La dottrina sociale della chiesa cattolica
La sociologia del Nuovo Umanesimo

di Rosario Amico Roxas

Lo sviluppo della dottrina del Magistero sociale della Chiesa può e dovrebbe essere identificato come "La sociologia del Nuovo Umanesimo". Modificare e alterare i punti fermi che sono stati enunciati, dopo lunghe riflessioni, offre la formulazione di ipotesi che non collimano con il mandato confessionale.
Le note che ho qui pubblicate sono solo una sintesi delle pietre miliari del Magistero della Chiesa, che ha tracciato una via che non prevede alternative o scelte di temporanea esigenza.
Ho concluso il mio lavoro di modestissima analisi e proprio per la limitatezza culturale, ritengo di avere reso un servizio ai tantissimi "signor Nessuno" che non hanno e non abbiamo nessuna pretesa di insegnare qualcosa a qualcuno ma solamente di poter essere utili a qualcuno senza nuocere a nessuno.





La storia dell’Europa è la storia degli uomini dell’Europa, lo sviluppo culturale è stato sempre privilegiato rispetto allo sviluppo della tecnica. Anche quando il liberalismo produsse il capitalismo, era l’uomo che dominava la scena del farsi della Storia e dello sviluppo del pensiero e della tecnica; proprio questa caratteristica umanizzante promosse le antitesi e le divergenze; al capitalismo liberista si oppose il materialismo marxista, nel quale era sempre l’uomo l’attore principale, anche se attratto più dal fascino dei beni materiali che non dall’elevazione dello spirito.
Le prime Encicliche sociali della Chiesa non furono scritte ed emanate in contrapposizione al materialismo marxista, bensì furono una rilettura in chiave spirituale delle pur legittime aspirazioni delle classi meno abbienti, desiderose di elevarsi verso condizioni di migliore qualità della vita; rappresentarono “la terza via” in alternativa sia al capitalismo liberista che al materialismo storico. Il comune denominatore restava sempre l’uomo e la sua aspirazione a essere testimone e fautore della sua Storia.
La centralità dell’uomo porta con sé l’esigenza di considerare nello stesso modo tutti gli uomini, a prescindere dal continente, dalla razza, dalla religione o dalla cultura. Oggi si parla troppo delle differenze culturali, che vengono assunte come motivazioni valide per giustificare la volontà di sopraffare i più deboli da parte del più forte; si parla di differenze culturali, quando si vuole intendere esclusivamente differenze razziali.
Ogni secolo sembra che abbia il suo satrapo, che vuole imporsi sugli altri. Nel secolo scorso un pazzo a livello patologico voleva occupare e dominare tutta l’Europa; scatenò la più tragica delle guerre mai combattute, sterminò parecchi milioni di ebrei in nome della purezza della razza ariana con quell’olocausto che resterà per sempre come una orrenda macchia sulla storia di tutto l’Occidente, olocausto paragonabile, per entità di morti, solo al precedente altro olocausto messo in atto dall’America con lo sterminio totale della popolazione indigena, sterminio compiuto in oltre 100 anni di persecuzioni. Destino volle che l’Italia si ritrovasse alleata di quel pazzo, con tutte le conseguenze che ne seguirono.
La follia stragista contrasta con la costante evoluzione degli insegnamenti sociali della Chiesa Cattolica, il cui nome racchiude in sé il suo stesso programma; il termine “cattolico”, infatti, deriva dal greco “katholikòs”, che significa “universale” ed è verso la universalità che la Chiesa prosegue il suo itinerario, per la edificazione di un mondo nel quale non ci siano più barriere tra uno Stato e l’altro, dove non emerga spazio per le ostilità e le incomprensioni a causa di diversità di razza, di religione, di cultura o, molto più concretamente, di forza bruta che consenta di imporsi sugli altri per il proprio tornaconto immediato.
