La Cina si avvicina e il Concilio si allontana

di Fulvio Fania (Liberazione 7/7/2007)

Città del Vaticano
La Cina si avvicina e il Concilio si allontana. Da un lato la liberalizzazione della messa tridentina, dall’altro la lettera del Papa ai cattolici cinesi. Il primo è un decreto di restaurazione, ammantato di "pluralismo liturgico" o addirittura vantato dai filo-lefebvriani come prova di "democrazia" nella chiesa; l’altra è invece un’abile e coraggiosa mossa di nuova Ostpolitik, come al tempo della Cortina di ferro in Europa, stavolta puntata verso il gigante asiatico. Ratzinger porta così a compimento due atti che, oltre a marcare il suo pontificato, produrranno effetti anche dopo. Entrambi sono costati opposizioni e diffidenze interne di diverso segno. Tanto che la messa in latino sarà libera solo a partire dal 14 settembre. Stamattina il Vaticano pubblicherà il "Motu proprio" annunciato la settimana scorsa. Oltre al decreto sarà resa nota la spiegazione del Papa, non meno importante per comprendere fin dove si spinga la "interpretazione" ratzingeriana del Concilio Vaticano II, in aperta e perfino infastidita polemica contro quelli che ritiene "abusi" liturgici, ovviamente troppo progressisti, seguiti alla riforma del 1970. In gioco, ovviamente, non c’è solo la qualità dei riti ma della chiesa intera.
La lunga missiva ai cinesi è nota invece da sette giorni e ciononostante le reazioni della Repubblica popolare sono scarse e non particolarmente polemiche. «Buon segno», commenta il cardinale Joseph Zen, vescovo di Honk Kong, città a statuto speciale della Cina, uno che non risparmia attacchi al governo. Le autorità conoscevano il testo della lettera già da dieci giorni. La Santa sede si è preoccupata così tanto delle esigenze della diplomazia che ha finito per divulgare a tutti questo importante documento sabato scorso,
scontando lo sciopero dei giornali italiani.
Se i governanti sono avari di reazioni, malgrado abbiano fatto sparire la lettera dai siti internet, vuol dire che l’iniziativa decisa da Benedetto XVI in un summit di prelati a gennaio potrebbe davvero dare frutti nelle relazioni tra il Vaticano e la Repubblica popolare. Sì, perché il Papa l’ha definita proprio con il suo nome mentre una nota ufficiosa si è premurata di ricordare che da tempo la Santa sede è pronta a trasferire il nunzio da Taiwan a Pechino «in qualsiasi momento» in caso di accordo con la grande Cina. Ratzinger ha riproposto con toni concilianti l’obiettivo politico di un’intesa che regoli anche la vita della chiesa in Cina e ha riconosciuto perfino il diritto dello Stato a «concedere il riconoscimento» ai vescovi considerando gli aspetti anche «civili» della loro attività. Angelo Lanzarotto, missionario del Pime esperto di Cina, ha riferito inoltre che una delegazione cinese si è recata in Vietnam per studiare il meccanismo adottato in quel paese: è il Papa che nomina i vescovi ma la terna delle proposte viene sottoposta al gradimento dello Stato. Nella lettera Ratzinger ha osservato che «la pesante situazione di malintesi e incomprensione non giova né alle Autorità cinesi né alla Chiesa in Cina», perciò «la soluzione dei problemi non può essere raggiunta in un permanente conflitto» e la Chiesa non intende fare politica ma chiede allo Stato «un’autentica libertà religiosa». Ci vorrà tempo, ammette il Papa.
Finora l’unica reazione del governo è contenuta in cinque righe del portavoce del ministero degli esteri Qin Gange. «Spero che il Vaticano adotti un atteggiamento realista e non crei nuovi ostacoli», ha dichiarato aggiungendo le solite due condizioni per la trattativa formale con Oltretevere: rottura diplomatica con Formosa e non ingerenza romana nella scelta dei vescovi. La prima richiesta è ormai un falso problema. Ecco perché il Papa ha usato il suo documento per affrontare soprattutto il secondo aspetto della contesa, che non scotta soltanto nei rapporti con Pechino ma anche nei «contrasti» interni agli 8-12 milioni di cattolici cinesi.
Una decisione in particolare allarma una parte del clero. Il Papa ha revocato infatti tutte le disposizioni segrete che consentivano ai vescovi della chiesa "sotterranea", quella fedele a Roma, di ordinare altri prelati alla guida di diocesi vacanti, senza il preventivo avvallo del pontefice. Tredici regole straordinarie giunte in Cina dalla Congregazione per l’evangelizzazione al tempo della rivoluzione culturale e mai gradite dall’altra chiesa, quella riconosciuta dallo Stato e sottoposta al controllo dell’Associazione patriottica. In realtà nella maggior parte delle diocesi le due comunità si stanno integrando ma lo scontro tra vescovi che hanno subito il carcere e altri riconosciuti dallo Stato ha lasciato un pesante strascico. Ora il Papa invita tutti a «perdonare» e a trovare «comunione», si rivolge ad un’unica chiesa non distinguendo tra sotteranea e ufficiale e riconosce i sacramenti celebrati anche dai vescovi "illegittimi", sia dalla maggioranza di loro che una volta ordinati senza l’investitura papale si sono dichiarati segretamente fedeli al papa, sia coloro che si riconoscono nell’Associazione patriottica. Questa struttura è il vero pomo della discordia. In Vietnam non esisteva nulla di simile. In Vaticano sostengono che l’opposizione ad un accordo provenga proprio dalla burocrazia di quella istituzione che il Papa reputa «inconciliabile». Perciò Ratzinger, puntando al dialogo con il governo, ha spiegato le ragioni «teologiche» per cui i vescovi devono essere scelti dal papa. Anche il vicepresidente dell’Associazione Lui Bainian ha reagito con una certa prudenza alla lettera riconoscendone la novità ma confermando che i cinesi continueranno a nominare nuovi vescovi. La partita si gioca in questi anni, in molte diocesi manca il capo o è molto anziano. Chi nomina per primo si conquista una pedina nella complicata e talvolta drammatica dama dei cattolici in Cina e potrà farla valere nella grande trattativa tra Roma e Pechino.
------------------
07/07/2007 - da Liberazione - http://www.liberazione.it/



Domenica, 08 luglio 2007