Recensione
Eros  nella Qabbalah

di Marco Morselli

Un libro di Jiri  Langer


 Jiri  Langer, Eros  nella Qabbalah, La parola, Roma 2007.

INTRODUZIONE

            1. Nel 1913 un ragazzo di 19 anni acquista alla stazione ferroviaria di Praga un biglietto per Belz, una cittadina della Galizia orientale. La Boemia faceva allora parte dell’Impero austro-ungarico, per cui senza attraversare frontiere Jiri si ritrovò, ventiquattr’ore dopo e cinquecento chilometri più ad est, nella “Roma dei hassidim.

            Al centro di Belz c’era una piazza, sulla quale si affacciavano la Sinagoga, la Casa di studio (il Bet ha-midrash) e la Casa del Rebbe. Il Bet ha-midrash rimaneva aperto tutta la notte per coloro che volevano studiare, per coloro che volevano trasformare la notte in giorno.  Jiri è affascinato dalla vita dei hassidim[1], ma conformarsi alle loro abitudini è tutt’altro che facile, per cui il suo primo soggiorno a Belz è piuttosto breve.

            Jiri Georg Mordekhai Langer era infatti nato a Praga il 7 aprile 1894 in una famiglia ebraica assimilata, “boemizzata”. Insieme ai suoi fratelli maggiori Frantisek (1888-1965) e Josef (1890-1939) aveva frequentato la Scuola ceca e solo da adolescente, spronato dall’amico Alfred Fuchs, aveva preso ad interessarsi alla religione e alla mistica ebraiche. Insieme i due amici avevano iniziato a studiare l’ebraico.

            La descrizione del ritorno in famiglia di Jiri dopo il primo soggiorno a Belz si deve alla penna del fratello Frantisek: «Mio padre mi annunciò quasi spaurito che Jiri era tornato. Capii il suo sgomento quando vidi mio fratello. Mi stava davanti in un logoro pastrano nero, tagliato come un caffettano, che scendeva dal mento fino a terra, e in testa aveva un largo cappello rotondo di velluto nero, calcato sulla nuca. Stava curvo, il mento e le guance coperti da una barba rossiccia e i riccioli davanti alle orecchie che gli pendevano fino alle spalle. Del viso restava scoperto solo un pezzetto di carne bianca, malsana, oltre agli occhi, un po’ stanchi, un po’ febbricitanti. Mio fratello non era scappato da Belz per tornare a casa e alla civiltà, ma aveva portato Belz con sé».[2] Sembra la reazione del padre di Gregor Samsa alla vista del figlio trasformato in insetto.[3]

            Jiri recitava le preghiere «canticchiando a voce alta e correndo per la stanza in una sorta di rapimento estatico», cucinava in camera sua su un fornelletto a spirito, si nutriva però soprattutto di pane e cipolla, il cui odore si diffondeva per tutta la casa.

            Vedere il figlio così conciato spaventava suo padre «feriva il suo desiderio di sicurezza e di stabilità ricordandogli, forse, storie ormai dimenticate sulle angustie del ghetto, su quella vita senza diritti né libertà, piena di umiliazioni e di soprusi».[4] Jiri sembrava uno spettro del passato, era invece un araldo del futuro. La sicurezza borghese di cui godeva buona parte dei trentamila ebrei di Praga sarebbe stata presto sconvolta dalla Grande Guerra, e poco dopo la Grande Catastrofe avrebbe eliminato i due terzi degli ebrei d’Europa. Delle grandi Comunità centrali e orientali sarebbero rimasti solo fumo e macerie.

            Jiri rimane a casa per qualche tempo. Poi all’improvviso, preso da una grande esultanza, prepara di nuovo la sua valigetta e insieme a un amico ritorna a Belz. Solo leggendo Le nove porte il fratello conobbe il motivo di quella esultanza: gli era apparso il Rebbe e lo aveva invitato a recarsi da lui[5].

            Allo scoppio della guerra il Rebbe e la sua corte si rifugiano in Ungheria. Jiri viene arruolato, ma finisce presto in un carcere militare: si alzava un’ora prima degli altri per recitare le preghiere del mattino, mangiava solo pane e cipolle, di Shabbat si rifiutava di prendere in mano il fucile e di svolgere qualsiasi lavoro. A Frantisek, che era medico, non ci vuole molto per convincere i giudici militari che suo fratello era matto. Appena congedato, Jiri raggiunge il Rebbe di Belz e trascorre con lui il resto della guerra. Vede le Comunità ebraiche e hassidiche sconvolte, «la loro infinita miseria, l’angoscia e la disperazione di gente che non comprendeva le ragioni di tante distruzioni e di tante stragi».[6]

            Nel 1918, caduto l’Impero austro-ungarico, Jiri diviene cittadino della Repubblica Cecoslovacca, il Belzer e i suoi hassidim della Repubblica Polacca, nuove frontiere li dividono. Jiri vive la sua vita hassidica a Praga. In camera sua sono aperti i volumi del Talmud e libri di Qabbalah, ma anche, per lo stupore del fratello, le opere di Sigmund Freud. Il risultato dei suoi studi viene pubblicato nel 1923 con il titolo Die Erotik der Kabbala.