Chi ritiene di potersi affermare con l’uso della forza dà l’impressione di rappresentare l’idea stessa del vincente, in realtà dimostra solo di non essere in grado di pensare “in grande” e di limitarsi al proprio pensiero, che vuole peraltro imporre, con una visione ristretta, limitata, pragmatica e condizionata dal presente, incapace di programmare un futuro di lungo respiro, perché incapace di comprendere la Storia; quando non si ha una Storia propria risulta molto difficile apprezzare, comprendere e analizzare la Storia altrui, per ottenere quegli insegnamenti indispensabili per non cadere nel nihilismo e nell’assurda pretesa dell’eternità del presente in questo teatro nel quale viviamo.
Nei secoli XIX e XX fu molto pressante l’influenza dei partiti e dei movimenti che si ispirarono, ideologicamente, all’etica del cattolicesimo e al richiamo della Chiesa romana, unico punto di riferimento ispiratore di una politica universale. La grande rivoluzione di Cristo consistette nello stabilire la distinzione dei poteri in rapporto alla materia a cui si riferiscono: la spirituale e la temporale; ai diritti di Cesare vennero contrapposti i diritti di Dio, ma non in competizione fra di loro, ma ognuna egemone nel proprio campo di interesse (Mt., 22, 17; Mr., 12, 17; Lc., 20, 25), anche se molti secoli sono stati necessari per vedere applicata tale distinzione nello spirito e nella lettera.
In Italia l’autonoma organizzazione politica dei cattolici iniziò nel periodo risorgimentale, ad essa contribuirono laici ed ecclesiastici, tra i quali emersero le figure di Vincenzo Gioberti, Cesare Balbo, Niccolò Tommaseo, Antonio Rosmini; ma l’egemonia liberale, l’estensione delle leggi antiecclesiastiche piemontesi, l’indirizzo laicista assunto dal processo unificatore si scontrarono con le esigenze temporali della Chiesa, per cui a lungo fu interdetta ai cattolici la diretta partecipazione alla vita politica del nuovo regno. Il Sillabo e il Non Expedit furono i documenti basilari dello stato di tensione, che si andò attenuando solo con la pubblicazione nel 1891 dell’Enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII.
A questa Enciclica, rivoluzionaria per i tempi in quanto chiudeva il capitolo del paternalismo medioevale per trasferire le esigenze delle classi più deboli nella categoria dei diritti inalienabili, seguirono gli studi sociali a sfondo economico con Giuseppe Toniolo, la “Rivista internazionale di Studi Sociali”, nonché la fioritura di numerose iniziative inserite nella vita pubblica, come l’Opera del Congressi, l’Unione Elettorale dei Cattolici Italiani.
La via che doveva condurre il concetto di Cattolicesimo ad espandersi nella vita pubblica era iniziata, sorgerà il PPI per iniziativa di Don Luigi Sturzo, che riuscirà ad affermarsi, nel tempo, reclutando le forze della piccola e media borghesia e del proletariato non inglobato dal socialismo rivoluzionario.
L’aspirazione del Cattolicesimo è quello della “Universalità”, perché universale vuole essere l’insegnamento della Chiesa, che non può accettare che esistano barriere tra popoli e nazioni, tra paesi ricchi e paesi poveri, tra paesi produttori e paesi che devono essere consumatori, tra razze, religioni e culture.
Per questa ragione l’attenzione che dedichiamo all’analisi di questi momenti storici fa riferimento ai dettami della Chiesa cristiana, in quanto unico punto di riferimento della universalità dei diritti e dei doveri di tutti i popoli della terra.
L’accelerazione della storia ha ristretto i confini del mondo, modificando i tempi di azione e reazione ad ogni tipo di evento. Non poteva sottrarsi a questa evidenza il Magistero Sociale della Chiesa, pur nelle riflessioni attente che la caratterizzano. Se l’Enciclica “RN” iniziò il moderno discorso sociale della Chiesa, trasferendo i rapporti tra gli uomini dalla sfera paternalistica medioevale alla sfera dei diritti inalienabili e, quindi, della giustizia sociale, la “Populorum Progressio” segnò il momento alto della evoluzione del pensiero sociale della Chiesa, contrapponendo alle disparità di fatto tra gli uomini e le nazioni, una fondamentale eguaglianza di diritto, dando inizio ad una più moderna sociologia.

