Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani
Una Settimana lunga cento anni

di Guido Dotti   Monaco di Bose

Riprendiamo questo articolo dal numero di GENNAIO 2008 POPOLI 55, mensile internazionale dei Gesuiti. L’autore Guido Dotti è monaco della Comunità di Bose, l’unica comunità religiosa ecumenica esistente in Italia.


La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) è stata avviata un secolo fa da pionieri dell’ecumenismo. Oggi, invocare l’unità significa anche impegnarsi in una prassi di vita cristiana che non smentiscanei fatti ciò che le nostre labbra proclamano

In alcune Chiese esistono riserve rispetto alla preghiera ecumenica in comune. Tuttavia, numerose celebrazioni ecumeniche, canti e preghiere comuni, in particolare il Padre Nostro, caratterizzano la nostra spiritualità cristiana. Ci impegniamo a pregare gli uni per gli altri e per l’unità dei cristiani». Così recita la ChartaOecumenica, sottoscritta nel 2001 da tutte le Chiese cristiane d’Europa. Tappa fondamentale di un lungo cammino ecumenico, ma anche significativo arretramento rispetto a decenni di dialogo e di esperienze sfociate nel testo della prima bozza, in cui l’impegno era a «pregare insieme e gli uni per gli altri». Di questa faticosa ricerca, dei suoi passi in avanti e delle sue contraddizioni dovremmo ricordarci quando ogni anno abbiamo la grazia di celebrare la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Ricorre quest’anno il centenario di un’iniziativa avviata da pochi pionieri dell’ecumenismo e collocata tra due date che, secondo il calendario liturgico di allora, ricordavano la festa della Cattedra di san Pietro (18 gennaio) e quella della Conversione di san Paolo (25 gennaio): da allora viene celebrata in tutto il mondo, anche se nell’emisfero Sud - per evitare la coincidenza con le vacanze estive - si preferisce spostarla nel tempo di Pentecoste. Dal 1968 questa preghiera, locale e universale allo stesso tempo, è articolata attorno a temi elaborati congiuntamente dalla Commissione «Fede e Costituzione» del Consiglio ecumenico delle Chiese e dal Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani. Dal 1975, inoltre, il tema è scelto dalle Chiese di una determinata area geografica, per poi essere assunto dagli organismi ecumenici e offerto a tutti i cristiani.

Così, quest’anno sono state le Chiese degli Stati Uniti a suggerire come tema l’esortazione di san Paolo ai Tessalonicesi: «Pregate continuamente» [lTs 5,17), e proprio questo invito ci porta a riflettere sulla dinamica tra atteggiamento orante e momenti privilegiati di preghiera: è proprio per alimentare il flusso incessante della preghiera nel nostro cuore che abbiamo bisogno di tempi e occasioni particolari, in cui con maggiore intensità e consapevolezza viviamo il nostro dialogo d’amore con Dio e sperimentiamo quanto è bello che due o tre riuniti nel nome di Gesù si accordino per chiedere qualcosa al Padre, certi di essere esauditi (cfrMt18,20; Gv16,23-26). In una stagione in cui, in Italia come nel resto d’Europa e del mondo, il fenomeno migratorio e la globalizzazione hanno reso fisicamente presenti gli uni agli altri cristiani di diverse confessioni, la Settimana di preghiera per l’unità assume tratti inediti e offre opportunità uniche di incontro e di conoscenza reciproca, preludio indispensabile a un cammino verso la piena comunione nell’amore e nella testimonianza di fede. Lexorandi, lex crederteli, recita un adagio patristico.

La legge che norma la preghiera è legge in materia di fede, perché ciò che professiamo davanti a Dio è quello che siamo chiamati a professare davanti agli uomini: la nostra fede nella morte e risurrezione del Signore, trasmessaci con il battesimo, diviene testimonianza comune nei confronti di quanti non confessano Gesù Cristo a loro salvezza. Invocare il Signore della Chiesa perché affretti il giorno, che solo lui conosce, nel quale i cristiani potranno nuovamente spezzare insieme l’unico pane e comunicare all’unico calice, non è solo fare nostro l’anelito di tanti che ci hanno preceduto nel cammino della fede, ma è anche impegnarsi in una prassi di vita cristiana che non smentisca nei fatti ciò che le nostre labbra proclamano. Solo così la settimana di preghiera si dilaterà nello spazio e nel tempo e diverrà l’ambito per così dire naturale nel quale le comunità cristiane vivono giorno dopo giorno la loro sequela dell’unico Signore: una comunione plurale che rende conto della speranza che è in noi, che proclama la fede ricevuta dai padri, che testimonia l’amore più forte della morte.



Martedì, 15 gennaio 2008