            Intanto viene nominato insegnante in una Scuola ebraica di Praga. Compie il suo primo viaggio in Eres Israel, scrive articoli e traduzioni. Conosce il ceco, l’ebraico, l’yiddish, il tedesco, il francese, l’inglese, l’aramaico e l’arabo, scrive in tedesco, ceco ed ebraico. Pubblica un volume di versi Piyutim we-Shire Yedidut (Poemi e canti dell’amicizia). D’estate va a fare il bagno nel fiume Veltava e d’inverno pattina sul ghiaccio, anzi sembra danzare sulla neve ghiacciata. Suona anche il violino, improvvisando variazioni su musica classica, ebraica, o su canzoni ceco-moravo-slovacche.

Ha molti amici, tra cui Franz Kafka (1883-1924) e Max Brod (1884-1968). Una volta li porta a visitare il Rebbe di Grodek e un’altra volta il Rebbe di Belz. Langer diventa uno degli insegnanti di ebraico di Kafka e la fonte principale delle sue conoscenze hassidiche e cabbalistiche. Spesso passeggiano insieme fino a notte fonda per la vecchia Praga del Maharal[7].

            Nel 1937 viene pubblicato Devet bran (Le nove porte). Solo leggendo quei racconti Frantisek inizia a capire di essere il fratello di un grande scrittore: «Fui preso da quelle storie, mi lasciai travolgere dall’esuberanza fantastica ed esotica, dall’originalità delle vicende e degli ambienti descritti, e lessi, lessi a non finire. La loro mistica non era nebulosa e difficile da decifrare, le cose prodigiose, i miracoli intessuti in quelle storie non avevano quella carica di pathos che avrebbe potuto renderli sconcertanti: erano invece tagliati, si può dire, alla misura dell’uomo, semplici e familiari».[8]

Secondo alcuni ancora meglio di Martin Buber (1878-1965), ha-bahur mi-Prag, il ragazzo di Praga che si era  rifugiato dai hassidim, ha così tramandato il ricordo di quella vita ebraica piena di fervore e di sapienza della quale l’Europa ha dimostrato di non essere all’altezza.

Il libro non ebbe il tempo per essere conosciuto e apprezzato come avrebbe meritato: meno di due anni dopo la Boemia viene occupata dai Tedeschi e come tutte le opere degli autori ebrei anche Le nove porte viene mandato al macero. Langer viene preso dal quasi frenetico bisogno di contrastare la crescente propaganda antisemita pubblicando un volumetto divulgativo sul Talmud, con cento esempi dell’antica saggezza, e traducendo un’antologia di poesia ebraica dall’XI al XVIII secolo. Il titolo scelto era di bruciante attualità: Il canto dei ripudiati.

            All’arrivo dei Nazisti le esistenze dei tre fratelli Langer si dividono: Frantisek riesce a raggiungere la Francia e poi l’Inghilterra, Josef preferisce il suicidio alla deportazione, Jiri raggiunge la Slovacchia. Le acque fluviali erano ancora considerate neutrali, più di mille profughi, tra i quali neonati e vecchi, partono all’inizio di novembre. Ma il freddo quell’anno viene presto, il fiume si ghiaccia e le chiatte in ferro si bloccano. Con trenta gradi sotto zero, senza riscaldamento e con cibo insufficiente le malattie si diffondono e molti muoiono. Jiri aveva riempito le sue valigie dei suoi libri più cari invece che di coperte e maglioni. Si ammala di polmonite e poi di una infezione renale da cui non guarirà più.

            Arriva comunque a Istanbul e riesce a imbarcarsi per la Palestina del Mandato Britannico. Viene ricoverato all’ospedale di Tel Aviv. Quando sta meglio scappa in campagna o sale a Yerushalayim.  Anche lì i suoi migliori amici sono Max Brod e sua moglie, arrivati nel 1939.  E’ Brod a portargli nel suo letto d’ospedale il suo ultimo volume di poesie, fresco di stampa: Meàt Korì (Un poco di balsamo). Jiri Langer muore il 22 marzo 1943.

 «In che modo un giovane può tenere pura la sua via, se non osservando la Tua Parola?»

(Sal 119,9)

2.  Per cercare di capire quale sia il posto di Eros nella Qabbalah, dobbiamo ricordare cheil mondo nel quale viviamo costituisce solo una parte di un sistema di mondi molto complesso. Questi mondi spirituali si compenetrano  e interagiscono tra loro e con il mondo materiale, e nella nostra vita quotidiana facciamo esperienza di questo scambio di influenze tra le diverse sfere della realtà. Il mondo nel quale viviamo è il mondo di Asiyah, dell’azione, al di sopra del quale vi sono il mondo di Yesirah, della formazione, il mondo di Beriyah, della creazione e infine il mondo di Asilut, dell’emanazione. Il mondo della formazione è il mondo dei sentimenti, o degli angeli. Il mondo della creazione è il mondo delle intelligenze, o dei serafini. Il mondo dell’emanazione è il più vicino alla Divinità, o forse è la Divinità stessa. Ognuno di questi mondi corrisponde ad una delle quattro lettere del Nome (di D.).