Leone XIII iniziò l’itinerario sociale rivolgendosi ad una società statica, individualista e ostile al diritto di libera associazione, rivendicò il diritto dei corpi intermedi alla propria esistenza.

Pio XI e PIO XII si ritrovarono in una società in movimento, minata dalla contrapposizione di gruppi già riconosciuti legalmente, ma ostili fra di loro.
Insistettero sull’ordine corporativo perché rappresentava la sola possibilità di unire armonicamente in un solo corpo sociale gli interessi più diversi.

Giovanni XXIII e il Concilio vissero in un mondo in pieno processo di socializzazione, per questo il corporativismo fu sostituito con il cooperativismo, in grado di comprendere nel suo interno tutte le classi sociali e tutti i paesi del mondo. Immutato rimane nei principi il suo invito alla partecipazione di tutti nell’edificazione della società. Sostanzialmente identico è il modello teorico a cui si ispira: quello di un insieme pluralistico di istituzioni a natura privatistica, tra loro in posizione di parità giuridica, ma regolate dal diritto pubblico in quegli aspetti che toccano direttamente il bene comune.

Paolo VI, con la PP, ha fatto sentire a tutti gli uomini, ma principalmente ai credenti, tutto il peso della loro responsabilità verso Dio e verso gli uomini.
I principi di solidarietà e di socialità, specialmente nella Chiesa, non agiscono sulla realtà per forza propria, ma debbono essere mediati e applicati alle situazioni diverse della realtà del mondo che, in una sintesi mirabile, il documento pontificio rivela e chiarisce:

“…. Fondata per porre fin da quaggiù le basi del regno dei Cieli e non per conquistare un potere terreno. La Chiesa afferma chiaramente che i due domini sono distinti, così come sono sovrani, ciascuno nel proprio ordine.” (PP n. 13)

La Chiesa, però, opera e vive nella Storia e deve, quindi, partecipare, aiutare e soddisfare le aspirazioni umane dell’uomo; si tratta dello sviluppo integrale dell’uomo, nelle sue esigenze terrene e nelle sue esigenze spirituali; il suo sviluppo non può essere più un fatto individuale, ma sociale, globale; per usare un termine oggi attuale, si tratta di realizzare la globalizzazione dell’umanesimo, moderna traduzione di quell’Umanesimo Integrale che svuiluppò le coscienze negli anni ’60.
Purtroppo oggi si parla solamente della globalizzazione dei mercati, perché le nazioni più avanzate tecnologicamente si ritrovano a produrre più di quello che possono consumare, per cui è diventato urgente penetrare nei mercati dei popoli sottosviluppati o in via di sviluppo per stimolare nuovi bisogni in linea con la produzione eccedente, senza analizzare i loro reali bisogni. Si viene a creare una spirale perversa di fornitura di beni non necessari a fronte di indebitamenti che creano voragini economiche, promuovendo sempre nuove dipendenze, dalle quali è sempre più difficile affrancarsi.
Il mondo, già diviso in Nord, opulento, produttore e creditore, e Sud, povero, arretrato e indebitato, ma consumatore, vede aumentare le divisioni, per pagare il suo debito si impoverisce ulteriormente, privandosi delle materie prime di cui dispone e delle quali il mondo del Nord è carente. L’Indonesia, così gravemente colpita dal maremoto del 26 dicembre del 2004, per pagare una parte dei debiti ha dovuto procedere alla deforestazione delle coste con milioni di metri cubi di legname pregiato; questa deforestazione ha moltiplicato in maniera esponenziale i danni che lo tsunami avrebbe in ogni caso prodotto, ma in maniera meno drammatica; la stessa deforestazione è avvenuta in Brasile e Argentina.
I problemi sociali che provoca l’accaparramento del petrolio da parte dell’Occidente a danno dei paesi produttori, che appartengono alla parte Sud del pianeta, sono sotto gli occhi di tutti.
In questa dinamica di produzione e vendita si inserisce l’enorme produzione di armi e l’esigenza di venderle, per cui diventa una scelta obbligata quella di promuovere e stimolare guerre in tutto il mondo, perché possa accelerarsi la domanda di armi sempre più potenti e sempre più distruttrici.
L’inserimento della Chiesa in questo itinerario risulta indispensabile per tornare a proporre alternative umane contro la disumanizzante logica del possesso. Anche se lo scopo della Chiesa non è di natura terrena, ha ben il diritto di dire la sua parola quando si tratta di indirizzare l’evoluzione sociale verso il bene dell’uomo e di tutti gli uomini. Non c’è aspirazione a dettare un ordine nuovo o un certo e ben identificato tipo di organizzazione, ma il rispetto del mandato spirituale che, vivendo in questa terra, troppo spesso si mescola con le esigenze terrene. Questo concetto fu espresso con molta chiarezza da Paolo VI il 4 ottobre del 1965 davanti alla XX Assemblea delle Nazioni Unite:

