Agenzia NEV - SPECIALE: Terza Assemblea ecumenica europea
(Sibiu, 4-9 settembre 2007)

Luca Maria Negro: “Sibiu: la voce plurale del popolo di Dio”

a cura di Gaëlle Courtens

Roma (NEV), 12 settembre 2007 – Si è conclusa domenica 9 settembre a Sibiu in Romania la Terza Assemblea ecumenica europea (AEE3), grande evento ecumenico organizzato dalla Conferenza delle chiese europee (KEK) e dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa (CCEE) sul tema "La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento ed unità in Europa". Sibiu è finita, e l’ecumenismo? Lo abbiamo chiesto a Luca Maria Negro, segretario per le comunicazioni della KEK.

A pochi giorni dalla chiusura della Terza Assemblea ecumenica europea di Sibiu, quale valutazione si sente di dare a questo evento?

Leggevo su “Panorama” l’articolo di Ignazio Ingrao intitolato “E’ partita in Transilvania la fronda anti-Ratzinger”. Ora, al di là del titolo strillato, l’articolo mette in luce come, in fondo, al variegato popolo di Dio poco importa di quel che dicono le gerarchie ecclesiastiche. Ecco, a Sibiu ho avuto la conferma che il popolo ecumenico non si fa fermare, e soprattutto non teme il confronto, e non teme le gerarchie. Assistendo ai forum si vedeva che la gente aveva una gran voglia di discutere, di confrontarsi, di esprimersi. Questo è diventato ancora più evidente nell’ultimo giorno dei lavori, il venerdì, quando dalla plenaria si è alzata una sorta di “vox poluli” che ha chiesto di avere la parola. Il caso ha voluto che fosse la vescova luterana tedesca Margot Käsmann a moderare la plenaria: ha stravolto la programmazione, che in fondo dava poco spazio al dibattito, dando alla gente la possibilità di intervenire. Mi ha stupito la voglia di parlare e partecipare della gente.

Un popolo determinato a far sentire la propria voce. Ma l’ecumenismo a che punto è?

Stavolta il popolo ecumenico si è rivelato essere estremamente variegato. Rispetto a Graz, dove veniva assimilato ai militanti che si impegnano per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato, a Sibiu molti delegati si distinguevano da questo tipo di cristiano impegnato, che pure era presente, per interessi e preoccupazioni diverse. C’era chi ha a cuore la salvaguardia del cristianesimo minacciato dalla secolarizzazione, ma anche quelli che potremmo definire più spirituali. Sibiu è stato lo specchio della realtà cristiana in Europa. E la grande novità è che non hanno più paura di incontrarsi i protestanti liberali con gli ortodossi più ortodossi, i cristiani più spirituali con quelli più conservatori, i cristiani no global con quelli più reazionari. Sibiu è stata la prova che la paura di confrontarsi è ingiustificata.

Sbaglia chi dice che l’ecumenismo è finito. E’ finito l’ecumenismo delle coccole, per dirla con le parole del card. Walter Kasper; serve ora un ecumenismo dei “profili”, come ha suggerito il vescovo luterano Wolfgang Huber, laddove non viene annacquata l’identità confessionale, al contrario, viene rivendicata.

Forse, dopo Sibiu, l’ecumenismo riparte su nuove basi, in cui le contraddizioni interne di questo cristianesimo così variegato vengono a galla, e sinceramente penso che sia bene così. A Sibiu abbiamo capito di avere delle visioni profondamente diverse: non possiamo parlare all’Europa con una voce sola. Le chiese sono chiamate a dare un contributo all’Europa che sia plurale. E a mio avviso, il messaggio finale, criticabile per certi versi, esprime proprio questo: è una testimonianza della diversità delle voci.

Alcuni passaggi del messaggio finale hanno destato qualche perplessità nel popolo ecumenico riunito a Sibiu. Una versione ufficiale ancora non è disponibile. Cosa non piace del documento?

Posso parlare per me. La frase che non mi piace è quella che parla degli “immutabili principi e valori morali cristiani” dettati dall’Evangelo. Questo passaggio è stato fortemente voluto per esempio dalla delegazione russa. Io non l’avrei mai votato. Il testo poi non specifica quali siano questi “valori”, anche se in una prospettiva ortodossa è da immaginare facilmente. Ma poco importa, perché alla fine ognuno ci legge ciò che intende con questo concetto. Per me questo valore immutabile è quello dell’Agape che si riassume nel comandamento dell’amore.

Eccezion fatta per il passaggio dove si parla del “concepimento” dell’essere umano, una dicitura inserita all’ultimissimo momento con una operazione politica di basso profilo da un delegato francese dell’Opus Dei - dicitura che ha suscitato giustificati malumori - il documento è di tutto riguardo. Va detto che quando abbiamo preparato la Terza Assemblea ecumenica europea di Sibiu non era previsto nessun documento finale, e tanto meno uno che andava votato.

L’idea del messaggio non votato, ma acclamato, è sorta lì e vuole sottolineare il metodo della ricerca del consenso, evitando che venga schiacciata la minoranza, ma rispecchiando il sentire comune su tutti quei punti dove questo è possibile. E’ forse l’unico modo per costruire un consenso in quel tipo di contesto. A Sibiu lo abbiamo messo alla prova, poteva funzionare meglio. Non c’è dubbio che possiamo farlo funzionare meglio.

A quando una quarta assemblea ecumenica europea?

E’ ancora prematuro parlarne, ma penso che la chiave stia nella partecipazione attiva del popolo di Dio. Con Sibiu abbiamo dimostrato che non è possibile mettere a tacere la voglia della gente di dialogare, che anzi, è cresciuta, nonostante gli irrigidimenti delle gerarchie, e forse proprio grazie ad essi.



Sabato, 15 settembre 2007