molti si stupiscono che una donna possa presiedere un culto.

A: BRUNERO: Il papa parla di noi. Non possiamo far finta di niente. Anche perché se noi non siamo chiesa, non vale neppure il nostro battesimo. Esso non conta per essere chiesa di Cristo? Ma negare la validità teologica del battesi­mo che noi abbiamo ricevuto significa negare la nostra stes­sa realtà ecclesiastica, intesa come assemblea dei battezza­ti. Dove vuole arrivare il papa? Secoli di Inquisizione ci han­no resi ipersensibili ai giudizi di santa romana chiesa.

(a cura di G. Platone)


La chiesa silente: i cattolici del dialogo e del dissenso

LUCIANA BREGGIA

LA mia esperienza è quella di molti altri cattolici. Nata da una famiglia cattoli­ca, ho ricevuto un’educazio­ne cattolica. Ho iniziato poi un cammino personale di ri­cerca spirituale prendendo le distanze da una Chiesa por­porata e potente, lontana da chi ammoniva che «Dio ha scelto ciò che è debole e stol­to per confondere i forti e i sapienti». Ho trovato invece nelle comunità della base un terreno favorevole al cammi­no. La chiesa intesa come qahal, comunità che cammi­na nel deserto, mi ha dato spazio per la ricerca di senso, per affrontare il silenzio di Dio, dare forma ai frammenti di un percorso alimentato anche da quelli offerti da al­tre vie, orientate nella stessa direzione. Ho anche incon­trato testimoni credibili, co­me certe straordinarie figure di prete. Questo distacco dei fedeli dalle gerarchie è silen­te, ma profondo.

Gli ultimi tempi impongo­no però di dichiarare aperta­mente il dissenso: le recenti posizioni assunte dalla Chie­sa romana, dalle unioni di fatto alla messa in latino, ci inducono a esigere che quelle posizioni non siano fatte va­lere in nome della chiesa cat­tolica: la Cei, la Commissione per la congregazione della fe­de e il Papa non parlano in mio nome, in nostro nome.

Nessuno ci ha consultato, nessuno ci ha interpellato.

Nella lettera motu proprio «Summorum Pontificum» si fa leva sulla necessità di «tra­smettere l’integrità della fe­de». Ma la fede non è un pac­chetto di dogmi da trasmette­re, la fede si vive nella ricerca, nel confronto con gli altri, nell’ascolto della Parola. L’in­tegrità della fede pare una contraddizione: come se fos­se qualcosa di rigido: di inte­gro appunto. Non è questione della lingua ma di riconosce­re che la Chiesa cattolica deve parlare di Dio, come – e an­che con – le altre Chiese, ma non in nome di Dio.

La messa tridentina di Pio V contiene l’invocazione alla conversione degli ebrei, pie­tra sul cammino del dialogo ebraico-cristiano. E l’autoriz­zazione a pregare per «eretici e scismatici» è una pugnalata all’ecumenismo promosso dal Concilio Vaticano II. I cattolici che vivono la fede come percorso di conversio­ne dei cuori, a cominciare dal proprio, devono ora manife­stare il diritto-dovere al dia­logo e al dissenso, non solo rispetto alle altre religioni ma anche alla gerarchia cattoli­ca. Esistono dappertutto ce­nacoli dove si svolgono rifles­sioni lontanissime dalle «po­sizioni ufficiali»: se la Chiesa siamo noi, perché permettere che queste non rispecchino la ricchezza della ricerca?

Il dialogo deve svolgersi a partire dalla base, in luoghi privi di potere, che formino una rete di riflessioni e coin­volgano uomini e donne a ti­tolo personale. L’appartenen­za deve essere solo un tram­polino di lancio, senza che nessuno possa arrogarsi il pri­vilegio di essere nel Vero. Ac­canto a una Chiesa cattolica depositaria della dottrina di fede per evitare errori, esiste una chiesa che non ha nulla da trasmettere se non il senso di una ricerca faticosa, dove l’errore può essere fecondo come l’errare e non può esse­re lo spauracchio per imbri­gliare le coscienze e tarpare il confronto. Questa chiesa deve porsi in dialogo con le altre religioni, attraverso le comu­nità che si raccolgono intorno ai templi, alle parrocchie, alle sinagoghe, alle moschee e alle associazioni che abitano il mondo multiforme delle vie dello spirito. Una chiesa che rifiuti di ottenere consenso dietro il miraggio di una soli­da dottrina che dia apparente definizione a ogni questione sull’essere e si confronti con le altre, tutte chiese senza po­tere, semplici ostelli per cer­catori di Dio.

Il presente articolo è tratto da Riforma - SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI Anno 143 - numero 31 - 3 Agosto 2007. Ringraziamo la redazione di Riforma (per contatti: www.riforma.it) per averci messo a disposizione questo testo



Giovedì, 09 agosto 2007