“Colui che vi parla è un uomo come voi, anzi, tra di voi uno dei più piccoli, egli non ha ambizioni di entrare in competizione con voi. Non abbiamo nulla da chiedere, nessuna questione da sollevare, al più un desiderio da formulare e un permesso da sollecitare: quello di potervi servire in ciò che vi compete, con disinteresse, umiltà, amore….”

E’ il progetto di sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini; un umanesimo chiuso e insensibile, che si trasforma in pragmatismo interessato, avrebbe, apparentemente, maggiori possibilità di trionfare.
Senza dubbio l’uomo può organizzare la terra senza Dio, può disconoscere la trascendenza del pensiero umano, ma senza quella meta che non compare, ma vive dentro ogni uomo, la vita stessa non potrà che essere programmata contro l’uomo, o composta di uomini contro altri uomini, ben lontani da quella complementarità che rappresenta la vera ricchezza del genere umano.
Non basta invocare l’aiuto di Dio per rispondere a queste esigenze, non basta e, spesso, diventa addirittura blasfemo, se quell’aiuto divino viene richiesto in occasione di guerre contro altri uomini, per far valere l’uso della forza in alternativa all’uso della ragione. L’umanesimo esclusivo ed egoista diventa un umanesimo inumano; la stessa creatura umana ascende e si perfeziona solo se lo spirito prevale sui richiami del materiale e dell’ immediatamente utile.
La realtà è questa, che la natura umana rimane sempre fondamentalmente identica e permanente, ma implica nello stesso momento anche un aspetto sociale: comporta una finalità personale, cioè la libera autonomia di ogni soggetto e il rispetto delle libere autonomie degli altri soggetti, solo così si potrà promuovere il bene comune.
E’ il nuovo umanesimo che, nell’Occidente-Europa, avanza e si impone alle coscienze; l’umanesimo storico, infatti, era unilaterale, affermava il significato umano sotto l’aspetto letterario, senza esitare a negare il principio di autorità, specie se dettato dalla Fede. Non si tratta qui di evidenziare le differenze dell’umanesimo plenario con l’umanesimo storico; si tratta di prendere atto dell’esigenza tutta nuova di promozione dell’interezza dell’uomo singolarmente identificato, calato nella realtà di tutti gli uomini:
“d’ogni uomo, d’ogni gruppo di uomini, senza distinzione di razza, di continente, di cultura o di religione (Gaudium et Spes) Già fin dalle prime settimane del suo pontificato S.S. Paolo VI elaborò un dossier personale, diventato successivamente pubblico, intitolato “Materiale di studio per una Enciclica sui principi morali dello spirito umano”.
Diventato documento pubblico, ha ottenuto una risonanza unanime e piena, trattando argomenti universali. L’appello di Papa Paolo VI non era rivolto soltanto alla grande famiglia della cristianità, ma a tutto il mondo dotato di buona volontà, con la segreta speranza di toccare i cuori anche degli uomini di non buona volontà. Quando un Pontefice levava la sua voce su ben precisi argomenti, anche di natura sociale, lasciava intendere che attendeva una risposta da parte della Sua famiglia; il resto del mondo poteva associarsi alle Sue parole o restarne estraneo; con Giovanni XXIII l’indirizzo delle parole del Pontefice è più ampio, universale, in quanto chiama intorno a sé tutti gli uomini della terra (Mater et Magistra n. 56). Con Paolo VI si è andati anche oltre: il Suo monito venne rivolto a tutti indistintamente, dando un seguito concreto a uno dei principi fondamentali del Concilio Vaticano II onorandone lo spirito ecumenico. Una tale collaborazione internazionale a vocazione mondiale postulava una autorità universalmente riconosciuta, ragione per la quale nel già citato discorso alle Nazioni Unite del 4 ottobre del 1965 ebbe ad aggiungere:

