Dominus Jesus

I No cattolici alla Dominus Jesus

Da Adista del 25 settembre 2000 n. 66

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Sommario

LA CHIESA CHE È IN VATICANO: ANTIMODERNISTA E DOGMATICA, IERI E OGGI

"SOLO DIO SALVA". I "NO" CATTOLICI ALLA "DOMINUS IESUS"

  • GESÙ È STATO FATTO PRIGIONIERO E LO SPIRITO MANDATO IN PENSIONE

    LA DOCCIA FREDDA DELLA "DOMINUS IESUS"

    LA "DICHIARAZIONE" DI RATZINGER CHIUDE LE PORTE ALL’ECUMENISMO

    UNA REGRESSIONE NEL CAMMINO DEL DIALOGO

    "RINGRAZIO LE CHIESE SORELLE"

    QUESTA È L’IDEOLOGIA CATTOLICA

    UN DOCUMENTO ESCLUSIVISTA


  • LA CHIESA CHE È IN VATICANO: ANTIMODERNISTA E DOGMATICA, IERI E OGGI

    DOC-1001. ROMA-ADISTA. Vanno ancora in parallelo, su questo numero di Adista, i due argomenti che hanno "riempito" il n. 64/00: il documento del card. Joseph Ratzinger sull'unicità e universalità salvifica di Cristo e della Chiesa cattolica, "Dominus Iesus", e la beatificazione di Pio IX, avvenuta il 3 settembre, insieme a quella di Giovanni XXIII. D'altronde, sono argomenti di uno stesso discorso. Proprio alla luce dell'atteggiamento dogmatico e inappellabile che traspare dalla "Dominus Iesus", sembra che all'istituzione romana stia a cuore, perché congeniale, Pio IX piuttosto che Giovanni XXIII. E la contemporaneità degli avvenimenti (beatificazione il 3 settembre, presentazione del documento di Ratzinger il 5 settembre) ha messo bene in rilievo la similiarità fra il modello di Chiesa proposto allora da Pio IX e quello proposto dalle attuali gerarchie ecclesiastiche. Il "popolo di Dio" che ha reagito ad entrambi i momenti è invece la Chiesa giovannea e conciliare. Non è dunque questo il volto della Chiesa vincente in Vaticano. Numerose e significative le reazioni che continuano a pervenirci. Ne rendiamo conto di seguito, prima sulla dichiarazione "Dominus Iesus", poi su Pio IX.

    "SOLO DIO SALVA". I "NO" CATTOLICI ALLA "DOMINUS IESUS"

    GESÙ È STATO FATTO PRIGIONIERO E LO SPIRITO MANDATO IN PENSIONE

    di p. Marcelo Barros

    monaco benettino del monastero di Goiás (Brasile)

    Carissimi fratelli e sorelle nella fede in Cristo,

    ho appena letto la Dichiarazione "Dominus Iesus" che porta la firma del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, il Card. Ratzinger. Il testo mi provoca un profondo sentimento di sconcerto, amarezza e incredulità. È difficile accettare, che in questo anno del Giubileo, in contraddizione con tutto il lavoro che il papa sta facendo, qualcuno da Roma possa dare al mondo un documento come questo, contenente dichiarazioni e affermazioni tanto infelici, sia sul versante spirituale e umano che sul versante dottrinale.

    1. Il Documento parte dalla preoccupazione missionaria. Gesù ha mandato a predicare l’Evangelo a tutte le creature (n. 1). Dice che la missione universale della Chiesa "si adempie nel corso dei secoli nella proclamazione del mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, e del mistero dell'incarnazione del Figlio, come evento di salvezza per tutta l'umanità. Sono questi i contenuti fondamentali della professione di fede cristiana" (n. 2). E di seguito cita il testo che non per caso si chiama "Simbolo" Niceno-Costantinopolitano. Dico "non per caso" perché, leggendo la Dichiarazione, ho l’impressione che il testo confonda il Simbolo con la realtà che questo evoca e riduca la rivelazione cristiana, e ciò che Gesù ha insegnato, alla formulazione di determinati contenuti dottrinali. Non si apre, cioè, al senso profondo che l’evento di Gesù rivela e al quale la stessa formula del Simbolo di fede rinvia. Concretamente: che significa per i cristiani professare Dio come Padre, Figlio e Spirito e affermare "l’Incarnazione" della Parola di Dio? La fede è un convincimento e una collocazione che si riferisce alla Vita che coinvolge tutti gli esseri umani oppure è solo un concetto-categoria che si riferisce al sapere degli intellettuali di professione (in questo caso: accreditati teologi cattolici)? Sembra che questa Dichiarazione faccia di Gesù Cristo un docente di catechismo venuto solo per insegnare. Identificando Gesù in quel modo anche la missione della Chiesa viene menomata. Il testo chiarisce che "la Chiesa, nel corso dei secoli, ha proclamato e testimoniato con fedeltà il Vangelo di Gesù". Sarà forse un’allusione di "condanna" alle richieste di perdono da parte del Papa e alla cosiddetta "purificazione della memoria" invocata da Giovanni Paolo II?

    2. L’Ecclesiologia che emerge da questo Documento è contro tutta la teologia contemporanea, anche quella dei più accreditati teologi europei. Afferma che "Il Signore Gesù, unico Salvatore, non stabilì una semplice comunità di discepoli, ma costituì la Chiesa come il mistero salvifico¼ I fedeli sono tenuti a professare (la sottolineatura è nel testo originale) che esiste una continuità storica tra la Chiesa fondata da Cristo e la Chiesa Cattolica: "È questa l'unica Chiesa di Cristo" (n. 16). Risuscita il Concilio Vaticano I che definisce la Chiesa come società perfetta. E viene, così, neutralizzato il Concilio Vaticano II che, nella Costituzione dogmatica Lumen gentium (n. 8) ufficializzò la formula subsistit in (la Chiesa di Cristo "sussiste nella" Chiesa cattolica). L’attuale Dichiarazione pretende di mostrare che il Concilio, su tale materia, dice e non dice. Già la Congregazione per la Dottrina della fede aveva condannato il libro di padre Leonardo Boff (citato nella nota 56) sostenendo che la formula "subsistit in" doveva essere interpretata in forma "esclusivista" e confermando in tal modo il Vaticano I. È certo comunque che l’allusione alla notifica inviata al fratello Leonardo Boff, unico teologo citato nel testo, non contiene alcuna minaccia implicita ai teologi che continuano a mettere in dubbio che il Cristo si manifesti nel potere della Chiesa Romana. Questa affermazione che Gesù fondò letteralmente la Chiesa cattolica mi ha fatto ricordare una dichiarazione del card. Alfredo Ottaviani, allora segretario della stessa Congregazione per la Dottrina della Fede prima del Concilio Vaticano II. Ricevendo la visita di Giovanni XXIII nella "Suprema Congregazione del Santo Ufficio", il cardinale parla a nome della Curia romana: "questo unico glorioso corpo, tanto glorioso e tanto antico da sembrare contemporaneo degli apostoli nei suoi primordi e tanto giovane nella sua attività, pieno di ardore e zelo e fecondità che pare nato ieri". Non sembra, da questa affermazione, che Gesù abbia fondato non solo una comunità di discepoli, ma anche la Chiesa cattolica, il Diritto canonico e, come disse il Cardinale, la Curia Romana?

