La dottrina sociale della chiesa cattolica - opinioni
Dal concetto di amore a quello della solidarietà

di Rosario Amico Roxas

L’Enciclica PP parla di ’amore’ al posto di utilizzare il termine ’solidarietà’, questo vocabolario squisitamente evangelico ne limita la comprensione ai soli fedeli cristiani, per i quali l’amore è la spinta anagogica che supera tutte le differenze. Volendo fornire una lettura più ampia, destinata indistintamente a tutti gli uomini, l’uso del termine ’solidarietà’ serve a coinvolgere anche quelle persone che limitano l’amore alla ristretta cerchia del mondo che li circonda da vicino.
Non c’è dubbio che l’aspirazione del Pontefice era quella di coinvolgere l’umanità intera nel sentimento reciproco di amore, ma i tempi, ancora oggi dopo oltre 40 anni dalla emanazione della PP, non sono maturi; il concetto di amore non è compreso e per questo non è accettato e non è praticato se non da quei pochissimi che il Corano identifica come ’Khalifat Allah’, rappresentanti di Dio in terra.

Non c’è stato amore nella mobilitazione planetaria a favore dei superstiti del maremoto che ha sconvolto il Sud-Est asiatico il 26 dicembre del 2004, è stato un moto di generosa solidarietà, direi anche di facile solidarietà perché non ci ha coinvolti personalmente in un atto di amore, ci è stata spianata la strada con l’organizzazione dei ’messaggini’ inviati tramite il telefono portatile con cui, con molta facilità, senza alcuna fatica, si donava un euro; decine di milioni di italiani hanno inviato quel messaggino telefonico per decine di milioni di euro, ritenendo, così, di essere a posto con la propria coscienza.
L’atto di amore è tutt’altro, è partecipazione attiva, è donazione senza attendersi un ritorno neanche dalla propria coscienza, è annullamento del proprio ’io’ nella dedizione verso il prossimo, specie quando è più debole e più bisognoso.
Per questo continuerò l’analisi dell’Enciclica di Paolo VI identificando con solidarietà quello che il Pontefice avrebbe voluto che fosse amore.
Non si può affermare che la solidarietà può risolvere i problemi solo a livello individuale stante il fatto che nella società preme la necessità alla lotta; il richiamo alla lotta unisce solo esternamente, nella difesa e nella distruzione. Per costruire positivamente una nuova società con un nuovo umanesimo, solo la solidarietà può sconfiggere l’egoismo e l’individualismo, rendendo solidali verso l’altro come si è solidali verso se stessi, assimilando la classe più debole alla propria. Questa la dottrina sociale della Chiesa per un nuovo e universale umanesimo.

La dottrina sociale marxista presentava una soluzione positiva della lotta di classe quando progettava l’edificazione di una società senza classi, per realizzare la quale bisognava eliminare la causa della distinzione fra le classi, come la proprietà privata dei mezzi di produzione e introdurre la proprietà collettiva. Il marxismo chiamava scientifica questa visione della società e dei metodi di azione sociale, sostenendo che mai potrà capire qualche cosa della vita sociale chi non si metterà in questo ordine di idee e mai saprà spiegare i mali che attanagliano la società borghese (sta in K. Marx e F. Engel, Socinenija (Opere), vol. II, 1955, pag. 145).

Secondo il marxismo, soltanto la proprietà collettiva dei mezzi di produzione avrebbe reso impossibile lo sfruttamento dell’uomo, assicurando una distribuzione uguale delle risorse economiche a tutti gli uomini; si tratta di una stratificazione verso il basso, una pretesa uguaglianza di tutti gli uomini ai livelli bassi della qualità della vita. Questa concezione provocò il fallimento del sistema economico socialista sconfitto dal sistema capitalista e questo solo perché non riuscì ad emergere nessuna alternativa ai due sistemi opposti ed entrambi sostenuti dai principi materialistici; il primo con il materialismo storico di estrazione marxista, il secondo, che prosegue e si afferma anche ai nostri giorni con l’edonismo materialista sostenuto dal neo liberismo pragmatico.
Nel primo periodo del comunismo, immediatamente dopo la rivoluzione di ottobre, l’uguaglianza non era ancora perfetta, perché le ricompense e la distribuzione delle risorse venivano attuate secondo il lavoro di ciascuno. Solo qualche decennio dopo, la distribuzione delle risorse sarà determinata secondo la massima:

’..da ciascuno secondo le capacità, a ciascuno secondo i bisogni.’
(Programma del PCUS, 1.c., 3 novembre 1961, pag. 1)

La soluzione marxista non rappresentò una proposta inerente il valore morale del collettivismo, così come era esposto dall’etica marxista. Si trattò semplicemente di valutarne la realizzazione socio-economica e la consistenza morale nella coscienza e nella condotta degli uomini.
Negli anni precedenti la debacle dell’impero sovietico e dei principi socio-politico-culturali che lo sostenevano, si potè valutare come l’economia socialista abbia tentato nuovi esperimenti, ben lontani dagli schemi classici dell’etica marxista. Nell’ambito della morale, infatti, si ritrovò a dover combattere contro l’egoismo e l’individualismo all’interno stesso del sistema che aveva generato; ciò sta a significare il fallimento di principio, perché non era riuscito ad educare in massa gli uomini-colletivistici, dei quali il sistema, ormai in aperta concorrenza economica con il capitalismo occidentale, aveva estremamente bisogno.

L’implosione del sistema socialista
Il sistema socialista-marxista ha avuto un termine imposto dalla storia; il sistema marxista implose dal suo interno, senza alcun clamore; finì perché aveva fallito nelle premesse, nelle prospettive e nella pratica. Oggi sarebbe improponibile pensare ad una rinascita del programma marxista: la rivoluzione si è compiuta e in astronomia, quando una rivoluzione compie il suo ciclo a 360° significa che tutto è tornato come prima. Le repubbliche assorbite con la forza chiesero e ottennero di tornare nella loro identità nazionale e molte di esse sono entrate o entreranno presto nella Comunità europea.
Richiamare i temi e le ideologie di un tale storico fallimento, come un pericolo imminente di un improbabile ritorno e farne un’ipotesi di programma politico di difesa, è quanto di più antistorico si possa immaginare. Può essere comprensibile che si sventoli il riaffacciarsi del pericolo comunista, suffragato dal fatto che in partiti dello schieramento alternativo militino uomini che comunisti sono stati, solo se chi lo fa non dispone di altro da proporre per promuovere uno sviluppo che tarda ad avviarsi; sarebbe come se la Sicilia del 2005 tornasse a paventare il pericolo di una nuova invasione da parte dei cartaginesi, accreditando tale possibilità con il fatto che uno dei gruppi familiari più in vista e più autorevoli in Tunisia è quello dei Ben Barka, che vantano la discendenza da Annibale e Amilcare Barka
La Chiesa, con l’evoluzione dei suo pensiero sociale, che va da Leone XIII a Pio XI e Pio XII, da Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II a Paolo VI con la PP, ha proposto una ’terza via’ e presentò un’esposizione positiva, cristiana, evangelica e universale, con una soluzione nella solidarietà internazionale. La dottrina, nella sua esposizione, fu chiara e coraggiosa e non lasciò spazio ad alternative, ed è oggi la mancanza di tali alternative che ha trasformato il mondo intero in una serie di popoli divisi e contrastanti o succubi e fedeli servitori della nazione economicamente e militarmente più forte.
I paesi economicamente forti avrebbero dovuto condividere il proprio benessere con gli altri meno provvisti e non attraverso aiuti empirici o assistenziali, ma con interventi organizzati in maniera scientifica e concordati con gli stessi paesi fruitori di tali aiuti, nello spirito del dialogo e della integrazione dei popoli. Quanto al problema della proprietà privata, Paolo VI sottolineò il principio che la terra e i suoi bene devono essere destinati a tutti gli uomini, specificando espressamente il significato della ’funzione sociale’ della proprietà privata, che non deve rappresentare un diritto assoluto e incondizionato ma andrebbe subordinata alla legge delle giustizia e della solidarietà sociale.
Le conseguenze concrete della mancanza della solidarietà sociale sono, dopo oltre un secolo di insegnamenti inascoltati, sotto gli occhi di tutti e sono la fame che è diventata dinamica e coinvolge sempre più numerose persone; dal problema della fame scaturisce il pericolo per la pace nel mondo, perché le ineguaglianze provocano tensioni che scaturiscono in reazioni violente, che si vorrebbero annientare con una violenza ancora più forte; si instaura così una spirale perversa di scontro fra violenze dell’una e dell’altra parte di un mondo già così diviso, ma unificato da uno stesso destino perché l’escalation della violenza genera morte, distruzione e produce vittime dall’una e dall’altra parte, il termine ultimo di questa escalation non potrebbe che essere l’olocausto universale.
Una tematica molto importante, diversamente trattata dal pensiero sociale marxista e dal pensiero sociale della Chiesa è quella del lavoro: il progresso, il lavoro, il miglioramento della qualità della vita sono valori positivi, perché umani, universali e, quindi, cattolici e cristiani. Nella visione materialistica della storia e della società il lavoro è il solo strumento promotore del progresso e creatore dei valori, l’uomo, quindi, si limita ad essere l’esecutore del lavoro.
Il lavoro, ancora, nell’etica marxista è il solo viatico per la felicità; il marxismo confessa l’amore, la stima e la fede nell’uomo; sostiene l’uguaglianza che vuole realizzare tra gli uomini, tra l’uomo e la donna, tra città e villaggio, tra lavoro fisico e lavoro mentale; difende la libertà che concepisce come liberazione dello sfruttamento, dall’oppressione di ogni genere, economica, politica, spirituale, dai pregiudizi nazionalistici, di razza, religione.
In questi termini l’umanesimo marxista vede la realizzazione della meta umana della felicità nello spirito di Prometeo, che si ribellò agli antichi dei pagani per amore dell’uomo.