Tutti questi mondi sono circondati e compenetrati dall’En Sof, l’Infinito, che si manifesta attraverso dieci Sefirot: Kéter (la Corona), Hokhmah (la Sapienza), Binah (l’Intelligenza), Hésed (la Grazia), Gevurah (la Forza), Tiféret (la Bellezza), Nésah (il Trionfo), Hod (la Lode), Yesod (il Fondamento) e Malkhut (il Regno). Insieme, nelle loro interrelazioni, esse formano il collegamento permanente tra il Santo, benedetto Egli sia, e il nostro mondo.

Alcune di queste Sefirot sono maschili, altre femminili. Alcune sono amici, altre amanti. Eros è la Sefirah Yesod, che costituisce il fondamento di tutta la creazione. Essa unisce gli amici, ossia le Sefirot Nesah e Hod e gli amanti, ossia Tiferet  e Malkhut. L’intero servizio divino nel suo insieme non mira che a provocare l’Yihud, l’unione, del Santo, Egli sia benedetto, e della sua Shekhinah (altro nome di Malkhut).

L’erotismo dunque pervade i mondi superiori e, di riflesso, anche il nostro. Anzi, scrive Langer, Eros è il messaggero attraverso il quale D. ci ha inviato la Torah prima ancora della Rivelazione sul Monte Sinai. Tuttavia occorre sapere che vi è un tragico conflitto tra due diverse tendenze dell’Eros. Tale conflitto è espresso in due versetti: «Siate fecondi e moltiplicatevi» (Gn 1,28) e «Amerai il tuo amico come te stesso» (Lv 19,18). La Torah[9] conosce questo conflitto e una vita ebraica improntata alla sua osservanza è fatta apposta per creare tra tali due tendenze un’armonia. Il giovane hassid divide il suo tempo tra sua moglie e i suoi compagni della Hevré (la Confraternita).

La sessualità, l’affettività umana, come sanno i cabbalisti e gli psicanalisti, non sono solo rivolte al diverso e neppure solo all’identico, sono molto più articolate, profonde e complicate. Hanno bisogno di essere educate, il che non vuol dire limitarsi ad alcune informazioni tecniche o ad alcuni divieti moralistici.

Dalla «rivoluzione sessuale» in poi, due generazioni sono cresciute e invecchiate nell’illusione che quella del «fare» - il prima possibile, il maggior numero di volte possibile, con il maggior numero possibile di persone - sia la dimensione giusta per incontrare Eros, in una eccitazione generale e continua che è in effetti un generale  e continuo svuotamento.

I hassidim al contrario insegnano ad amare D. con tutte le proprie forze, e il proprio amico come se stessi. Essi considerano la triplice preghiera quotidiana come un «accoppiamento con la Shekhinah».[10] Sanno che la grandissima energia di Eros/Yesod, la divina potenza generatrice del Creatore donata alle creature, rischia di travolgere chi non viene educato alla disciplina della Torah. L’Ahavàh (Amore) divino deve poter circolare dentro di noi senza venir subito scaricato nell’illusorio possesso di qualcuno al di fuori di noi.

L’universo intero ha valore solo attraverso l’Ahavah. Il cabbalista è un innamorato di D., anzi, di più: è un innamorato che sa di essere amato. Egli sa che nessun amore è più grande dell’amore per Lui, e che l’amore con cui Lui ci ama è senza fine.

Marco Morselli

Pesah 5767



[1] Si veda la sua descrizione della Shabbat in J. Langer, Le nove porte. I segreti del Chassidismo, tr. di  E. Ripellino, Adelphi, Milano 1995, pp. 4-10.

[2] op. cit., pp. XIX-XX.

[3] Vedi La metamorfosi di Franz Kafka.

[4] op. cit., p. XXI.

[5] op. cit., p. 14.

[6] op. cit., p. XXIV.

[7] Rav Yehudah ben Besalel Loew (1525-1609), il Maharal di Praga, il creatore del Golem. Su di lui si veda: A. Neher, Il pozzo dell’esilio, tr. di E. Piattelli, Marietti, Genova 1990.

[8]J. Langer, Le nove porte, cit., p. XXIX.

[9] Con Torah intendiamo sia la Torah scritta (la Bibbia ebraica) che la Torah orale (Midràsh, Talmùd, Qabbalàh).

[10] Baal Shem Tov, Testament hassidique, tr. de L. Cohen, Bibliophane, Paris 2004, p. 23.



Venerdì, 02 novembre 2007