Verso Sibiu. 3
IL DIALOGO CON L’ORTODOSSIA ALLA PROVA DI SIBIU

di Brunetto Salvarani

Terzo di quattro articoli


Ringraziamo il carissimo amico Brunetto Salvarani, direttore di CEM-Mondialità, per averci messo a disposizione questo articolo, terzo di quattro, pubblicato sul settimanale Settimana (EDB) di Bologna sul prossimo incontro ecumenico di Sibiu.

L’assemblea ecumenica europea che dal 4 al 9 settembre di quest’anno convocherà nella città rumena di Sibiu i delegati di tutte le chiese del nostro continente sul tema «La luce di Cristo illumina tutti. Speranza di rinnovamento e unità in Europa» rappresenterà - essendo la prima svolta in un paese a maggioranza ortodossa - un banco di prova ragguardevole per le legittime ambizioni di protagonismo del polmone orientale nel futuro del cristianesimo europeo. Quali saranno le questioni sul tappeto, sul piano del rapporto fra la chiesa di Roma ed il variegato microcosmo ortodosso?

«Tutto sommato, si può dire che sarebbe assolutamente fuori luogo  parlare di una crisi generalizzata nelle relazioni con le Chiese orientali. Anzi, è vero il contrario. I nostri rapporti con singole Chiese orientaliseguono un cammino  positivo e  pieno di promesse. Per capire a che punto ci troviamo, non possiamo partire da risultati  sensazionali e a breve scadenza. Se è vero che a volte ci imbattiamo in ostacoli che ci fanno fermare ed anche retrocedere, è altrettanto vero che lo Spirito Santo ci riserva sorprese nuove e positive. Generalmente, con piccoli passi, più che con grossi balzi,  si arriva più lentamente, ma in modo più sicuro alla meta». Così, in occasione dell’Assemblea plenaria del 2003, si era espresso nella sua relazione introduttiva il cardinale Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, a proposito dei rapporti attuali fra chiesa cattolica e ortodossa. Una considerazione densa di speranza, tesa a fugare la percezione diffusa che una lunga serie di incomprensioni (in buona parte collegate all’annosa vicenda delle chiese uniate in Ucraina nell’orizzonte del post-89) avessero scalfito pesantemente il tracciato di un dialogo, sia pure spesso carsico, che l’abbraccio storico tra il patriarca di Costantinopoli Atenagora e Paolo VI a Gerusalemme, il 5 gennaio del 1964, aveva riaperto dopo le reciproche scomuniche del 1054 (cancellate definitivamente il 7 dicembre dell’anno seguente).

LE BUONE MANIERE NON BASTANO…

Dall’osservatorio della fraternità ecumenica di Bose, spesso in prima linea tanto nell’analisi delle problematiche (con i tradizionali convegni estivi di teologia ortodossa) quanto nell’ospitalità fraterna di figure significative di quel mondo, sul cammino ecumenico istituzionale non si nascondono le difficoltà. Secondo il monaco Guido Dotti, che a Sibiu condurrà uno dei nove forum di studio previsti (sul tema della spiritualità), quello dell’ecumenismo è un processo che, a livello istituzionale, avanza, ma è un procedere un po’ automatico. La macchina messa in moto va avanti, ma c’è comunque un certo ripiegamento rispetto agli entusiasmi seguiti all’intuizione di papa Giovanni XXIII di invitare gli osservatori al Concilio, o anche solo rispetto alla spinta ecumenica di una quindicina di anni fa. Emergono contenziosi, i dialoghi teologici ristagnano, si manifesta una certa burocratizzazione «Accade quindi che quando si presenta un ostacolo, un punto controverso, tutto si blocchi perché è indebolita quella spinta di fondo che faceva guardare oltre, tenendo bene in mente l’obiettivo alto».