    3. Il testo tratta della unicità (e solo questa) e della universalità salvifica del Cristo e della Chiesa. Pretende di combattere ogni relativismo e riaffermare il carattere di verità assoluta del mistero di Cristo e della Chiesa. Il Capitolo 1 ha come titolo "Il carattere pieno e definitivo della Rivelazione di Gesù Cristo". Qualunque Inquisitore alla ricerca di eresie potrebbe porre domande sullo Spirito Santo. Dove è finito? È stato mandato in pensione? Ho sentito parlare, da parte di qualcuno, del "Cristomonismo". Non ci sarà, per caso, qualche traccia nel testo? Nella storia delle eresie, non ricordo che ne esista una che abbia separato Cristo dallo Spirito Santo. Di fatto, cinque paragrafi più avanti nello stesso capitolo, si parla dello Spirito che insegna agli apostoli e, per mezzo di essi, a tutta la Chiesa questa "verità totale" (n .6) che qui viene intesa come un insieme di dottrine che il Cristo ha insegnato e che la Chiesa Cattolica ha codificato a partire dall’apparato linguistico-simbolico della propria cultura. Nel numero 7 il testo allude alla famosa differenza tra Fede e Religione, o – come dice il testo – tra Fede e "credenze". Pare che questa distinzione venga da Karl Barth, teologo protestante di una Chiesa che "non merita neppure il nome di Chiesa" dal momento che non ha passato il test della successione storica dei vescovi e non riconosce il papa così come insegna la Chiesa cattolica. La distinzione è tra la fede teologale come adesione alla rivelazione - grazia che ci proviene da Dio – e le credenze nelle altre religioni come cammino umano di ricerca di Dio. Il limite di questo Documento è cercare di decidere preliminarmente dentro quali canali opera la grazia e soffia lo Spirito di Dio. Non rivela una certa dose di megalomania? Negli Evangeli la fede che salva non consiste nel credere che Dio è uno, tre o quattro persone. Gesù dice alla cananea o al centurione romano: "La tua fede ti ha salvato". Qual è il contenuto della fede di queste persone? Semplicemente una certezza di poter essere curati? Mettendo a confronto il concetto di fede soggiacente a questo Documento e ciò che Gesù qualifica come fede appare come questa sia, nello stesso tempo, più semplice e più complessa, nel senso che la fede assume differenti espressioni in sintonia con le persone e le situazioni. Gesù accoglie la fede di Pietro che dice: "Tu sei il Figlio di Dio" e anche quella dell’emorroissa che alcuni dei nostri teologi liquiderebbero facilmente come superstizione. In tutte le sue varianti, la fede ha in comune la "fiducia e l’‘assenso’ all’amore incondizionato di Dio, quale che sia la religione, la cultura, l’esperienza umana in cui si manifesta. Non si può contrapporre Fede e Religione, facendo semplicisticamente di una Chiesa (fosse anche quella cattolica), la manifestazione pura ed esclusiva della Rivelazione. Una Chiesa fedele al proprio mandato, non può chiedere per sé nient’altro che essere semplice testimone della Verità scritta eternamente nel nome di Gesù: "Solo Dio salva". Ogni religione, Chiesa, istituzione, gruppo o persona che pretendessero sottrarre a Dio la parola di salvezza per trasformarla in suo proprio monopolio, bestemmierebbe come l’antica Babele e si coprirebbe di ridicolo davanti a Dio. La fede è rivelata in parole umane e conserviamo questo tesoro nei vasi di creta delle nostre religioni. La Dichiarazione identifica a tal punto Gesù, il Regno e la Chiesa che "la Verità, che è Cristo, si impone come autorità universale" e "l’unica vera religione sussiste nella Chiesa cattolica e apostolica" (n. 23) governata dal successore di Pietro. Da qui si capisce che egli pone la Chiesa non sul versante delle risposte umane alla Rivelazione, ma come oggetto e pienezza della stessa Rivelazione.

    4. Non conosco alcun teologo cristiano che sostenga, come afferma il testo, "il carattere limitato, incompleto e imperfetto della rivelazione di Gesù Cristo" (n. 6). Anzi, se c’è un testo che più mi offre questa impressione è proprio questa Dichiarazione. Volendo far risaltare, con questo suo metodo, l’universalità e unicità di Cristo e della sua rivelazione, di fatto le ingabbia nella razionalità dei dogmi ecclesiastici e della espressione occidentale della fede, le limita pesantemente al tipo di cristianesimo incarnato dalla Chiesa cattolica, le spinge in direzione contraria a qualsiasi universalità profonda e unicità intesa come differenza tra Cristo e la Chiesa. Dicendo che nel cristianesimo si trova già ciò che le altre religioni ancora ricercano, il testo dà l’impressione di imprigionare Dio (Padre, Figlio e Spirito Santo) in una gabbia stretta e rinchiusa dalla cultura occidentale e dalla tradizione latina. Ho letto le dichiarazioni di Giovanni Paolo II che chiama sacri e ispirati i testi delle altre religioni. È certo che questo documento intende criticare il papa. Secondo quanto riferisce l’agenzia Fides, il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Raphaël I Bidawid, durante una recente udienza privata in Vaticano, è andato in visita dal papa accompagnato da due dignitari musulmani. Uno di loro teneva in mano una copia del Corano. Quando il papa se ne accorse, si inchinò a baciare il sacro libro (cf. La Vie, n. 2809 del 01/07/99, pag. 66). Parlando dei riti e dei culti dei seguaci di altre religioni, il testo dice che "alcune preghiere e alcuni riti delle altre religioni possono assumere un ruolo di preparazione evangelica, in quanto sono occasioni o pedagogie in cui i cuori degli uomini sono stimolati ad aprirsi all'azione di Dio" (presupponendo che non sono ancora aperto) ed anche: "Ad essi tuttavia non può essere attribuita l'origine divina e l'efficacia salvifica ¼Altri riti, in quanto dipendenti da superstizioni o da altri errori costituiscono piuttosto un ostacolo per la salvezza" (n. 21). Di fonte a queste affermazioni, l’unica conclusione possibile è pensare che il papa Giovanni Paolo II sbagliasse quando scriveva: "La ferma credenza dei seguaci delle religioni non cristiane sono effetto dello Spirito di verità operante oltre i confini visibili del Corpo Mistico" (Redemptor Homini,s n. 6). Inoltre in più occasioni e in diversi luoghi ha affermato che "ogni preghiera autentica presente in qualsiasi tradizione religiosa è ispirata dallo Spirito Santo".

