Notizie dall’Irpinia - I personaggi
Giovanni Palatucci.

di NINO LANZETTA

Il libro del giornalista irpino dell’Avvenire Angelo Picariello “Capuozzo, accontenta questo ragazzo. Vita di Giovanni Palatucci” edizioni San Paolo, 2007 è una biografia attenta, puntigliosa e completa di Palatucci, che far rivivere i momenti bui della fine del fascismo, in una città di frontiera, Fiume, lasciata a se stessa e alle furie dei nazisti e dei fascisti da una parte e degli ustascia dall’altra. Tagliata fuori del Regno d’Italia dopo il 1943, con scarsi legami con la Repubblica di Salò, occupata dai tedeschi e con le istituzioni italiane esautorate, di fatto, fu annessa alla Germania nel novembre 1943 fu. In questo ambiente mitteleuropeo, del tutto dissimile dai luoghi di nascita, si maturò la vicenda umana di Giovanni Palatucci.
Si deve, però, soprattutto all’impegno e all’appassionata ricerca delle fonti, delle testimonianze, dei documenti, di Goffredo Raimo se oggi possiamo avere un quadro completo della vita e dell’attività del nostro eroe.
Il suo libro “A Dachau per amore, Giovanni Palatucci” la cui originaria edizione del 1988 è stata più volte integrata, è una fonte preziosissima alla quale hanno attinto un po’ tutti i biografi.
Giovanni Palatucci nacque a Montella (Av.) il 31 maggio del 1909. Cresciuto ed educato in una famiglia che praticava la religione in maniera convinta, due zii vescovi, un cugino sacerdote, alcune cugine suore, finì per diventare un cattolico di profonda fede. Dopo il liceo classico a Benevento, fece il militare a Moncalieri e si laureò in giurisprudenza, a Torino, nel 1932. Il 16 sett. 1936 fu assunto a Genova come vice commissario di pubblica sicurezza e, in conseguenza di un’anonima ed ingenua intervista ad un giornale locale, nella quale aveva affermato che le forze di polizia dovevano stare con e tra la gente, fu trasferito presso la Questura di Fiume il 15 novembre 1937 ove diresse la sezione stranieri. Negli anni del fuggi fuggi, fu vice questore dal febbraio 1944 e questore reggente dal marzo. E, anche se più volte aveva chiesto di essere trasferito, l’ultima volta nel marzo del 1941, ed aveva tentato più volte il concorso in magistratura, rimase a Fiume fino all’arresto del 13.9.1944. Ristretto nel carcere di Trieste fu condannato a morte e, a seguito della commutazione della pena nel carcere a vita , fu internato a Dachau dove trovò la morte 1l 10.2.1945, a pochi giorni dalla liberazione. L’ultimo a vederlo vivo fu il dott. Feliciano Ricciardelli, originario di Montemarano, capo dell’Ufficio politico della questura di Trieste, finito anche lui a Dachau con l’accusa di aver intrattenuto contati con il nemico, ma, in verità, anche lui per aver salvato molti ebrei. “Paisà anche tu qua?” gli disse Palatucci vedendolo in infermeria alla fine del 1944. Fu l’ultimo di coloro che lo conoscevano a vederlo vivo. Era ridotto proprio male, una larva d’uomo. Era solo la matricola 117826. Morì per i maltrattamenti ricevuti e colpito da un’epidemia di tifo petecchiale.
Era un giovane brillante, colto, elegante a cui non dispiaceva vivere bene. Sapeva muoversi fra le carte e le procedure. I superiori lo tenevano in conto e il questore si oppose al suo trasferimento, quando finalmente fu disposto da Roma.