Vi sono poi i rischi di banalizzare il dialogo ecumenico, o di prendere scorciatoie. O, ancora, si fa strada la sensazione che ci siano problemi più urgenti per il mondo di oggi «Ma è una soluzione di comodo - prosegue Dotti - perché si negano le difficoltà e ci si accontenta di un minimo comune denominatore, che però è, appunto, minimo». Così ci si limita alle buone maniere, si collabora in qualche iniziativa, non ci si intralcia, ma si fanno percorsi senza tenere conto dell’altro, se non addirittura contro l’altro: «In questo modo, l’altro non è più una parte delle tue riflessioni, delle tue preoccupazioni, del tuo discernimento. Si pensa di non dovere rendere conto all’altro, dimenticandosi che poi tutti dobbiamo rendere conto a Dio. Non basta che tutto sia in regola con le nostre strutture e le nostre norme giuridiche!»[1].

Eppure, pochi mesi fa, alcuni eventi hanno fornito agli osservatori più attenti l’impressione che stia finalmente accadendo qualcosa di rilevante, dopo una lunga stagione di stanca (se non di conflittualità aperta). Si potrebbe anzi pensare ad una sorta di trittico che, nell’arco di poco meno di un trimestre, ha saputo riaprire al più alto livello i canali di comunicazione fra le chiese cattolica e ortodossa, sino ad allora perlomeno inceppati.

TRE QUADRI POSITIVI

Il primo quadro è stato rappresentato dalla IX sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la chiesa cattolica e la chiesa ortodossa nel suo insieme, tenuta presso Belgrado dal 18 al 25 settembre 2006 e chiusasi con parecchi stimoli e reciproca soddisfazione (il prossimo appuntamento è già previsto per l’autunno di quest’anno a Ravenna, sul tema del primato petrino), mentre il secondo ha visto gli intensi colloqui e l’abbraccio fraterno tra Benedetto XVI ed il patriarca ecumenico Bartolomeo I al Fanar, in occasione dell’attesissimo viaggio pontificio in terra turca dello scorso fine novembre. Il terzo quadro, infine, ha coinciso con la visita romana di quattro giorni dell’arcivescovo di Atene e patriarca di tutta la Grecia, Christodoulos, culminata il 14 dicembre 2006, con l’incontro con Benedetto XVI e la firma di una dichiarazione comune. Fra l’altro, era la prima volta di un primate greco accolto in Vaticano. Qualche commentatore, nell’occasione, si è spinto a parlare di chiodo fisso per il nuovo pontefice, che sin dai primi discorsi dopo l’elezione ha dato l’impressione di voler lasciare un’impronta nella storia del cristianesimo soprattutto per il rilancio dei rapporti con le altre chiese: evidenziando, tra l’altro, che non basteranno buoni sentimenti ma occorreranno gesti concreti, e la purificazione delle reciproche memorie (motivo già molto caro al suo predecessore). Fra le altre chiese, per molte ragioni, ai suoi occhi quella ortodossa sembra decisamente rivestire una priorità: ma non certo per la facilità dell’impresa… Si tratta infatti di cercare di sanare una distanza allargatasi in oltre mille anni: l’itinerario, si può prevedere, sarà dunque lungo e delicato, poiché vi sono alla base divisioni cronicizzate dalla storia, differenti percorsi culturali e, non ultimi, insoluti nodi teologici e dottrinari. Ma anche questioni più recenti, sorte in seguito all’esaurimento del regime comunista nei paesi dell’Est Europa, quasi tutti a gran maggioranza figli dell’ortodossia.

