Personaggi politici dell'Irpinia
SULLO E IL CLIENTELISMO.

di NINO LANZETTA

E’ uscito in libreria il libro “Fiorentino Sullo: una biografia politica” di Nino Lanzetta edito dalla Elio Sellino editore. A seguito dell’uscita del libro si è venuto sviluppando un dibattito sulla figura dell’illustre uomo politico irpino, accusato da alcuni di aver praticato e usato, anche lui, un diffuso clientelismo. Lo scritto dell’autore,- che di seguito pubblichiamo- esprime il suo punto di vista sul fenomeno.
 
Si è detto e scritto che Fiorentino Sullo coltivò un potere di vaste clientele e si comportò come un ras locale, “ Uomo moderno quando è a Roma, diventa un altro uomo ad Avellino. E’ autoritario, impaziente, e muove le persone come le pedine” scriveva Piero Ottone in un reportage dall’irpinia del 1965, riscoperto e ripubblicato, oggi in occasione di un dibattito che si sta sviluppando sulla figura, mai dimenticata dell’illustre politico.
Che Sullo abbia utilizzato un certo modo il clientelismo, per rafforzare la sua azione politica, come tutti quelli che facevano politica allora, è un fatto incontrovertibile. Che il suo potere e la sua azione politica si sia basata sull’uso del clientelismo e che sia stato il politico delle clientele, è una non verità storica. Il clientelismo, purtroppo, è una prassi antica che continuano a praticare, in una forma ancora peggiore e più ingiustificata, oggi. Fiorentino Sullo non può essere ricordato come il politico delle clientele né come un dispotico ras locale, per motivi facilmente comprensibili a chi esamini la sua azione politica inquadrandola nel contesto storico, temporale e socio-economico del Sud, ed in particolare della Campania, ed a maggior ragione, di una zona interna come l’Irpinia.
Vediamo perché. In primo luogo si deve tener presente la realtà irpina, che era fatta di povertà di risorse economiche e di strutture, ma anche di povertà di vita civile. Rappresentava un sud nel sud ed il clientelismo e il trasformismo imperavano sovrani. Dorso parlava di “feudalesimo burocratico”. In Ruit hora scriveva: “… la nostra dolce terra …. continuerà il suo martirio a seguito della tradizionale miserabile classe politica meridionale.” E auspicava la nascita dei famosi cento uomini d’acciaio capaci di spazzarla via. Questa era l’Irpinia in quegli anni, arretrata, in gran parte analfabeta, monarchica, povera e stracciona, nella quale il potere clientelare era l’unico metro della politica e dell’intera classe dirigente e padronale. In questo contesto – nel quale pure spiccavano uomini del valore di Dorso, Muscetta, De Capraris, Maccanico– la cultura aveva scarsissimo peso perche, come la ricchezza, era di pochi fortunati, per di più, isolati e lontani dal potere. In questo ambiente, il giovanissimo Sullo operò una vera e propria rivoluzione. Prima facendo una memorabile campagna, quasi solitaria, a favore della Repubblica e poi rinnovando completamente una nuova classe politica , giovane, colta e moderna, “imponendola” alla maggioranza, riottosa e gelosa delle proprie prerogative.
 C’è da domandarsi se questo poteva farlo solo con la forza delle idee e non ricorrendo anche e con finalità giustificate all’uso del potere.  Occorre riflettere se il clientelismo, che egli sicuramente praticava – soprattutto all’inizio della folgorante carriera politica- era fine a se stesso e non mezzo per poter affermare le sue idee e le proposte politiche. E se, in quel contesto, se ne sarebbe potuto fare a meno. E se non fosse, dati i tempi e l’assenza della televisione e della pubblicità, anche una sorta di anticipazione di quello che oggi si chiama marketing, fatto con le possibilità di allora e senza i mezzi tecnologici e di finanziamento di oggi. Lo stesso Ottone ricorda, nel suo articolo citato, che l’on.le Sullo “Quando un amico gli dice che vorrebbe presentarsi candidato solo in un ambiente diverso, con un elettorato più evoluto, gli risponde: allora non ti presenterai mai!” Ciò conferma la convinzione nel politico di una certa ineluttabilità del fenomeno del clientelismo e della sua presumibile durata. Infine c’è da domandarsi che tipo di clientelismo era il suo e se lo ha praticato per rimanere sulla scena politica e se, con la sua uscita di scena e la presa del potere locale da parte dei suoi avversari, giovani, colti e moderni, è diminuito o, invece, si è fortemente dilatato, fino a divenire asfissiante, cinico e totalizzante.
Il clientelismo viene da lontano, dei romani, dai quali il termine ha luogo. Il cliens era lo schiavo liberato, il liberto che usufruiva dei “favori” del dominus al quale rimaneva legato da vincoli di fedeltà, di riconoscenza e di servizio. In politica il clientelismo si sostanzia nella creazione di un rapporto di fedeltà e di riconoscenza – da ricambiare con il voto – per i favori ottenuti. Tali favori possono andare da una semplice e talvolta ininfluente raccomandazione, ad una nomina politica, all’offerta di un posto di lavoro, di una consulenza, di un appalto pubblico. Al politico l’uso del potere e della sua influenza politica per avvantaggiare l’elettore del suo collegio elettorale, a quest’ultimo la servizievole collaborazione ed il voto. Oggi il clientelismo si è perfezionato, ha modificato completamente lo stesso modo di fare politica. Le nomine degli amministratori degli Enti pubblici e parapubblici e le stesse assunzioni dirette nella pubblica amministrazione per chiamata diretta, soprattutto nei posti di comando creano un rapporto di fedeltà al politico ed al partito per cui la stessa gestione cui sono preposti viene esercitata, spesso, più nell’interesse politico da salvaguardare che in quello dei servizi da assicurare. Nella sanità la stessa legislazione ha riservato proprio ai politici la nomina dei manager con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. 
