VERSO SIBIU, CHE TEMPO FARA’?

di Brunetto Salvarani

Primo di quattro articoli


Ringraziamo il carissimo amico Brunetto Salvarani, direttore di CEM-Mondialità, per averci messo a disposizione questo articolo, primo di quattro, pubblicato sul settimanale Settimana (EDB) di Bologna sul prossimo incontro ecumenico di Sibiu.


Sibiu, la città dei tre volti. Lo presentano così, le guide turistiche, questo antico borgo della Transilvania dall’impianto urbanistico ancora medievale, con l’obiettivo di valorizzarne l’appeal internazionale in occasione della sua proclamazione a capitale europea della cultura per l’anno 2007. Il suggestivo riferimento è al fatto che la sua popolazione è costituita da tre popoli (tedeschi, ungheresi e romeni) che, a dispetto delle deportazioni etniche e degli orrori che ha loro riservato il secolo breve, convivono in pace. Triplice è pure la presenza delle confessioni cristiane: ortodossi, cattolici e protestanti frequentano la loro rispettiva cattedrale, testimonianza viva di un tipico passato da crocevia di popoli e culture. Fino alla prima guerra mondiale, fra l’altro, questa zona era parte dell’Impero Asburgico… Ma Sibiu, oggi, guarda soprattutto al futuro, nell’anno che ha segnato l’entrata ufficiale della Romania nell’Unione Europea, cercando di sfruttare la ghiotta occasione per costruirsi un’immagine più giovane e dinamica: su www.sibiu2007.ro compaiono infatti molti appuntamenti culturali previsti per i prossimi mesi, che spaziano dall’arte alla musica, dal teatro alla letteratura, dalla fotografia all’architettura, ospitati dalle belle piazze cittadine da poco restaurate.

UN PELLEGRINAGGIO ECUMENICO

Quest’anno, però, Sibiu non sarà solo la capitale europea della cultura, ma anche del movimento ecumenico. Dal 4 al 9 settembre, infatti, si svolgerà proprio lì la terza tappa del processo conciliare avviatosi nell’ormai lontano 1989 in Svizzera, a Basilea, e proseguito nel ’97 con l’assemblea di Graz, in una discreta serie di prime volte: è la prima volta nel terzo millennio, ed è soprattutto la prima che un appuntamento del genere si tiene in un Paese a maggioranza ortodossa (info: www.eea3.org). Con tale decisione, spiegano gli organizzatori, si è intesa evidenziare la comune appartenenza ad un continente, ad una storia, ad una tradizione…

Basterebbero questi elementi, per rendere decisamente interessante l’avvenimento in questione, promosso, come gli altri, congiuntamente dalla KEK (Conferenza delle chiese europee) e dal CCEE (Consiglio delle Conferenze episcopali europee), che affronterà il tema La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento ed unità in Europa. La luce è un simbolo universale, presso tutti i popoli e tutte le culture: ma è Gesù stesso ad assumere il simbolo della luce per esprimere il mistero della sua persona e della sua missione universale: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).

Saranno tremila i delegati ufficiali delle chiese e dei movimenti cristiani di tutto il continente, che si riuniranno in Romania per quella che, in realtà, sarà la tappa conclusiva di un articolato percorso - il processo assembleare è stato pensato sin dall’inizio come una sorta di pellegrinaggio ecumenico - che è transitato attraverso diverse località, scelte per il loro valore altamente simbolico, da Roma (gennaio 2006) a Wittenberg-Lutherstadt (febbraio 2007). Un pellegrinaggio, dunque: per chiamare le chiese a riconoscere che è ormai l’ora di rimettersi umilmente in marcia per trovare nuova luce per il cammino di riconciliazione, e per superare la tentazione di tornare indietro, rimpiangendo le cipolle d’Egitto di quando il panorama religioso era più ordinato e rinchiudendosi nelle loro identità tetragone e inscalfibili…

UNITA’ NELLA DIVERSITA’?

Domandiamoci ora: in quale stato di salute arriva il movimento ecumenico a Sibiu 2007? La risposta non è facile! Da molto tempo, ci si è abituati a descriverlo in chiave di metafore atmosferiche, sostenendo in genere che, a partire dal Concilio Vaticano II e dalla profezia della Unitatis Redintegratio, si sarebbe registrata una fiorente primavera dapprima calda di ottimismi e poi sempre più tiepida, fino a giungere ad un inverno denso di brusche gelate. Ora, come si usa dire, sembra non ci siano più le stagioni di una volta (né tanto meno le mezze stagioni), per cui improvvisi temporali si abbattono dopo qualche timida schiarita, e sui nuovi germogli piombano gelate impreviste che riportano il barometro sul tempo plumbeo…

