La settimana politica irpina
Da Nusco a Ceppaloni.

di NINO LANZETTA

L’ampia ed eterogenea coalizione, che va sotto il nome di Unione, è fallita per ragioni che sono sotto gli occhi di tutti rendendo impossibile la sua riedizione. Si volta pagina. L’equilibrio tra il moderatismo e la sinistra cd. radicale è saltato per la mancanza di un percorso veramente condiviso e un programma di graduale riformismo accettato. La mediazione perpetua, la ricerca ostentata di visibilità dei piccoli partiti, la rissosità (Di Pietro/Mastella soprattutto), il tentativo di Rifondazione Comunista di cavalcare il movimentismo, e di essere, allo stesso tempo, partito di governo e di lotta, l’incapacità di saper comunicare i risultati ottenuti, hanno appannato, fino a farli scomparire, gli indubbi successi del Governo (nel risanamento dei conti pubblici, nel recupero dell’avanzo primario, nel calo dell’inflazione e nell’aumento del PIL e delle esportazioni) che gli hanno attestato i maggiori istituti europei di rating e la stessa Comunità.
Prodi, non immune da colpe per aver, troppo supinamente, accettato di formare un’ampia compagine governativa e di aver subito l’indulto e di non osato di più sul taglio della spesa pubblica e sulla riduzione dei privilegi della “casta”, ha dovuto, alla fine, gettare la spugna pugnalato da Mastella e Dini, notori trasformisti. L’impossibilità di formare ancora coalizioni eterogenee e la necessità primaria di modificare l’attuale legge elettorale, che quest’eterogeneità ha accresciuto, giustificano ampiamente la richieste del partito democratico di procedere alla costituzione di un Governo istituzionale che dovrà porre mano ad una nuova legge elettorale e a nuovi regolamenti delle Camere, prima di chiamare nuovamente il popolo alle urna.
In questo quadro si è innestato il trasformismo di Mastella. La paura che la nuova legge elettorale, che Veltroni stava faticosamente concordando con Berlusconi, avrebbe messo a nudo il potere d’interdizione dell’un per cento di Mastella che con veti e finti ultimatum, usufruiva di una rendita di gran lunga superiore ai voti ricevuti, ha finito per fargli fare di nuovo il salto del fossato, in attesa di tornare, novello figliuol prodigo, a casa di Berlusconi dal quale si era allontanato. Quanto alle sue doti di aspirante statista, che dire di un politico che, in senato, per indicare i motivi che lo hanno indotto al grande passo, a tradire il patto di lealtà stipulato con gli elettori e i vincoli in una coalizione, facendo cadere il Paese in una situazione difficilissima e pericolosa, molto irresponsabilmente, cita una poesia, impropriamente attribuita a Neruda, problematicamente esistenziale, che freudianamente bene gli si rivolta contro.”Lentamente muore/ chi diventa schiavo/ dell’abitudine,/ ripetendo ogni/ giorno gli stessi/ percorsi, chi non / cambia la marcia,/ chi non rischia e/ cambia colore dei vestiti…” E per non morire per effetto di una nuova legge elettorale, salta il fosso, cambia abitudini, colore politico, tradisce e pugnala gli amici e va dall’altra parte.
Da Nusco a Ceppaloni la distanza é poca ma il salto di qualità è infinito. Da De Mita ha imparato benissimo il modo di gestire il potere, ma poco, la scienza della politica, il modo di esercitare il potere come mezzo di realizzare, seppur con gradualità e mediazione, le aspettative della gente, di coniugare il senso dello Stato con il potere personale.
Mastella ha voluto mettersi in proprio e crearsi il suo feudo in quel di Ceppaloni per estenderlo poi, tramite le ramificazioni familiari e di amicizie, nel resto della Campania. La sua espansione elettorale è stata più il frutto di un paziente e spregiudicato uso dei posti di sottogoverno e di passaggi di personaggi politici da questo o quel partito, che una strategia politica che non ha saputo esprimere nulla di più di una generica dichiarazione di collocazione al centro, o di essere con il Papa.
Ora che ha determinato la caduta del Governo, e si è addossata la responsabilità del ritorno alle urne, in un momento che l’Italia sembrava avviarsi, seppur timidamente, alla normalità e al risanamento economico, Mastella rientra nel rango dei vassalli del grande affabulatore. Perde il potere d’interdizione e ritorna ad essere esecutore d’ordine. Conserverà il potere a Ceppaloni, dove sarà ancora considerato un Santo buono e non un ras di provincia, ma a Roma, dove il suo zero virgola, conterà come il due di briscola, si dovrà accodare alla lunga schiera dei cortigiani, “uso ad obbedir tacendo”.
A dimostrazione di questo teorema è recente la notizia che in Campania il senatore Mastella non ha intenzione di lasciare le Giunte locali, con gli annessi posti di sottogoverno, né quella regionale, dove continua a stare con il centro sinistra, in attesa di mantenerle anche in futuro, quando le nuove elezioni -come spera- sanciranno la vittoria dei nuovi compagni nazionali. E questo è il mastellismo.

NINO LANZETTA



Lunedě, 28 gennaio 2008