Se il clientelismo si connota con i caratteri che via via ha assunto nella spartizione del potere mediante l’uso del controllo con la nomina di propri “fedeli”, si può tranquillamente affermare che Sullo ha praticato un clientelismo ante litteram. La battaglia tra Caldoro e De Mita (PDL e UDC), sulla nomina degli amministratori delle ASL campane, alla quale abbiamo assistito, non era la prassi dei tempi di Sullo. Il clientelismo era visto quasi come un collante sociale dei partiti di massa su basi ideologiche. La Dc aveva il suo bravo clientelismo di proselitismo, il PCI le sue sezioni, vere e proprie cellule ideologiche e di propagazione delle idee. La pratica del clientelismo negli anni cinquanta/sessanta era anche un mezzo per farsi conoscere, per instaurare un rapporto con i propri elettori, un modo per avere il polso della situazione e dei bisogni, un’autopromozione. Sullo ha rappresentato tutto questo. I suoi telegrammi, ai sindaci o ai segretari si sezione, che annunciavano finanziamenti per nuove opere (una nuova elettrificazione rurale, una fognatura o una fontana pubblica) sono rimasti “storici”, come il non sottrarsi alle innumerevoli richieste di fare il “compare” di matrimoni, battesimi e cresime. Lo schedario ( un armadio in ferro, di modeste dimensioni, come quelli in uso nei vari uffici di allora) che conservava la corrispondenza con gli elettori del collegio elettorale è rimasto leggendario. Ho avuto modo di leggerlo nei tempi morti di una delle ultime campagne elettorale mentre badavo alla sua segreteria. Fu una lettura molto interessante e, per certi versi, perfino stupefacente. Non veniva aggiornato da anni. Il che stava a significare la fine di una pratica che aveva rallentato man mano che la sua fama cresceva fino a cessare del tutto.
La lettura di quelle corrispondenze mi tenne inchiodato alla scrivania per intere giornate. L’umanità che ne veniva fuori, dolente, rispettosa e mai pietistica era pregnante. Scrivevano in molti: semplici elettori (che si rivolgevano a lui per farsi raccomandare pratiche di poco conto, di diritti quasi sempre dovuti da una burocrazia lontana e spesso ostile,  o solo per manifestargli la propria gratitudine per la segnalazione ottenuta), ma anche medici condotti, che segnalavano casi pietosi o di estrema povertà, parroci, sindaci, segretari di sezione, perfino marescialli dei carabinieri. Da quella lettura non appariva il potere politico delle clientele ma i molti bisogni di un elettorato povero e indifeso che credeva di trovare nel politico “amico”una sponda ed un aiuto. Quasi sempre Il tutto si risolveva in una “segnalazione” a chi di competenza, e la risposta che si inviava al richiedente. Tante le richieste anche singolari, come quella di un cantante alle prime armi, poi divenuto in seguito abbastanza conosciuto, che sollecitava un’audizione alla Rai, chiamandolo compare. Nella sua cartellina era conservato anche il suo primo disco, spedito al “compare” in segno di affettuosa riconoscenza. Anche questo era clientelismo, che al paragone di quello di oggi, fa sorridere.
Oggi, soprattutto nel Sud e nella nostra provincia le clientele si sono, per così dire, istituzionalizzate e divenute inscindibili con la politica. Come non ricordare che una delle colpe che i giovani democristiani, ribelli, guidati da Ciriaco De Mita, allora gli rimproveravano era appunto il suo clientelismo e l’arroganza de suoi comportamenti. Fa sorridere pensare a quello che poi e successo e quanto di degenerativo ne è venuto fuori dopo. La personalizzazione delle leadership, la fine delle ideologie, la frammentazione sociale e il deficit di legittimazione hanno finito per alimentare trame clientelari di ben altro spessore. Di concorsi pubblici per accedere a tutti i gradi delle amministrazioni pubbliche, manco a parlarne. La chiamata diretta o, al massimo, il concorso pilotato è ormai l’unico modo per accedervi. Il clientelismo, poi, è tipico anche delle civiltà più avanzate e lo stesso spoil system ( ricambio di tutta la burocrazia da parte della nuova maggioranza, tipico degli Usa) ne è il corollario naturale. I “nominati” al parlamento, emarginati dal processo politico, si dedicano in misura prevalente ad un’attività di mediazione capillare, affaristica e quindi clientelare, fra i vertici della gerarchia amministrativa, gli amministratori ( Regioni, province e comuni) e i privati che contano ( imprenditori, uomini d’affari ma anche faccendieri spregiudicati) come la cronaca di questi giorni sta ampiamente dimostrando. Con l’aggravante che questo tipo di clientelismo finisce per intaccare perfino la solidarietà sociale e il welfare. Il modo di selezionare la classe dirigente con la conseguente spartizione del potere fanno impallidire l’onesto e rudimentale clientelismo di Sullo che era finalizzato più alla promozione e alla popolarità che al rafforzamento della sua posizione politica alla quale provvedeva con le idee ed i fatti. Non a caso amava connotarsi come l’uomo dei fatti che nascono dalle idee.
NINO LANZETTA


Marted́ 23 Novembre,2010 Ore: 12:16