Si dice che abbia salvato migliaia di ebrei, addirittura cinquemila. Si dice che costituì una pedina importantissima del “canale Fiume” che permise il salvataggio di moltissimi ebrei che venivano dai paesi confinanti, ed ai quali Palatucci forniva permessi di soggiorno o addirittura documenti falsi o ne disponeva l’internamento nel campo profughi di Campagna raccomandandoli allo zio vescovo di quella diocesi. Forse non era portato a fare l’eroe, né si hanno precise notizie sulle sue idee politiche. Non si conoscono le sue reazioni alle leggi razziali delle quali, ironia della sorte, un altro paesano, Preziosi da Torella, ne fu uno dei principali estensori. Però, è provato che, con l’avvento dei tedeschi in città, distrusse gli elenchi degli ebrei che era archiviato in questura e ordinò all’Anagrafe del Comune di comunicargli le richieste delle SS, per prevenirne gli effetti. Si muoveva nella convinzione di essere una creatura di Dio che operava tra altre creature di Dio, senza distinzioni di razza o di ceto. Ebbe una fidanzata ebrea, che voleva sposare e che salvò facendola riparare in Svizzera, pochi mesi prima della fine. Non volle seguirla nonostante le sue insistenze e l’invito e l’ospitalità offertagli dal Console svizzero.
Una volta ad un suo collaboratore affidò una signora, dicendo: “ Questa è la signora Scwartz. Trattala, ti prego, come se fosse mia sorella. Anzi, no: trattala come se fosse tua sorella, perché in Cristo è tua sorella.”. E questa, forse, è la più sicura chiave di lettura dei suoi comportamenti. Le ragioni dell’arresto sono da ricercare perché salvava gli ebrei o per l’azione clandestina in favore dell’autonomia di Fiume? Si dice che manteneva contatti con il Circolo autonomisti di Fiume e che gli fu consegnato un documento che avrebbe dovuto far recapitare agli alleati attraverso canali svizzeri. Effettivamente il suo Ufficio l’appartamento furono perquisiti dalle SS. Forse fu vittima di una delazione. Si ignora se il Palatucci avvertisse il pericolo che correva o si fidasse della buona sorte che aveva avuto fino ad allora. Poteva salvarsi se solo lo avesse voluto! La Svizzera era vicina, e certo non gli mancavano occasioni ed amicizie!
Agli ebrei si deve il primo riconoscimento dell’eroismo di Palatucci. Il 10 agosto 1952 il giornale israeliano “Haboker” pubblica “L’opera di salvataggio del Vaticano per gli ebrei”in cui si fa esplicito riferimento a Giovanni Palatucci e alla sua opera di protezione e di salvataggio degli ebrei. Nel 1953 la città di Ramat Gan, nei pressi di Tel Aviv, dedica alla sua memoria una strada, piantando 36 alberi quanti gli anni della sua vita. Nel 1955 fu proclamato Giusto fra le nazioni e piantata un bosco in una collina della Giudea che porta il suo nome. E’ ricordato nel viale dei Giusti delle nazioni. Il 17 aprile dello stesso anno l’Unione delle comunità ebraiche in Italia gli concesse una medaglia d’oro alla memoria.
L’Italia si è mossa con molto ritardo e dopo ridicole pastoie burocratiche. Solo nel 1995, su iniziativa della polizia italiana, il Presidente Scalfaro gli concesse alla memoria una medaglia d’oro. Nella questura di Avellino, che è situata nella strada che porta il suo nome, è conservato un dipinto che lo ritrae, opera di un famoso pittore israeliano. Gli sono state intitolate numerose strade, piazze. Nel 2000 è stato riconosciuto servo di Dio ed è stato dato inizio al processo di beatificazione la cui fase preparatoria è stata conclusa di recente e si è nella attesa della proclamazione della sua santità.
Quali conclusioni?
Palatucci eroe per forza? Eroe modesto? Eroe per caso? Eroe cosciente? Eroe santo? Ma, soprattutto, come ha potuto fare quello che ha fatto in un contesto difficilissimo, di frontiera, con tanto pericolo incombente ed in un covo di fascisti convinti? E, infine, poteva farlo da solo?