    5. Nella Lettera apostolica che nel 1994 annunciava il Giubileo (Tertio millenio adveniente) il papa sognava di giungere all’anno 2000 con passi decisivi e nuovi per l’unità delle Chiese. Questa Dichiarazione invece pare essere un antidoto contro tale rischio. Il papa desiderava convocare un incontro con tutti i credenti delle religioni abramiche. Questo testo ne impedirà la realizzazione per lungo tempo. Non sarà che il apa non colse bene la portata di ciò che stava approvando? Poco tempo fa la stampa scoprì che il presidente del Brasile aveva firmato un documento che legittimava una enorme corruzione economica. Il presidente chiese scusa dicendo: "Ho firmato senza leggere". Questa Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della fede non è stata neppure firmata dal papa. Quando leggo in questa Dichiarazione che il valore del dialogo interreligioso si risolve in una strategia per potenziare l’annuncio della dottrina cattolica, penso che il Documento contraddica decine di affermazioni del papa e due documenti del Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, uno dei quali citato nella Dichiarazione (nota 7). E necessario informare le Chiese che sono in comunione con il Patriarcato latino, che questo documento è scismatico. Pretendendo assolutizzare un’unica espressione di fede e identificando il Regno di Dio con la Chiesa romana, invalida il Concilio Vaticano II, nonostante ne usi qualche espressione. È urgente informare le altre Chiese che il Decreto Unitatis Redintegratio e l’Enciclica Ut unum sint di Giovanni Paolo II conservano tuttora il loro valore. Molte volte evangelici e pentecostali scettici si chiedono se il dialogo della Chiesa cattolica sia sincero. È necessario garantire che almeno il papa e il Concilio sono stati sinceri. Quanto invece ai fratelli e alle sorelle di altre religioni viene da chiedersi come fare affinchè non sospettino che il dialogo provocato dalla Chiesa cattolica miri solo ad essere una strategia per potenziare l’annuncio di Cristo. Il testo dice che è solo un mezzo per la missione "ad gentes". Non è giusto che tanti anni di lavoro siano annullati e tutte le dichiarazioni e i gesti del Papa siano depotenziati. Purtroppo ci sono cattolici che non sanno discernere in cosa consista il ministero del vescovo di Roma o, peggio ancora, attribuiscono agli innumerevoli documenti che escono dagli uffici vaticani la medesima autorità che compete al papa. Immaginiamo se vescovi e padri, tanto carenti della ecclesiologia di comunione e che ancora non vedono la Chiesa come essenzialmente una delle Chiese, fanno proprio un documento come questo considerandolo direttivo e cogente¼entriamo male nel secolo XXI.

    6. Per concludere. La cosa più triste di questa faccenda è "il volto di Dio" che emerge da questo documento. Pare lecito chiederci: in quale Dio crede l’estensore di questo documento del Vaticano? Avrà mai, alcune volte, sentito parlare di "Abbà", il papà di Gesù di Nazareth? Dove è andata a finire, in questo testo romano, la gioia manifestata da Gesù per il fatto che Dio rivela i suoi segreti ai piccoli che non riescono e non riusciranno mai a star dietro ai meccanismi di potere contenuti nel dogmatismo formulato dalle loro Chiese? Perché un testo, proveniente da ministri dai quali ci aspetteremmo la conferma nella fede, di fatto è tanto pessimista e chiuso all’azione della grazia e alla libertà dello Spirito di Dio? Grazie a Dio, la fede alla quale ci educa Gesù è esattamente il contrario: "Io posso morire e uscire di scena perché è il Padre l’ultima Parola e troverà sempre la spinta di reiterare il suo sì alla vita dell’umanità". Un fratello mi ha ricordato che nell’Evangelo si dice che Gesù comanda ai demoni di tacere, anche quando dicono una verità: la professione di fede in lui. Sono spiriti diabolici (cioè divisori). Mi pare che lo spirito di questo testo abbia bisogno di un esorcismo. Da parte mia resto in preghiera per la Chiesa perché si lasci convertire ogni giorno ed accetti di morire se il prezzo è la vita dell’umanità. È necessario che mai un popolo possa cantare, piangendo, come in questo poema maya:

    "¼Quando gli stranieri giunsero quici insegnarono la paura,fecero appassire i nostri fiori.Per far vivere i loro fioridanneggiarono e inghiottirono i nostri fiori¼"

    Gesù è venuto ad annunciare la vita per tutti i fiori e i colori e le razze e le culture e le religioni. Solo così le Chiese possono dare prova della loro fedeltà all’Evangelo senza correre il rischio di essere confuse con gli scribi di qualche Congregazione romana. Manteniamoci fedeli nella testimonianza dell’amore di Dio e nella fiducia che un giorno ci sia concesso il diritto che i vescovi latinoamericani chiesero nel 1968, nella II Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano, a Medellín: "Che si presenti sempre più nitido il volto di una Chiesa autenticamente povera, missionaria, pasquale, spogliata di potere e coraggiosamente compromessa con la libertà di tutti gli esseri umani e di tutto intero l’essere umano" (Medellin 5, 15).

    In questa speranza vi abbraccio come amico e compagno.

    P. Marcelo Barros

    Settembre 2000

    (sommario)

    LA DOCCIA FREDDA DELLA "DOMINUS IESUS"

    di p. Tissa Balasuriya

    teologo cattolico, Sri Lanka
    (anticipazione da "Nigrizia", ottobre 2000)

    La dichiarazione Dominus Iesus dell’ex Sant’Uffizio ha gettato molti nello sconcerto. Il teologo cingalese si "limita" a giustapporle un altro documento vaticano, di ben altro tenore. Quale sarà la linea del terzo millennio?

    In questi ultimi giorni ho ricevuto due documenti vaticani: il primo si intitola Dominus Iesus e arriva dalla Congregazione per la dottrina della fede (Cdf), guidata dal cardinale Joseph Ratzinger; il secondo è leggibile in Pro Dialogo (2000/1), organo ufficiale del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso (Pcdi), presieduto dal cardinale Francis Arinze: si tratta di un rapporto sull’as-semblea svoltasi a Città del Vaticano, giusto un anno fa, con circa 200 partecipanti provenienti da 50 Paesi e in rappresentanza di una ventina di religioni.