“Chi non vede la necessità di arrivare in tal modo progressivamente a instaurare una autorità mondiale in grado di agire efficacemente sul piano giuridico e politico ?”

Questa affannosa ricerca e chiamata a raccolta di tutti i popoli è la costante dell’intera Enciclica, in quanto si mette in discussione l’avvenire stesso dell’umanità, troppo divisa e con troppi contrasti interni per poter pensare a rimedi limitati.
Una società così complessa e paurosamente fluida esige dei punti dottrinali saldissimi e reclama l’intervento di tutti; l’universalità della “PP” si esplica, così, nell’Ecumenismo post-conciliare, trovando la sua applicazione pratica in un grande dialogo che tutto il mondo deve portare avanti. Anche le religioni non cristiane hanno il loro riconoscimento, in quanto in esse c’è sempre qualcosa di vero e di giusto; Paolo VI diventa, infatti, il difensore dei valori nazionali e religiosi dell’islamismo, del buddismo e di qualsiasi forma di religiosità che i gruppi etnici si sono tramandati fino ad oggi. Così il dialogo intrareligioso si dilata su dimensioni totali, affermando che il messaggio evangelico non intende occidentalizzare nessuno. E’ questo il punto essenziale che pervade tutta l’Enciclica e che porta a delle considerazioni nuove: l’esigenza che l’umanità nel suo insieme è chiamata a vivere un’etica cattolica, intesa come “universale” e valida per tutti.
Sono trascorsi 40 anni dalla pubblicazione della “PP” ed è calato un silenzio fatto di indifferenza; l’attualità di quella Enciclica merita, oggi più di ieri, certamente una maggiore attenzione e un più attento richiamo al suo spirito e alla sua lettera.
La realtà che ci sovrasta è ben diversa, all’invito al dialogo permanente si oppone il monologo imperiale che impone la propria legge della forza.
Da questa considerazione nasce la concreta realtà di un altro Occidente; gli USA non rappresentano più la sola superpotenza dell’Occidente, ma un altro e diverso Occidente che non si pone più da una parte contro un’altra, ma sopra tutte le parti, ivi compresa l’Europa, perché sostenuto dal progetto di conquista economica e militare del mondo e non di ricerca di una pace mondiale, necessaria per realizzare un compiuto processo di globalizzazione dell’economia, di globalizzazione della qualità della vita, di globalizzazione dei bisogni; esiste solamente la globalizzazione dei mercati, che si trasforma in un saccheggio da parte delle banche e delle multinazionali americane del petrolio e delle armi. La politica del riarmo senza soluzioni di continuità rappresenta, per gli USA, la struttura portante dello stretto legame tra industria e forze armate, per portare avanti la politica della democrazia autoritaria, ben distante da ogni forma di politica del dialogo.
Gli appelli di Paolo VI, pur destando grandissimo interesse in tutto il mondo, sono rimasti inascoltati, prevaricati dalle logiche egoistiche di una parte del mondo, che ha annientato la supplica pontificia di orientare l’itinerario umano verso la “carità universale” (PP n.62-66) e il suggerimento che venne offerto promana proprio da questa dottrina dell’umanità, che deve trovare la sua unità sul piano civile al di fuori di ogni distinzione di credo e di civiltà. Lo stesso Pontefice confessa che qualcuno potrebbe giudicare utopistiche le Sue affermazioni, ma ribadisce che coloro che affermano questo non hanno sentito e

“percepito il dinamismo di un mondo che vuol vivere fraternamente” (PP. 79)

Insiste nel proclamare di parlare a tutto il mondo, perché la Chiesa è “esperta in umanità”, proprio perché è nell’umanità e per l’umanità e, trascendendo il tempo, raccoglie e convoglia in sé tutto il bene ideale e morale che le sofferenze degli uomini vanno scoprendo

L’umanesimo additato è l’umanesimo plenario, in grado di superare se stesso e trascendere se stesso (PP n. 42).

