Notizie dall’Irpinia - Dibattito
De Mita e la nuova classe dirigente.

di NINO LANZETTA

E’ giunta, ormai, a termine la vicenda della candidatura al coordinamento regionale del nuovo Partito democratico con la rinuncia dell’On. De Mita senza che essa - pare - abbia lasciato particolari strascichi nella nostra provincia. Naturalmente la brutta abitudine di voler scegliere ed imporre i candidati resiste ad ogni tentativo di rinnovamento ed agli inviti di Veltroni che manda in Campania un suo messo per porre fine alla lotta fratricida di tre candidati che si presentano. Separati e divisi, in suo nome.
Due notizie, però, a margine di questa vicenda ci sembrano degne di un’ulteriore riflessione.
La prima: De Mita ha ripetuto di voler candidare le sue idee e un suo progetto alla formazione del nuovo partito.
La seconda: Veltroni, sicuro segretario nazionale del nuovo partito, ha invitato il vecchio leader di Nusco a dedicarsi alla formazione dei giovani per favorire una nuova classe dirigente. Pensava forse alle gloriose scuole di partito degli anni cinquanta e sessanta delle quali, forse, oggi se ne rimpiange l’assenza.
In un panorama di approssimativa cultura politica - nel quale funzionari alle vendite di prodotti commerciali diventano politici, e nel quale il messaggio televisivo politico ha preso il verso di quello commerciale- si sente l’assoluta necessità di una vera formazione politica e di una preparata classe dirigente
La cultura in generale, nel nostro paese, devastata dal facile nozionismo e dalla conoscenza approssimativa dei problemi, ha toccato punti davvero inquietanti se il ministro Fioroni ha ritenuto di invitare il mondo della scuola a tornare alle tabelline ed alla grammatica!
In Irpinia, poi, di classe dirigente colta, professionalmente preparata, dignitosamente autonoma che non sia opzionata per il solo requisito della fedeltà c’è assoluto bisogno.
Dopo la rivoluzione di Sullo, che inventò letteralmente una nuova classe politica e favorì l’inserimento nelle Amministrazioni statali e locali di dirigenti capaci e colti, è subentrata una stasi che dura da decenni.
Sulla breccia sono ancora i vecchi pupilli di Sullo: dallo stesso De Mita a Mancino, da Gargani a Zecchino, da Bianco al giovane Rotondi, ultima sua creatura. Altri sono fuori, ahimé, solo per l’età: Agnes, Aurigemma, Salverino De Vito…
Oggi più che di classe dirigente, gli esperti parlano di élite , che appare in termine più appropriato per raffigurare una concentrazione di potere in poche mani. “ Il termine élite denota la vocazione del potere a mantenere lo status quo e quindi una distanza della società dei pochi dalla società di massa.” (’Elite e classi dirigenti in Italia - Carboni- Laterza 2007).
Le élite sono staccate dal resto del Paese, sono, per lo più, autoreferenziali, non hanno la visione del cambiamento e del futuro e sono portate, nel più dei casi, ad un “individualismo amorale”.
In genere la nostra classe dirigente è maschile all’80%, vecchia (over 65), provinciale, con pochissimo ricambio. Il Sud, e la nostra provincia in particolare, è drammaticamente indietro soprattutto perché ha una classe dirigente più statica, meno autonoma dai partiti politici, fatta più di burocrati che di tecnici.
Anche per questo i politici hanno perso un contatto diretto con la gente e con i loro problemi reali.
Un politico della cultura storico-politica e dalla forte personalità ed esperienza come Ciriaco De Mita - che è stato un protagonista, nel bene e nel male, della storia del nostro Paese degli ultimi trentacinque anni- ed ha segnato le sorti della nostra provincia, dovrebbe finalmente fare a meno di gestire direttamente il potere, totale nella ns. provincia, e limitarsi ad offrire un contributo notevole alla formazione dei giovani quadri e a favorire il cambiamento arrivando alla graduale destrutturazione di un sistema di potere, che oggi mostra evidenti crepe e impedisce, di fatto, un ordinato sviluppo economico e culturale.



Lunedì, 17 settembre 2007