L’uomo sarà felice se potrà far valere la sua creatività, se potrà sviluppare tutte le forze del suo essere per realizzare se stesso e per costruire la società nuova che assicuri la felicità di tutti. L’uomo deve creare da sé la propria felicità. Dare un senso alla propria esistenza e realizzare l’ideale per sé e per tuti gli uomini
(sta in Landesman e Ju. V. Sogomonov, Marksistskaja atika o scate, in Voprosy filosofii, 1963, n. 2, pag. 154).

L’umanesimo marxista è materialistico, chiude l’uomo nei limiti della realtà soltanto terrena, temporale, storica, nonostante che ne esalti l’atteggiamento titanico.
A questo riguardo, però, si può bene ripetere il detto di Aristotele, che proporre all’uomo il solo terreno-umano significa tradirlo e volere la sua infelicità. Ogni uomo e tutto l’uomo si deve sviluppare perché si possa parlare di uno sviluppo umano, è un dovere di ogni uomo e una vocazione. Lo sviluppo economico e della tecnica rappresentano una parte necessaria dell’espansione e della crescita umana, però, tale crescita non deve trasformarsi in tecnocrazia, ma deve restare al servizio della persona, per aiutarla nel suo sviluppo integrale.
Non bastano l’economia e la tecnica, l’umanità ha bisogno anche delle menti, del pensiero, ha bisogno di scoprire i valori morali, l’amicizia, la solidarietà, l’amore; non può esserci sviluppo se non vengono eliminate le disuguaglianze tra gli uomini, tra le classi, tra i popoli, tra le culture, tra le razze, se non viene risanato l’urto tra le civiltà e le generazioni, se non vengono salvati i valori di tutte le culture e tradizioni, se non viene trovata la via del nuovo e del progresso legittimo. Sono, quindi, da eliminare le condizioni meno umane, le privazioni materiali, la miseria, l’analfabetismo, lo sfruttamento, l’oppressione, gli abusi, le malattie anche gravissime che in certe parti del mondo sono diventate endemiche.
Il progresso materiale, avverte il documento di Paolo VI, costituisce una tentazione forte e continua di materialismo, di cupidigia e di egoismo, perché per natura sua è ambivalente; da una parte esso è legittimo e necessario, ma dall’altra rischia di diventare una prigione, la causa dell’indurimento dei cuori e della disunità fra gli uomini e i popoli. Il documento non è ipotetico, ma profetico, perché oggi vediamo bene che l’affermarsi del neo-liberalismo pragmatico promuove il materialismo edonista, il desiderio di sopraffare altri uomini o popoli, la volontà dell’autoaffermazione; è ritorno allo stesso materialismo che ha inizialmente combattuto; il materialismo marxista, negando se stesso, vince così la sua battaglia storica con l’affermazione del primato del materiale sull’umanesimo plenario e integrale.



Mercoledì, 21 novembre 2007