Fuor di metafora, possiamo affermare che l’ecumenismo sta attraversando una lunga fase di transizione, contrassegnata alternativamente da chiusure identitarie (tante), incertezze (altrettante) e aperture (poche, per quanto significative: si pensi alla dichiarazione congiunta fra cattolici e luterani sul tema della giustificazione, il 31 ottobre del ’99 ad Augusta, che ha di fatto concluso un lunghissimo duello teologico). Tanti appaiono, ad una lettura attenta, i motivi di una simile stagnazione. A cominciare dalle delusioni sopraggiunte dopo le mille speranze degli anni sessanta, quando il clima culturale ottimistico e la presenza sulla scena di grandi personalità direttamente impegnate sul campo del dialogo - dal papa Giovanni XXIII al patriarca Athenagoras - lasciavano a buon diritto presagire tempi brevi per quella unità nella diversità che non pochi teologi immaginano come il modello più sensato per un itinerario centripeto che però rispetti le differenze, recependole più come occasioni di arricchimento reciproco che di reciproco sospetto. La stanchezza, ed una certa sfiducia, hanno preso il posto dell’ottimismo, e l’ecumenismo è stato, di regola, derubricato da caso serio ad uno dei tantissimi temi della pastorale ecclesiale: a dispetto del fatto che, sempre più palesemente, nei Paesi di consolidata tradizione cristiana e ancor più nelle giovani chiese raggiunte dal movimento missionario, le fratture ecumeniche rappresentano una terribile controtestimonianza antievangelica. Un’ulteriore causa di rallentamento, si sostiene non senza ragioni da più parti, è poi il fatto che l’irrompere nello scenario del vecchio continente di un vistoso numero di nuovi attori religiosi, dall’islam del suo risveglio alle suggestioni dell’oriente più mistico, avrebbe contribuito a porre in secondo piano la questione ecumenica, facendo emergere piuttosto il tema del dialogo interreligioso. Fino a poco tempo fa, in effetti, la maggioranza delle persone, nel nostro Paese ma anche altrove, vivevano all’interno di gruppi religiosi ristretti e circoscritti nei loro contorni sociali, con una consapevolezza piuttosto marcata - poiché sostanzialmente indisturbata - della propria identità e della differenza che li separava da persone appartenenti a tradizioni religiose altre. Buddhisti, hinduisti, sikh, ad esempio, ma anche musulmani, abitavano in nazioni lontane frequentate solo da pochi turisti e studiosi occidentali, ed erano percepiti come testimoni di percorsi spirituali curiosi, esotici, talvolta appena folkloristici. Oggi, invece, appare difficile negare il fortissimo impatto - sociale, psicologico, mediatico - del pluralismo religioso, e sottovalutarne il peso, almeno potenziale, nell’odierna riflessione delle chiese. «Grazie all’immigrazione - sostiene ad esempio mons. Aldo Giordano, dall’osservatorio privilegiato di segretario del CCEE - in Europa si vive oggi un pluralismo religioso e culturale che deve spingere i cristiani ad interrogarsi su come contribuire ad un incontro tra religioni e culture favorendo il dialogo interreligioso, ma anche su come annunciare il Vangelo alle altre religioni. La difficoltà del confronto emerge soprattutto sulle questioni etiche, dove spesso ci sono distanze notevoli. Bisogna superare l’ecumenismo eurocentrico, ma soprattutto non si può andare avanti nel dialogo ecumenico se non si conosce e vive il cristianesimo in modo pieno e autentico».

Un altro problema è che, sullo sfondo, permane la cronica quanto irrisolta divaricazione fra il modello di un ecumenismo secolare (che privilegia la possibilità di vivere la koinonia fra cristiani malgrado le divergenti concezioni nel campo della fede, operando piuttosto per la pace, la concordia sociale, la giustizia) e il  cosiddetto ecumenismo del consenso (per cui invece bisognerebbe operare in primis a favore dell’impegno teologico, in funzione di un’unità visibile delle chiese).

LA CHARTA OECUMENICA

Il cuore di Sibiu riguarderà soprattutto una rilettura, più approfondita e condivisa, della Charta Oecumenica, la legge-quadro dell’ecumenismo sottoscritta dalle chiese europee il 22 aprile 2001, a Strasburgo[1]. Si tratta di un testo che è già figlio di un lavoro corale, di incontri, dialoghi, fatiche e speranze, e che - pur non avendo ancora un valore giuridico - resta nondimeno il segnale più rilevante di un impegno comune in vista di quell’unità pregata e auspicata dallo stesso Gesù di Nazaret nel lungo discorso d’addio ai suoi che campeggia nel Vangelo di Giovanni: ut unum sint (Gv 17,11). Il fatto è che questo cammino di raduno delle comunità che si richiamano allo stesso lieto annuncio, in realtà, non rappresenta tanto una semplice opzione fra quelle possibili, un’eventualità fra le altre, bensì la sola modalità sensata dell’essere cristiani oggi, dopo troppi secoli di incomprensioni e addirittura di guerre aperte che hanno crudelmente insanguinato le terre d’Europa. Essere uniti ed in comunione, per i cristiani, non è neppure una questione tattica, né - si badi - la ricerca della forza necessaria contro gli altri, i non cristiani divenuti magari maggioranza, o forza aggressiva, nella stagione che ha registrato il definitivo esaurimento del regime di cristianità. L’unità sperata dal movimento ecumenico non può essere un’unità contro qualcuno, ma quella in cui le chiese si riconoscono come sorelle e si pongono al servizio reciproco!

Un metropolita ortodosso, all’uscita dalla chiesa di Saint Thomas, quel giorno a Strasburgo dopo la firma della Charta Oecumenica, disse ad alta voce: «Il cielo nuvoloso di questi giorni si è aperto per uno squarcio di azzurro su di noi: è un segno che Dio benedice ciò che abbiamo realizzato!». Chissà che tempo farà a Sibiu… quel che appare certo è che molte delle attese per un rilancio del messaggio ecumenico si concentrano lì: per questo, sarebbe consolante che dalle chiese locali italiane maturasse e si diffondesse, nei pochi mesi che ormai ci separano da quell’evento, un atteggiamento di attenzione, di studio, di preghiera. Sono questi i mezzi di cui disponiamo, per contribuire ad allargare lo squarcio di azzurro nel cielo dell’ecumenismo: a conti fatti, non si tratta di mezzi da poco. Avremo modo di tornarci sopra, anche sulle pagine di Settimana.

Brunetto Salvarani



[1] Per i documenti riguardanti la Charta, si veda il recente volume CCEE_KEK, a cura, Charta Oecumenica, Claudiana_ElleDiCi, Torino 2007 (con introduzione di Mons.Vincenzo Paglia).



Venerdì, 13 luglio 2007