La dottrina sociale della chiesa cattolica
L’organizzazione sindacale

di Rosario Amico Roxas

" L’organizzazione capillare del sindacalismo, chiaramente e dichiaratamente sorto su basi politiche, sconvolse la progettualità ecclesiastica, basata sulla reciprocità degli interessi".

I sindacati svolsero un ruolo di contrapposizione ai poteri dello Stato e ai poteri degli imprenditori, acuendo la lotta di classe.
Di fronte alle resistenza degli imprenditori e di larga parte dei poteri dello Stato, la strada seguita dai sindacati portò a taluni risultati a favore delle classi più deboli, con la conseguenza però di interrompere le concertazioni tra le parti, sostituite dalle trattative contrapposte che sempre più spesso si concludevano con scioperi: era rimasto l’unico mezzo per ottenere il riconoscimento dei diritti spettanti alla classe dei lavoratori. Anche la Chiesa cominciò a prendere le distanze da questo tipo di associazionismo, che non era più corporativo-cristiano e nemmeno cooperativistico; al contrario si riproponeva lo scontro del capitale con il lavoro, senza cercare di realizzare la sinergia operativa che aveva ispirato lo sviluppo del pensiero sociale della Chiesa.
Lo scontro tra capitale e lavoro oltre ad essere uno scontro sociale doveva diventare anche uno scontro politico; fu il fallimento della dottrina marxista, perché lo scontro sociale non riuscì a trasformarsi in scontro politico, al contrario diventò scontro economico, un terreno nel quale la dottrina socialista era destinata a non sopravvivere.
Gli anni della guerra fredda furono soltanto un periodo preparatorio allo scontro finale e definitivo; la crisi delle ideologie spostò l’attenzione sulle culture, il mancato scontro politico si concretizzò nello scontro economico.
Il crollo del comunismo in Russia, identificato con l’abbattimento del muro di Berlino, non fu una vittoria della democrazia sul comunismo come ideologia, fu la vittoria del capitalismo sul socialismo come sistema economico. Prevalse l’economia capitalistica, non perché migliore di quella statalistica, ma perché prometteva una maggiore libertà, a cominciare dall’economia di mercato. Ci si renderà conto successivamente che il capitalismo, crescendo su se stesso, avrebbe finito con il creare tutta una serie di forti monopoli, che avrebbero preso in mano l’economia nazionale prima e internazionale dopo.
La fine del comunismo collettivista, con tutti i suoi torti, promosse il capitalismo individualista, con torti ancora maggiori, perché capace di infiltrarsi nei gangli del tessuto sociale planetario e corroderne i principi di solidarietà, sostituendo la ’forza della ragione’ con ’la ragione della forza’ a favore di una sparuta, ma forte, minoranza contro una debole e fragile maggioranza.
Con l’affermarsi del capitalismo si affermava, parallelamente, la legge del più forte, prima all’interno di una nazione, quindi all’esterno verso le nazioni in via di sviluppo o sottosviluppate. Con il capitalismo le fasce più deboli della popolazione mondiale saranno condannate a dilatare la propria povertà, mentre la ricchezza, in mano a pochi oligarchi, si impadronirà dei beni dei popoli più deboli e accrescerà a dismisura l’ordine di grandezza. L’Occidente ha svolto questo ruolo selettivo tra nazioni ricche e nazioni povere.
Per primeggiare nel palcoscenico del pianeta, occorreva, però, un antagonista da sottomettere, così l’asse di spostò da Est e Ovest del mondo a Nord e Sud del mondo; il Nord opulento, tecnologicamente avanzatissimo, che manteneva un tenore di vita di gran lunga al di sopra delle proprie possibilità, ma che costituiva appena il 20% della popolazione mondiale, e il Sud costituito dai popoli emergenti, dalle nazioni in via di sviluppo e dalle nazioni sottosviluppate, che costituivano il restante 80% della popolazione mondiale. Il Nord del mondo, per mantenere il proprio tenore di vita, necessitava delle materie prime che non aveva, ma che possedevano le nazioni del Sud del mondo pur non possedendo le tecnologie per il loro sfruttamento, così, con la forza sterminata che possedeva, l’Occidente si appropriava di quelle materie prime lasciando che le popolazioni vivessero al di sotto della soglia della povertà, mancando anche dell’indispensabile per sopravvivere.
Ancora oggi oltre 3 milioni di bambini muoiono di fame ogni anno, oltre il 50% della popolazione infantile di quell’80% dei popoli del Sud del mondo.
Ma anche all’interno delle società capitalistiche è fortemente presente il divario tra popolazione ricca (sempre percentualmente molto modesta) o comunque che riesce a vivere con il proprio lavoro, e popolazione alla soglia della povertà, fino ad arrivare ad una larga fetta della popolazione che vive al di sotto della soglia della povertà, e questo accade anche nella mitica America, dove le grandi ricchezze sono concentrate nelle mani di gruppi multinazionali, che godono dell’appoggio della politica e delle strutture dello Stato, che, peraltro, contribuiscono a manipolare.



Giovedì, 25 ottobre 2007