«Il tempo stringe»: ecco, è tutta in questo slogan l’urgenza di un dialogo che non può più attendere ancora. A pronunciarla, nel frangente, è stato lo stesso Christodoulos, aggiungendo inoltre con la necessaria parresìa che «nel corso della storia le relazioni tra le nostre chiese non sono state delle migliori o non hanno mostrato ciò che l’amore cristiano chiedeva». D’altra parte, ha voluto ricordare «il cammino degli ultimi quarant’anni di mutua comprensione, riconciliazione e di pacificazione che la chiesa di Grecia appoggia pienamente, considerandolo il contributo di eccellenza alla questione dell’unità dei cristiani». Secondo l’arcivescovo, è stata specificamente la positiva visita di Giovanni Paolo II ad Atene nel 2001 a fornire materia di riflessione al clero e al popolo greco ortodosso, aprendo nuovi cammini di collaborazione creativa e fraterna nel contesto della nuova realtà europea. Cammini che si chiamano oggi soprattutto, a suo parere, bioetica, istruzione, ecologia, pace, ma anche «opposizione alla secolarizzazione del messaggio cristiano e l’impegno per instaurare la giustizia di Dio nella nostra casa comune che è l’Europa, continente che ha sete di Cristo». E qui, evidentemente, i problemi sorgono normalmente col mondo protestante, che su simili argomenti dimostra posizioni non di rado piuttosto diverse e modernizzanti.

IL NODO DELLA MADRE RUSSIA

Certo, nel panorama dei rapporti col complesso ed autocefalo universo ortodosso, resta bruciante il contenzioso giuridico-pastorale tuttora aperto con la grande chiesa russa guidata da Alessio II, col caso degli uniati e le accuse di proselitismo sin dal tempo di Giovanni Paolo II, su cui - almeno ufficialmente - non si registrano novità rilevanti. Possiamo cogliere alcuni indizi in controtendenza però, al riguardo, come la voce ottimistica del cardinale Achille Silvestrini, prefetto emerito della Congregazione per le Chiese Orientali, una delle personalità della Santa Sede maggiormente esperta di questioni diplomatiche e di rapporti multilaterali. Il quale, a margine della storica visita in Turchia di Benedetto XVI, chiosava: «La strada dell’unità con gli ortodossi ha avuto un’importante conferma dal viaggio del Santo Padre in Turchia e dai discorsi scambiati con il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. In questo senso non vedrei improbabile che il percorso verso l’unità possa allargarsi presto con un incontro del Papa con il patriarca ortodosso di Mosca Alessio II».

Per chiudere questo rapido sguardo, qualche considerazione sull’attuale situazione del Paese destinato ad ospitare l’assemblea di settembre. Grandi sono le attese rumene per la recente entrata nell’Unione europea, direttamente proporzionali al senso di delusione provato dopo le illusioni di un rapido miglioramento con la fine del regime di Ceausescu nel 1989. L’auspicato benessere economico, infatti, non si è ancora visto: la vita è difficile, le sicurezze povere del socialismo reale sono svanite, senza aver ceduto il posto ai tanto attesi premi del libero mercato. Le ferite del passato sopravvivono, anche dal punto di vista delle chiese: ad esempio, nel rapporto fra la chiesa ortodossa e quella greco-cattolica. Quest’ultima venne soppressa dal governo comunista nel 1948, i suoi luoghi di culto consegnati al patriarcato ortodosso e i suoi membri costretti ad una vita di fede in assoluta clandestinità (in tutto l’est europeo, in realtà, l’obiettivo fu di distruggere le chiese orientali unite a Roma, per diminuire - fra l’altro - l’influenza della Santa Sede). Le chiese ortodosse, che pure hanno alquanto sofferto durante il regime, in qualche modo concordarono con tale programma che, obiettivamente, le rafforzava. Nell’89 i greco-cattolici hanno riacquistato la libertà dopo tanto penare; in questi anni stanno chiedendo la restituzione delle chiese, già occupate dagli ortodossi, e il contenzioso è ancora aperto.

Come si vede, le questioni aperte non sono poche. Le notizie che giungono da Sibiu dicono, in ogni caso, di una chiesa ortodossa rumena fortemente impegnata per organizzare la migliore delle accoglienze ai partecipanti all’assemblea. E c’è da augurarsi che la conoscenza diretta favorisca l’incontro; e che, secondo il proverbio latinoamericano, camminando si apra il cammino.

Brunetto Salvarani



[1] F.PISTOCCHINI, «Monastero, luogo ecumenico», in Popoli (maggio 2007).



Venerdì, 13 luglio 2007