    Si può commentare in molti modi - citando i padri della Chiesa, la cura di Dio per il creato, la storia umana e la liberazione dell’uomo, la volontà di Dio per la salvezza universale e per la giustizia per tutti, i sacramenti, l’ecumenismo? - la recente dichiarazione della Cdf: i suoi presupposti e la terminologia filosofica, la teologia trinitaria e la sua comprensione della "ispirazione divina". Mi riferirò solamente, per motivi di spazio, all’im-patto di questi documenti sul dialogo interreligioso, specialmente in Asia, così ricca di religioni e di culture. I due documenti offrono un approccio ben diverso.

    Dominus Iesus

    La dichiarazione Dominus Iesus è un approccio teoretico e dogmatico alle relazioni interreligiose. Inizia con una affermazione sull’unicità e la superiorità del cattolicesimo, e la necessità della Chiesa cat-tolica per la salvezza di tutta l’umanità. Rivendica alla Chiesa il possesso della verità assoluta in materia religiosa, e alla Bibbia di essere l’unica parola ispirata da Dio. Solo i cristiani hanno una "fede teologale", per il dono della grazia di Dio; gli altri hanno al massimo una "credenza", sostanziata da "tesori umani di saggezza e di religiosità" (n. 7).

    "Se è vero che anche i seguaci delle altre religioni possono ricevere la grazia divina, è pure certo che oggettivamente si trovano in una situazione gravemente deficitaria se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici" (n. 22). Si dice che il primo obiettivo del dialogo interreligioso è "l’annuncio della necessità della conversione a Gesù Cristo attraverso il battesimo e gli altri sacramenti". Il dialogo interreligioso viene visto come parte della missione evangelizzatrice della Chiesa, che quindi "deve essere impegnata primariamente ad annunciare a tutti gli uomini la verità, definitivamente rivelata al Signore, e a proclamare la necessità della conversione a Gesù Cristo e all’adesione alla Chiesa attraverso il battesimo e gli altri sacramenti, per partecipare in modo pieno alla comunione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo". Questa può essere la conclusione di una dichiarazione sulla teologia dogmatica così come si è evoluta all’interno della Chiesa cattolica. La dichiarazione cita numerosi documenti, del papa e della stessa Cdf. Mette in guardia contro il relativismo, il sincretismo e l’in-differentismo, ma non affronta i problemi del dialogo interreligioso nel mondo reale.

    Fondamentalismo

    cristiano

    Quando ho mostrato, qui in Sri Lanka, questa dichiarazione ad alcuni credenti di altre religioni, persone ben disposte al dialogo, mi hanno detto: "Non ci interessa più questo tipo di dialogo, il cui fine ultimo è la conversione al cattolicesimo". Trovano che la Dominus Iesus li tratti come minus habentes (gravemente deficienti, nel senso letterale) nei riguardi della salvezza. Viene presentato un Dio che privilegia i battezzati. Queste persone di buona volontà vedono che i cattolici dialogano da una posizione di superiorità e di particolare amicizia con Dio, avvalendosi della conoscenza dei segreti del mistero della vita umana e del suo destino. Non possono nutrire un serio desiderio di dialogo con i cattolici se le loro religioni non vengono riconosciute per la loro dignità intrinseca. E aggiungono che, se si arroccassero a loro volta su simili posizioni dogmatiche, probabilmente nessun dialogo avrebbe più senso. Sono soddisfatti della loro vita religiosa, non avvertono il bisogno di convertirsi alla Chiesa cattolica.

    Domandano inoltre: come si sono comportati in passato i cristiani, i privilegiati di Dio, nelle nostre terre? E come si comportano oggi a proposito di giustizia e pace, corsa agli armamenti, aids, diseguaglianza, globalizzazione??

    Per loro è proprio questo modo di interpretare Gesù come necessario e universale salvatore a condurre agli eccessi del fondamentalismo cristiano in alcuni Paesi asiatici. E sospettano che l’at-tuale violenza contro i cristiani in India, Pakistan e Indonesia sia in parte dovuta proprio all’attività missionaria fondamentalista dei cristiani. È uno scontro tra opposti fondamentalismi di religioni diverse che non si rispettano.

    Costruire insieme

    la civiltà dell’amore

    Il documento del Pontificio consiglio per il dialogo affronta invece i problemi della vita in un mondo in crisi di civiltà, nel quale la religione ha il dovere di collaborare per promuovere quella che il papa chiama la "civiltà dell’amore". L’as-semblea dell’ottobre 1999 ha visto il dialogo interreligioso come "la via a tutti accetta di collaborare in vista della for-mazione di una società mi-gliore per l’umanità". Ha ri-flettuto sui mali e le sofferenze del mondo per affermare: "Noi siamo consapevoli di alcune urgenti necessità:

    - affrontare insieme, con responsabilità e coraggio, i problemi e le sfide del nostro mondo moderno (povertà, razzismo, inquinamento ambientale, materialio, guerra e proliferazione delle armi, globalizzazione, aids, mancanza di cure mediche, tracollo della famiglae della comunità, emarginazione delle donne e dei bambini);

    - lavorare insieme per affermare la dignità umana come fonte di diritti umani e dei corrispondenti doveri, nella battaglia per la giustizia e la pace per tutti;

    - creare una nuova spiritualità, per tutta l’uma-nità, in accordo con le tradizioni religiose in modo che possa prevalere il principio del rispetto della libertà reli-giosa e della libertà di coscienza.

    Siamo convinti che le nostre tradizioni religiose hanno le risorse necessarie per superare le divisioni che osserviamo nel mondo e per accelerare reciproca amicizia e vicendevole rispetto tra i popoli". Inoltre "c’è bisogno di un’attenzione particolare nel rispetto dell’altrui autodefinizione della propria identità religiosa. Le persone possono essere spinte ad affidare la propria fede ad altri soprattutto attraverso lo stile di vita, la qualità delle loro azioni e la loro cura per gli altri. Ci rallegriamo per avere fatto del nostro meglio per capirci veramente l’un l’altro e perché ci esprimiamo nell’amore e nel rispetto". Il papa nel suo discorso all’assemblea, il 28 ottobre, espresse la sua immensa gioia per lo sviluppo delle relazioni interreligiose, in modo particolare a partire dall’in-contro di Assisi del 1986, ed incoraggiò il progresso di un tale dialogo e prassi nell’interesse dell’umanità.