Si è parlato di canale fiumano intendendo quel complesso di relazioni, solidarietà, unità d’intenti, che andava dall’asse Fiume/ Campagna, ove operava suo zio, il Vescovo Giuseppe Maria ai collaboratori fidati ed ai colleghi come il dott. Feliciano Ricciardelli che operava a Trieste, dalle Chiese e dalle parrocchie dei paesi vicini alla II armata alleata del ten.col. Bertone.
Picariello annota nel suo libro: “Naturalmente un’opera eroica come quella di Palatucci sarebbe stata inefficace se non ci fosse stata una rete a supportarlo, se non si fosse messo in relazione con altre persone come lui caricate di compiti istituzionali, come lui capace di privilegiare le ragioni della carità rispetto all’ottusa obbedienza alle disposizioni”.
Ma. forse, tra i tanti, colpisce nel segno il giudizio, che diede di lui suo zio, il vescovo di Campagna, che lo definì “ un coerente cristiano con una fervente e granitica fede cattolica, mutuata dal sano ambiente familiare, spinto ad operare per il bene degli ebrei dalla carità di Cristo, senza curarsi dei pericoli. E l’altro suo zio, il mons. Ferdinando Palatucci, “ Per chi ha come regola di vita di fare il meno che si può, Giovanni Palatucci fu un imprudente, un temerario; per chi vive la vita astutamente fu addirittura uno sciocco; per chi crede ancora nei valori spirituali fu un eroe e un martire”
Per lo storico e scrittore ebreo Paolo Santarcangeli: “ Giovanni Palatucci era solo un piccolo commissario di pubblica sicurezza. Non aveva la vocazione dell’eroe: ma era un uomo pietoso. Furono i tempi a farne un eroe”.
C’è anche, però, chi ha cercato di storicizzarne la figura e l’opera. Lo scrittore e storico Marco Cosslovich, esperto di ebrei e di storia di Fiume, in una giornata di studio, organizzata ad Avellino dall’Osservatorio politico-sindacale “Gaetano Vardaro” il 20 dic. 2001 si domanda: ”Fu Giovanni Palatucci un organizzatore di salvataggi degli ebrei perseguitati dalle leggi razziali? Risposta: aiutò, per personale umanità, diversi ebrei in difficoltà, ma che fosse un organizzatore di salvataggi di ebrei, allo stato attuale, resta ancora da dimostrare. L’uso pubblico che del suo ruolo in quanto “eroe” viene fatto, è giustificato? Non è giustificato. C’è anzi il rischio di un uso apologetico e fuorviante del ruolo che ha effettivamente svolto” ( Giovanni Palatucci: un eroe modesto in “ Giovanni Palatucci. La scelta, le differenze” a cura di Luigi Parente e Francesco Saverio Festa - Mephite, 2004) E ancora: “ La cortesia, l’umanità e il soccorso prodigati da Palatucci, non possono andare confusi con l’immagine di un organizzatore indefesso di salvatore di ebrei, che avrebbe agito con grave rischio personale sfidando la legge che era chiamato ad applicare. Palatucci non fu tanto, ma semplicemente molto di più. Fu un eroe modesto, che agì per impulso, in modo assolutamente estemporaneo. I suoi sostenitori non sembrano rendersi conto che in realtà sono i limiti che lo esaltano non le sperticate esaltazioni”.
Palatucci fu un martire ed un eroe?
Certamente in un periodo nel quale ognuno si arrangiava per aver salva la vita, continuò a fare il suo dovere da uomo delle istituzioni e da cristiano fino al sacrificio della vita! Salvò cinquemila ebrei? Ne salvò meno? Non è un problema di numeri. Resta un esempio fulgido della storia della quale, noi come figli di quell’irpinia gli diede i natali, ne andiamo fieri!

NINO LANZETTA



Lunedì, 19 novembre 2007