Notizie dall’Irpinia - I personaggi
Francesco De Sanctis

di NINO LANZETTA

In un ipotetico Pantheon irpino Francesco De Sanctis merita il posto d’onore. Non solo per la sua cultura e per aver rivoluzionato la metodologia della critica letteraria - ragione per la quale è considerato un mostro sacro- ma anche per il suo impegno sociale e politico, per la sua statura profondamente etica e per la sua poliedrica personalità di Maestro, educatore, politico e patriota.
Per i più è ancora un irpino da rileggere e rivalutare. Le sue scelte politiche, la sua azione riformatrice in campo amministrativo ed economico, l’esigenza, avvertita e praticata attraverso l’insegnamento, della formazione di una classe politica meridionale, la necessità di un’educazione nazionale, la coscienza di uno Stato libero dall’ingerenza religiosa, ne fecero un personaggio d’assoluto rilievo nazionale, ma in parte anche scomodo.
L’ethos della sua personalità e la carica morale accompagnarono ogni sua attività. Come scrive il prof. Iermano “… non volle mai disgiungere il suo lavoro di critico letterario da quello di uomo, ossia non separò mai la scienza dalla vita, il realismo dall’ideale.”
Come critico letterario stabilì il legame tra contenuto e forma, ricostruendo il mondo culturale e morale nel quale erano nate le grandi opere del pensiero. La sua fu una critica militante e una battaglia culturale intesa a superare il distacco tra l’artista e l’uomo, tra la cultura e la vita nazionale, tra la scienza e la vita.
Come politico, ancora oggi la sua figura non è completamente rivalutata come merita. Eppure fu un protagonista di assoluto riguardo dei primi anni del giovane regno d’Italia e un patriota risorgimentale.
Dapprima sostenitore della destra moderata se ne distacco man mano divenendo un propugnatore della sinistra democratica e costituzionale. Fu un liberal democratico o, come amava definirsi, un politico di centro sinistra. “ Sotto le varie forme della mia esistenza sono stato sempre centro sinistra o sinistra moderata così in politica come in arte.” Possiamo affermare che è stato il primo politico irpino di centro sinistra.
Per incarico di Garibaldi fu governatore di Avellino ed in tale veste firmò il proclama per il referendum di annessione al Regno d’Italia del 16 ottobre 1860. Fu deputato e più volte ministro della Pubblica Istruzione con i Governi Cavour, Ricasoli e Cairoli. Favorì l’ammodernamento dell’amministrazione scolastica e la promozione della cultura e, pur essendo anticlericale, l’insegnamento religioso nelle scuole. Si attivò anche per la costituzione della Scuola di viticoltura ed enologia di Avellino che, trasformata poi in istituto agrario, porta oggi il suo nome.
Aveva un concetto alto della politica intesa come servizio e come impegno morale in difesa di valori riconosciuti e interessi generali. Non si esprimeva in “politichese” ed aveva il coraggio delle proprie idee “dicendo la mia opinione sinceramente quando anche possa dispiacere” scriveva. Oggi sicuramente non avrebbe condizionato la sua azione politica ai sondaggi!
Eppure anche allora certa politica era “ pretesto per altri interessi”. Combatté il trasformismo come fonte di corruttela.
Intorno alla sua candidatura nel collegio di Lacedonia fu “inalberata una bandiera di moralità. “Io voglio essere il deputato di tutti.” Un viaggio elettorale).
Fu un patriota. Partecipò con i suoi discepoli, dei quali uno perse la vita, ai moti insurrezionali di Napoli del 1848. Per questo perse l’insegnamento, fu ristretto in carcere per alcuni anni e fu esiliato. Riparò a Torino dove partecipò alla vita culturale collaborando a vari giornali e insegnando. Ebbe una cattedra al Politecnico di Zurigo dove conobbe Mazzini. In carcere la lettura di Hegel lo trasformò facendogli maturare una moralità “eroica” o “alfieriana”, e una concezione del divenire della storia e della struttura dialettica della realtà.
Fu un educatore ed un maestro. Insegnò per tutta la vita, da ultimo all’università di Napoli, mai venendo meno a questa sua funzione. La sua scuola fu palestra di cultura, di moralità e di vita! I suoi alunni migliori, gli “eletti” come li chiamava sull’esempio del Puoti, sedevano ai primi posti “ai banchi d’innanzi”. Perché “ …la scuola è presentimento della società, che quei primi banchi erano pronostico degli alti posti sociali a cui salgono i più degni, dei quali gli altri sono come il corteggio od il coro”( La giovinezza). Nel Discorso ai giovani manifestava un’ansia straordinaria di progresso intellettuale e morale.
Era innamorato della sua Irpinia e Morra fu sempre la sua patria, che non aveva, però, confini. “Morra di sera è un bello vedere, massime chi lo guardi da lungi e dall’alto… non c’è quasi casa, che non abbia il suo bello sguardo, e non c’è quasi alcun morrese, che non possa dire: io posseggo con l’occhio vasti spazii di terra” (Un viaggio elettorale).
Nostalgia per la sua terra e per la fanciullezza, durata così poco. Amore per il prossimo e per l’Irpinia da Rocchetta “la poetica” a Bisaccia “la gentile”, da Calitri “la nebbiosa” ad Andretta “la cavillosa”, a Sant’Angelo tutt’uno con Morra, ad Avellino e a tutti i luoghi della sua infanzia.
La vita del De Sanctis andrebbe, oggi, insegnata in tutte le scuole!

NINO LANZETTA
glanzetta@tin.it



Martedì, 13 novembre 2007