    "Il compito che abbiamo davanti è dunque quello di promuovere una cultura del dialogo. Individualmente e insieme, dobbiamo mostrare come il credo religioso ispiri la pace, incoraggi la solidarietà, promuova la giustizia e sostenga la libertà. Una maggiore stima reciproca e una fiducia crescente devono condurre a una comune azione ancora più efficace e coordinata, in rappresentanza della famiglia umana. L’in-segnamento e l’esempio di Gesù Cristo hanno dato ai cristiani il senso della fratellanza universale (sic) di tutti". La consapevolezza che lo Spirito di Dio soffia dove vuole (Gv 3,8) ci impedisce di tranciare giudizi affrettati e pericolosi, perché tale consapevolezza ci chiama ad apprezzare quanto giace nascosto nel cuore degli altri. Questo apre la strada alla riconciliazione, all’ar-monia e alla pace. Da questa consapevolezza spirituale sgorgano la compassione e la generosità, l’umiltà e la modestia, il coraggio e la perseveranza. Di queste qualità l’umanità ha bisogno oggi più che mai, nel momento in cui si muove verso il nuovo millennio".

    Quando ho mostrato questo secondo documento a credenti di altre fedi, notando la partecipazione e il ruolo della Chiesa cattolica questi sono rimasti colpiti e incoraggiati a continuare a lavorare insieme per il nostro comune obiettivo della "civiltà dell’amore". E desideravano che documenti come questo fossero meglio diffusi e conosciuti nei loro Paesi.

    Il papa e gli altri cattolici che hanno preso parte alla citata assemblea convocata dal cardinale Arinze, hanno preso una posizione ben diversa sullle altre religioni e sul dialogo. Sono profondamente rispettosi, considerano le altre religioni un segno della presenza del Divino; le reputano partner necessari nella ricerca di un mondo più giusto e pacifico. Allo stesso modo le centinaia di partecipanti a quell’as-semblea hanno visto le religioni come partner necessari e preziosi nella costruzione di comunità umane nei loro Paesi e nel mondo intero.

    Opposti paradigmi

    Ci troviamo dunque di fronte a due diversi paradigmi teologici per interpretare Gesù Cristo e la missione della Chiesa. Nel primo, la Chiesa è stata ed è il principale obiettivo della missione. Gesù è visto come il salvatore universale, il Signore che domina su tutto. Nel secondo, il principale obiettivo della Chiesa è la promozione dei valori del Regno di Dio insegnati da Gesù. Gesù è visto piuttosto come colui che è venuto per amare e servire, mite e gentile, liberatore dell’umanità, portatore dei valori del Regno di Dio sulla terra.

    Questi due paradigmi, che citano testi biblici diversi in proprio favore, conducono a modalità differenti di presenza cristiana nel mondo; a interpretazioni differenti degli obiettivi e dei metodi della missione; a modi differenti di relazioni con le persone di altre fedi e altre convinzioni.

    Si tratta di un dibattito che continua, che coinvolge la Chiesa nel suo insieme e che non è ancora stato risolto né in teoria né in pratica, come si vede leggendo i due documenti. Forse il dialogo più significativo deve avvenire all’interno della stessa Chiesa cattolica, tra i due dicasteri vaticani (Cdf e Pcdi) con i rispettivi cardinali presidenti. Il papa potrebbe essere trascinato in opposte direzioni da questi diversi organi curiali.

    Possiamo intanto dire che la Dominus Iesus, per quanto giustificata possa essere dal nostro punto di vista, è un non-inizio di dialogo interreligioso significativo. Può essere addirittura pericolosa, in quanto ferisce le altre persone con cui viviamo e camminiamo, e con cui condividiamo il nostro essere.

    (sommario)

    LA "DICHIARAZIONE" DI RATZINGER CHIUDE LE PORTE ALL’ECUMENISMO

    Pronunciamento del seminario nazionale cattolico-romano/evangelico-luterano (São Leopoldo, Brasile, 7-8 settembre) firmato da
    mons. Ivo Lorscheiter e Gottgried Brakmeier

    1. La Dichiarazione "Dominus Iesus", resa pubblica in questo mese di settembre del 2000 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede della Curia romana, ha sorpreso la cristianità. Rischia di chiudere porte che erano state aperte dallo sforzo ecumenico nei decenni passati. Ha provocato immediatamente reazioni di forte irritazione, con la minaccia di sfociare in nuove polarizzazioni religiose e di riaccendere antiche rivalità.

    2. Non sono ancora chiari i motivi della dichiarazione e i suoi reali propositi. Si intende mettere in guardia dal rischio del relativismo e dalla diluizione della verità di fede. Manca, tuttavia, lo spirito di apertura ecumenica tanto in evidenza nei documenti del Concilio Vaticano II, nell’enciclica papale Ut unum sint, nella Dichiarazione congiunta sulla giustificazione per "grazia e fede" ecc. Riferimenti ai testi del Concilio sono isolati dal loro contesto originale. E i risultati dell’avvicinamento dottrinale ottenuti nei dialoghi interconfessionali, anche riguardo al concetto di Chiesa, sono ignorati.

    3. La causa ecumenica, cioè la ricerca dell’unità dei cristiani, è mandato inalienabile della Chiesa di Gesù Cristo. Lo stesso papa ha enfatizzato che si tratta di un impegno irreversibile. Anche la Chiesa cattolica confessa di essere in cammino e di aver bisogno di riforme. È quello che, tra le altre cose, ha motivato papa Giovanni Paolo II, nella suddetta enciclica, a proporre il dialogo sulla modalità del-l’esercizio del papato. Come partecipanti al seminario, convocato dalle due Chiese per riflettere sul tema del "Ministero", riaffermiamo:

    a) Esiste un vincolo di unione tra tutte le persone battezzate che invocano il nome di Gesù Cristo.

    b) Esiste un vincolo di unione tra tutte le persone create ad immagine di Dio, anche se non si dichiarano cristiane.

    c) Esiste un vincolo di unione tra tutte le persone chiamate al servizio del Regno di Dio, la cui vita porta a compimento la nostra speranza.

    C’è poi un’unità anteriore alle divisioni cristiane ed umane, anche se con diverse sfumature e modalità.

    4. Come Chiese cristiane ci impegniamo ad una maggiore fedeltà al Vangelo. Confessiamo come cattolici e luterani, insieme a tutti i cristiani, la salvezza che è in Gesù Cristo. Ricordiamo i segni di unità esistenti nelle nostre comunità, come la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, la condivisione di vita, la cooperazione in questioni sociali, la Campagna di fraternità ecumenica 2000. Sarebbe tragico se il cammino ecumenico verso una maggiore unità subisse interruzioni o pregiudizi.

