Spiacevole episodio a Venezia
Giocando sulle parole non si fa ecumenismo

di FEDERICA AMBROSINI

«DIO, Padre di noi tutti (...) noi ti preghiamo: affretta l’ora in cui tutte le chiese si riconosceranno nell’unica comunione da te voluta e per la quale il tuo Fi­glio ti ha pregato nella po­tenza dello Spirito Santo». Questa, secondo il testo di­stribuito ai presenti (e redat­to da un gruppo di cattolici), la preghiera di intercessione prevista per l’incontro ecu­menico di preghiera ospitato nella basilica veneziana di San Marco venerdì 19 gen­naio, nell’ambito della Setti­mana di preghiera per l’unità dei cristiani. Sorpresa: nel leggere ad alta voce il testo della preghiera, il patriarca Angelo Scola sopprime di propria iniziativa il termine «chiese» per sostituirlo con «comunità ecclesiali». Per evitare, ovviamente, un im­plicito riconoscimento della dignità di «chiese» anche alle «comunità» nate dalla Rifor­ma protestante.

L’episodio ha suscitato sconcerto e amarezza in molti tra i cristiani, cattolici compresi, riuniti per l’occa­sione nella basilica marcia­na. Se, infatti, la puntualiz­zazione del patriarca appare ineccepibile dal punto di vi­sta dell’ecclesiologia cattoli­ca, è pur vero che, nella sua pluridecennale tradizione, l’ecumenismo veneziano si era sempre distinto - anche e forse soprattutto da parte cattolica - per la carica vera­mente profetica che anima­va i suoi testimoni, e che tro­vava riscontro anche in una prassi lessicale improntata a rispetto reciproco. In osse­quio a una delle norme basi­lari del dialogo ecumenico, si evitava di etichettare l’in­terlocutore secondo i propri preconcetti. Fino a un recen­tissimo passato, insomma, la puntigliosa quanto gretta - e, per gli evangelici, franca­mente offensiva - distinzio­ne chiese/comunità eccle­siali sarebbe stata inconce­pibile, soprattutto in un in­contro di preghiera, nel mondo ecumenico venezia­no: il primo in Italia, tra l’al­tro, ad avere promosso l’isti­tuzione di un Consiglio loca­le delle chiese cristiane (del­le chiese, si noti, non delle comunità ecclesiali).

Sarà naturalmente questo Consiglio a riflettere sull’ac­caduto nello spirito di un sincero desiderio di chiarez­za, non di sterile polemica. È importante, tuttavia, evitare che l’incidente venga ridotto alla stregua di una semplice violazione del galateo ecu­menico. Episodi come que­sto altro non fanno che con­fermare l’irrilevanza, a livel­lo nazionale, delle nostre chiese. Una irrilevanza già più volte segnalata e deplo­rata sulle pagine di Riforma (si veda, per quanto riguar­da l’informazione televisiva, il recente articolo di Paolo Naso nel n. 5 del settimana­le), ma sulla quale dobbia­mo interrogarci in modo più radicale di quanto abbiamo fatto finora.

La nostra invisibilità in Ita­lia non può essere attribuita sempre e soltanto agli «altri»: a una radicata tradizione culturale, all’invadenza della chiesa cattolica, alla pigrizia e alla distrazione dei mezzi di comunicazione. Siamo noi stessi a renderci irrile­vanti e invisibili, appagan­doci della nostra stanca rou­tine quotidiana. Stiamo fer­mi: il che, nella situazione attuale, equivale a condan­narci a morte. Sarebbe ora che cominciassimo a dare qualche segno di vita. Que­sto non significa darci a un attivismo sfrenato nella spe­ranza di conquistarci qual­che brandello di spazio e un minimo di visibilità. Signifi­ca impegnarci a fondo, sen­za improvvisazioni, senza frenesie, ma con calma tena­cia, per farci conoscere per ciò che siamo: cercando di dissipare almeno in parte l’enorme ignoranza che tut­tora avvolge, in Italia, tutto ciò che ha a che fare con il mondo della Riforma. Pro­ponendo un modo di essere cristiani diverso sotto molti e importanti aspetti, pur con­dividendone i presupposti fondamentali, da quello cat­tolico. Portando chiarezza, ed esigendo chiarezza.

Questo obiettivo si può realizzare in molti modi, a seconda delle situazioni lo­cali. Venezia, in particolare, continua a configurarsi co­me un laboratorio privilegia­to sotto questo aspetto. L’impronta agguerrita e ma­nageriale che il patriarca Scola ha impresso all’istitu­zione cattolica veneziana rappresenta una sfida da raccogliere con competenza e determinazione. All’inter­locutore evangelico si richie­dono solidità culturale, fer­mezza e insieme costante apertura al dialogo, inventi­va (soprattutto sul piano ecumenico, creando occa­sioni di incontro e collabora­zione al di là delle scadenze obbligate). E capacità di ac­coglienza. Quando usiamo questa espressione siamo so­liti riferirci ai problemi con­nessi agli immigrati; ma que­sto ci porta a trascurare i tanti italiani «in ricerca», che potrebbero trovare la rispo­sta alle loro necessità spiri­tuali nelle nostre chiese, se solo esse si mostrassero più attente, più sensibili, più pronte all’ascolto. Soprattut­to, più credenti: credenti nel­la realtà di quanto viene an­nunciato dai pulpiti tutte le domeniche. Dotate di mag­giore carica spirituale. Di maggiore coerenza cristiana.

Il presente articolo è tratto da Riforma - SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI Anno 143 - numero 12 - 23 Marzo 2007. Ringraziamo la redazione di Riforma (per contatti: www.riforma.it) per averci messo a disposizione questo testo



Giovedì, 22 marzo 2007