    5. La diversità di manifestazioni ecclesiali è all’origine della fede cristiana. Le origini della Chiesa non sono state uniformi. Per quanto fluissero dallo stesso versante. L’unità deve lasciare spazio alla diversità, così come questa deve basarsi su un fondamento comune. Il mondo pluralista di oggi ha bisogno di esempi di unità nella diversità e di vita fraterna con il diverso.

    6. Anche di fronte all’impatto della Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede, non bisogna rinunciare alla causa ecumenica. Il Concilio Vaticano II, in sintonia con tutto il movimento ecumenico moderno, celebra i progressi ottenuti come un dono dello Spirito Santo. Ci spetta accoglierlo con gratitudine verso Dio e con la disposizione a cooperare. Si pone per tutti e tutte la sfida di elaborare e realizzare progetti che compiano il mandato della promozione della pace in un mondo diviso.

    8 settembre 2000

    (sommario)

    UNA REGRESSIONE NEL CAMMINO DEL DIALOGO

    di Faustino Teixeira,
    teologo cattolico, docente universitario, Brasile

    Nel giugno del 2000 ho scritto un breve articolo sul viaggio del papa Giovanni Paolo II in Terra santa, realizzato nel marzo di questo stesso anno. Il dato che più mi ha impressionato in tutto il difficile itinerario del papa in quella zona di tensione e di conflitto è stato il suo atteggiamento di apertura, in particolare i gesti segnati e alimentati dalla convinzione della pace. La dinamica del dialogo ha connotato il suo viaggio e ha punteggiato i suoi discorsi: è stato come un pellegrino sulla strada della pace. Durante l’incontro interreligioso realizzato nel Pontificio Istituto Notre Dame, il 23 marzo a Gerusalemme, ha affermato di essere cosciente "che è necessario e urgente stabilire vincoli più stretti tra tutti i credenti, per garantire un mondo più giusto e pacifico". Nel suo discorso, Giovanni Paolo II ha manifestato una grande speranza in un "nuovo futuro", segnato dalla cooperazione e dal rispetto tra le diverse tradizioni religiose; ma anche dal dialogo che si afferma nella rottura di qualunque tentativo di imposizione di una visione esclusiva, e che si traduce nell’ascolto rispettoso dell’altro, nel riconoscimento di "verità e grazia" presenti nelle proprie tradizioni e, soprattutto, nell’autentica cooperazione in favore della mutua comprensione e dell’affermazione della pace.

    Purtroppo, questo spirito di dialogo incontra una resistenza decisiva in certi settori del Vaticano, soprattutto nella Congregazione per la Dottrina della Fede. La Dichiarazione "Dominus Iesus", pubblicata il 5 settembre a Roma, costituisce un esempio vivo di una tendenza in corso a bloccare la dinamica del dialogo promossa dal Concilio Vaticano II (1962-1965) nella vita della Chiesa cattolica. Si tratta di una Dichiarazione sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa. Quello che più impressiona il lettore è il tono della Dichiarazione. Il tradizionale "pessimismo" del cardinale Ratzinger traspare in tutto il testo: accanto all’af-fermazione della centralità della Chiesa cattolica, la sfiducia nel potenziale di rivelazione presente nelle altre tradizioni di fede. Si tratta di una doccia fredda per tutti coloro che sono impegnati nella pratica ecumenica e interreligiosa.

    I gesti simbolici di apertura interreligiosa presenti nel-l’azione di Giovanni Paolo II cedono qui alla logica del timore affermata dal cardinale Ratzinger, in quanto "guardiano della dottrina" autentica e retta. Il peso degli anatemi presenti nella Dichiarazione ci fa ricordare il clima di condanna tipico del XIX secolo, con papa Pio IX. Il giornalista italiano Marco Politi indica che questa Dichiarazione non costituisce un evento casuale, ma si inserisce in una logica ben definita di affermazione di una posizione ecclesiale che mira al prossimo conclave. Il nuovo "trinceramento dell’i-dentità" rivela un timore polifonico: quello del relativismo, dell’indifferentismo, della desostanzializzazione della fede, di una nuova riforma della Chiesa. Ma anche la paura delle conseguenze e delle implicazioni teologiche di un maggiore avvicinamento ad altre comunità di fede. In modo particolare, il timore di scoprire che Dio possa parlare in forme diversificate, in quanto dono di gratuità e sorpresa permanente.

    La Dichiarazione mira a confutare posizioni considerate erronee o ambigue sul tema dell’unicità e dell’universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo e della Chiesa. Le argomentazioni girano intorno a tre assi. In campo cristologico si afferma il carattere pieno e definitivo della rivelazione di Gesù Cristo, contestando le tesi che confermano un pluralismo religioso di principio, che possano aprire il campo ad una comprensione più ampia della rivelazione di Dio. In campo ecclesiologico, si ribadisce la questione dell’unicità e dell’unità della Chiesa cattolica, della sua indissolubile relazione con il Regno di Dio, e della sua condizione di unica religione autentica. L’enfasi sulla centralità della Chiesa impone una critica alle concezioni teologiche che accentuano il regnocentrismo. Nel campo della relazione della Chiesa cattolica con le altre tradizioni religiose, il pendolo ricade sull’affermazione della necessità della Chiesa per la salvezza.

    Le ripercussioni negative della Dichiarazione si fanno sentire in modo particolare quando si affrontano le questioni relazionate all’ecumenismo e al dialogo interreligioso. Bisogna riconoscere che il documento non presenta novità, ma solo ribadisce tesi tradizionali già elaborate dal magistero della Chiesa. La novità dolorosa è nell’enfasi negativa con cui riafferma queste tesi. Il modo in cui si sostiene teologicamente, nel documento, l’unicità della Chiesa provoca un terremoto nell’ecumenismo. La Dichiarazione proclama il ruolo primario e superiore del cattolicesimo rispetto alle altre Chiese cristiane. L’espressione subsistit in utilizzata nella "Lumen gentium" 8, è interpretata in un senso molto restrittivo: è solo nella Chiesa cattolica che la Chiesa di Cristo continua ad esistere pienamente. Le altre Chiese cristiane sono limitate per ragioni diverse. Gli ortodossi condividono la condizione di Chiese particolari, per quanto limitati dal non accettare la dottrina cattolica del Primato. I protestanti non sono riconosciuti come Chiesa in senso proprio, ma come "comunità ecclesiali" che "non hanno conservato un episcopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico".

    Il dialogo interreligioso esce ugualmente con le ossa rotte dalla Dichiarazione. Già in partenza, viene relativizzato il potenziale di rivelazione delle altre tradizioni religiose. Si opera una distinzione tra fede teologale e credenze religiose. Queste credenze traducono, nella realtà, il movimento umano in direzione dell’Assoluto, ma non l’esperienza dell’As-soluto. Solo l’esperienza cristiana rende possibile l’autentica fede teologale, in quanto accettazione della verità rivelata dal Dio uno e trino. Le preghiere e i riti delle altre religioni sono intese come "preparazione al Vangelo", ma al contrario dei sacramenti cristiani non possiedono la stessa origine divina o efficacia salvifica. La Dichiarazione non nega che i membri delle altre religioni possano ricevere la grazia, ma afferma che essi si trovano oggettivamente "in una situazione deficitaria, se confrontata con quella di coloro che nella Chiesa hanno la pienezza dei mezzi di salvezza". Non si nega nel documento la validità del dialogo, ma questo viene definito semplicemente come "una delle azioni della Chiesa", e la parità che implica non riguarda i contenuti dottrinali. L’impegno decisivo della Chiesa riguarda l’altro compito: quello di "proclamare la necessità di conversione a Gesù Cristo e dell’adesione alla Chiesa attraverso il battesimo e gli altri sacramenti, per partecipare in modo pieno alla comunione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo".

    I gesti di dialogo di Giovanni Paolo II, a cominciare dalla giornata mondiale di preghiera per la pace (Assisi, 1986), finiscono per essere svuotati dal tono imposto dalla Dichiarazione della Congregazione per la Dottrina della Fede; così come il mea culpa del papa viene ridotto a "spettacolo" televisivo. Nella realtà, si tratta di una tendenza di affermazione dottrinale di settori del Vaticano contro una linea teologica e pastorale che si viene consolidando a partire dalle basi e che crede nella possibilità reale di un nuovo volto di Chiesa.

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    "RINGRAZIO LE CHIESE SORELLE"

    lettera di
    Marie Téhèrese Van Lunen Chenu
    fondatrice e presidente di "Femmes et Hommes dans l’Eglise", Francia

    Care amiche e cari amici delle Chiese sorelle,

    sono moltissimi tra noi i cattolici tristi e confusi per le vecchie arroganze e le formule superate del PanzerKardinal a Roma! Ma è solo nella sua logica, guardiano di un edificio dogmatico e gerarchico sempre più contestato e che soprattutto cerca invano di fare da diga al bel fiume dell'ecume-nismo. Una realtà per irrigare le terre violente e aride del nostro tempo: una condivisione vissuta a partire dalle convinzioni e le espressioni della fede fino agli impegni di giustizia e d'amore sui cantieri tutti terreni...

    Conosce questa realtà, il cardinale Ratzinger. Lui e gli altri hanno paura e si irrigidiscono. Come non sfinirsi nel voler colmare i solchi che la grazia traccia!

    Vorrei ringraziarvi tutti e tutte. So ciò che devo alle Chiese sorelle, ciascuna con le sue specifiche ricchezze che mi hanno aiutata. Questa condivisione ecumenica è un tesoro vicino che rallegra la mia fede e la mia speranza. E io testimonio in particolare la meraviglia che hanno dato alla mia vita spirituale le donne di Dio. Religiose cattoliche talvolta, ma più ancora donne ministre, perché sono un segno nuovo. Loro lo sanno, il loro ministero non è sempre facile. Molte devono ancora lottare, e vivono questo fatto con generosità. Ma portano questa grazia nuova del ritracciare con i fratelli - e dell'invitare i fratelli a ritracciare - tutta la pienezza dell'alleanza offerta da Dio. Insieme, donne e uomini ministri, possono fare con i laici una vera comunità e manifestarvi l'infinito della tenerezza di Dio. Noi cattolici siamo chiamati al deserto e voi ci siete stati mandati. Che l'ama-rezza, gli scherni, le piccole vendette e le piccole glorie non vi impediscano soprattutto di sostenerci nel deserto...

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    QUESTA È L’IDEOLOGIA CATTOLICA

    associazione Viottoli - Comunità cristiana di base di Pinerolo

    L'ultima dichiarazione vaticana Dominus Iesus ha destato sorpresa e scalpore per la sua chiusura dogmatica e la sua arroganza culturale e teologica.

    Ma chi si stupisce è ingenuo. L'ortodossia cattolica non è sostanzialmente cambiata e pensa di avere il monopolio della salvezza. L'enfasi e la retorica vaticana sul dialogo con l'ebraismo e le religioni del mondo sono prevalentemente discorsi tattici e di maniera, ma il cuore dei vertici cattolici è altrove, pensa altre cose. Negare che esistano altre vie di salvezza aventi pari dignità del cristianesimo sembra oggi un'affermazione incredibile per una persona sana di mente e di media cultura. Gran parte dei teologi e delle teologhe lo affermano con vigorose argomentazioni da almeno 30 anni in modo sempre più deciso.

    Ma il papato è una struttura accecata dalla spirale del potere e non riesce a vedere oltre gli interessi di una casta che è prigioniera delle proprie ideologie, di una rozza arroganza e, in questo caso, di una ridicola ignoranza biblica. Certo, non può un burocrate e capo di Stato come il papa essere esperto in teologia (sarebbe troppo esigere tale competenza in un papa che è occupato soprattutto nella gestione del potere e nella cura dell'immagine), ma almeno potrebbe consultare qualche altra voce oltre i teologi di corte e i cardinali di curia.

    Ma attenzione! Sarebbe grave se noi dessimo eccessiva importanza a questo sproloquio di un potere in delirio e in disperata difesa di sè. La teologia vaticana va presa per quel che è: una difesa di posizioni di potere priva da sempre di solide basi bibliche e culturali.

    L'autorità vera nella Chiesa cattolica va cercata altrove: lì c'è solo dominio e potere. È inutile fare polemiche. Occorre acquisire e diffondere una nuova coscienza cristiana che sappia, in obbedienza alla Parola di Dio, rimanere libera dai ceppi ideologici che le gerarchie cattoliche vogliono imporre al popolo di Dio. È importante lavorare, studiare, pregare e fare comunità e fare teologia in una dimensione nuova, nutrita di confronto, di apertura, di humor, di libertà. Non si manca di rispetto a nessuno quando si smaschera apertamente una manovra oppressiva. Anche su questo terreno la diffusa coscienza cristiana e la civile riflessione dei popoli sono molto più aperte e costruttive: esistono molte vie di salvezza che possono trarre grande vantaggio dal reciproco senso di accoglienza, di confronto, di comune impegno per la liberazione umana e il bene di tutto il creato.

    Consigliamo la lettura di un bel volume del teologo Paul Knitter edito dalla Editrice Cittadella: Una terra molte religioni. Il volume fa seguito ad una precedente opera dello stesso Autore: Nessun altro nome? (Edizione Queriniana). Migliaia - sì, proprio migliaia - di opere come queste dimostrano che nelle Chiese cristiane ci sono posizioni teologiche molto più serie e documentate. Lo studio teologico può offrire strumenti per una visione del dialogo interreligioso che, senza per nulla sminuire o smarrire l'identità cristiana, disarma le nostre presunzioni di monopolio della salvezza.

    Insomma, anche la Chiesa cattolica è molto più bella di quanto la dittatura vaticana lasci intravvedere. Bisogna saper vedere e scegliere...

    In Vaticano, "al di là delle sbornie dei raduni di massa c'è paura", scrive testualmente Marco Politi.

    Questi arroccamenti, questi sbarramenti sono figli della disperazione dei vertici ecclesiali che temono la grande ondata di indifferenza, che sono terrorizzati dalla crescente consapevolezza che Dio parla lingue diverse, che non riescono più a bloccare le ricerche teologiche in atto.

    Ma c'è dell'altro: il conclave si avvicina e si sta scrivendo l'identikit del nuovo papa. La curia vuole garantire una totale continuità sui temi della morale, del magistero, della cosiddetta disciplina ecclesiastica.

    Pinerolo, 6 settembre 2000

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    UN DOCUMENTO ESCLUSIVISTA

    "Insieme per la pace"
    gruppo interreligioso di Torino

    Siamo cristiani impegnati nell'ecumenismo, e apparteniamo al gruppo torinese interreligioso "Insieme per la pace", aderente alla sezione italiana della World Conference on Religion and Peace. Questo gruppo è composto da persone di sei religioni di provato valore (baha'i, buddhisti, ebrei, cristiani, induisti, musulmani), che non rivestono alcuna rappresentanza ufficiale. Tutti insieme, lavoriamo da cinque anni per contribuire a costruire un'etica umana comune ed una cultura di pace, di giustizia e di salvaguardia della natura. Il gruppo è nato nel 1996, in occasione del decimo anniversario dello storico incontro di Assisi tra i massimi rappresentanti delle grandi religioni, invitati dal papa. La nostra esperienza concreta di dialogo interreligioso si realizza in vera amicizia e illuminazione reciproca, ed anzi nella gioia della differenza che ci arricchisce.

    Noi siamo dispiaciuti per i contenuti e i toni del documento vaticano Dominus Iesus, quali risultano dalle prime informazioni. Come componente cristiana del gruppo, interpretiamo il dispiacere anche dei nostri amici non cristiani. I cattolici tra noi sono addolorati per la svalutazione che il documento fa delle Chiese evangeliche.

    Preferiamo ora non entrare in affrettate polemiche con quel documento, ed aspettiamo che una sua attenta lettura, seguita da discussioni franche e riflessioni serie, inserisca quella presa di posizione della Curia vaticana nel cammino di ricerca teologica e spirituale sul rapporto tra il cristianesimo e le altre religioni. Questo cammino è già da tempo avviato nelle Chiese, grazie all'esperienza vissuta e alla riflessione dei credenti, grazie ai contributi che hanno preparato e si sono espressi nel Concilio Vaticano II della Chiesa cattolica, e al lavoro anche recente di teologi di valore. Intanto, però, esprimiamo il nostro disagio e dissenso dal tono di esclusivismo cristiano e cattolico che il documento esprime in modo accentuato.

    Quelli di noi che sono cattolici dicono ai nostri fratelli cristiani non cattolici, e tutti insieme noi cristiani diciamo ai nostri amici non cristiani: oggi ripetiamo e rinnoviamo il riconoscimento e la stima per le vie religiose e le tradizioni spirituali che ciascuno di voi segue, sulle quali siamo convinti che ognuno trova davvero valori di verità, di bene, di salvezza dell'esistenza umana dal non-senso e dal male.

    Non saremmo cristiani se non trovassimo in Gesù di Nazareth, più che in ogni altro profeta o maestro, il maggiore segno e presenza nell'umanità dell'amore salvatore di Dio. Così, ogni seguace di una religione è tale perché trova il maggior bene in quella religione. Ma ciò non riduce affatto per noi il rispetto e, più ancora, una vera ammirazione per i valori religiosi e morali sulle vie non cristiane.

    Questa nostra esperienza di dialogo e amicizia, impostata su base di parità, eguaglianza, equanimità, ci dice che, mentre ognuno trova la maggior luce di verità, di bene e di salvezza sulla via religiosa che sta seguendo con sincera persuasione di coscienza, nessuno può affermare una superiorità oggettiva della sua religione sulle altre. Oppure lo possono affermare tutti. Siamo consapevoli della difficoltà che incontriamo per esprimere in modo preciso questa nostra convinzione. Ma non diciamo questo sulla base teorica di un relativismo assoluto, né per una diplomazia del dialogo puramente tattica, ma per il rispetto primario di ogni coscienza personale che cerca e coglie un raggio di luce e di bene.

    Dice Simone Weil che "ogni religione è l'unica vera", nel senso, ci pare di capire, che ogni persona che fa profonda "attenzione" a quella tradizione religiosa che ha ricevuto e che vive, lì trova veramente la verità che la salva, verità che non troverebbe in un'altra tradizione.

    Questo mistero intimo alle coscienze personali è la realtà religiosa concreta, ed è superiore ad ogni formulazione. Sappiamo bene che la religiosità, per non essere troppo vaga, ha normalmente bisogno anche di formularsi in credenze e dottrine, e di esprimersi in pratiche. Sappiamo che, in campo cristiano, la riflessione teologica sta cercando con impegno il modo di pensare insieme, poiché insieme vanno pensate, quelle due verità cristiane che sono la fede in Gesù Cristo come piena presenza di Dio tra noi, e la volontà di Dio che tutti gli uomini siano salvi, se vivono con volontà di bene sulla loro propria via religiosa.

    Desideriamo che la riflessione e l'esperienza dei cristiani continuino nella libertà e nella responsabilità su questo terreno del dialogo interreligioso e della "fecondazione reciproca" (Raymond Panikkar) tra le religioni.

    Nel nostro tempo, che vede troppi fenomeni di chiusura e di totalitarismo spirituale, gravidi di semi di inimicizia, il dialogo e l'amicizia interreligiosi sono una delle realtà più positive e promettenti, da incoraggiare e promuovere con sapienza.

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    "Il Dialogo - Periodico di Monteforte Irpino" - Direttore Responsabile: Giovanni Sarubbi

    Registrazione Tribunale di Avellino n.337 del 5.3.1996