E’ l’aspetto nuovo dell’Enciclica sociale, che diventa la nuova sociologia cattolica, in quanto diretta a tutto il mondo, parlando di problemi universali e, ancor oggi, di estrema attualità. Venivano suggeriti soluzioni di etica politica permeata da uno spirito di profonda religiosità, imponendo l’Enciclica come un documento sociale e spirituale insieme.
Venendo meno quei principi, rimasti inascoltati, si perviene alla deriva delle coscienze, le quali vengono sopraffatte dall’individualismo egoistico.
Così il Pontefice cercò di promuovere l’umano, tutto l’umano che giace in tutte le sue manifestazioni e si introduce nel cuore dell’assillo dell’umanità contemporanea, tutta protesa a perfezionare un pragmatismo nei suoi riflessi tecnologici, biologici, psichici, sociali, economici e politici, ma non religiosi e culturali; l’attualità, dopo quaranta anni dalla emanazione della PP, degli argomenti trattati, documenta la lungimiranza del Pontefice, il cui sguardo era riuscito ad andare ben oltre l’effimero presente, per proiettarsi verso un futuro malauguratamente intuibile.
Il singolo individuo, o la singola nazione, non può raggiungere il personale sviluppo, se non attuando un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere; è falsa la preoccupazione che il progresso dei popoli del terzo mondo possa ostacolare lo sviluppo degli altri popoli già sviluppati.
Lo stesso bene nazionale non si può costruire in maniera autonoma, distinta dal bene delle altre nazioni, ma, per sua intima essenza, si completa nel promuovere il bene della comunità dei popoli.
Un esempio lo abbiamo avuto dopo la seconda guerra mondiale, quando l’Europa era ridotta ad un unico campo di battaglia; intervenne l’America con il Piano Marshall, che aiutò le nazioni europee a risollevarsi ed a riprendere il cammino dello sviluppo. Non fu un atto di gratuita generosità, ma un tornaconto imposto dalle regole e dalle leggi della macroeconomia; una nazione ricca in mezzo a tutte le altre nazioni povere non avrebbe trovato mercati, commerci, possibilità di ulteriore sviluppo, per questo quel Piano Marshall venne indirizzato solo ai Paesi che possedevano il potenziale per risollevarsi e diventare Paesi consumatori, oltre che produttori.
Il concetto di universalità deve riflettersi nel senso della solidarietà dilatata a tutto il mondo e non limitatamente a quella parte del mondo che può restituire con gli interessi gli aiuti ricevuti; la solidarietà, se non diventa sinonimo dello sviluppo integrale dell’umanità, resta, limitatamente, un calcolo ben studiato per fini assolutamente diversi da quelli che la sociologia cattolica propone.
La questione sociale, oggi più di quaranta anni addietro, quando venne emanata la PP, è diventata di dimensioni mondiali, mentre l’accelerazione dei tempi l’ha resa non più differibile, cosa peraltro intuita da Papa Montini, perché frutto di personali esperienze vissute già da Arcivescovo di Milano.
Tale indifferibilità è stata compresa dal successore Giovanni Paolo II, il Pontefice che ha portato in giro per il mondo, da missionario a tempo piano, la sociologia che la Chiesa aveva sviluppato in quasi un secolo di evoluzione.
Già il nome stesso che volle assumere Karol Wojtyla racchiude interamente il suo programma; sentì di dover essere il continuatore di Giovanni XXIII e di Paolo VI.
Adesso che Giovanni Paolo II ha concluso il suo pellegrinaggio terreno, si versano fiumi di inchiostro per descriverne l’operato, per esaltarne la missione e, da qualche parte, anche per criticare talune scelte intransigenti.
Sono fiumi d’inchiostro più per scrivere che per “dire”, perché Giovanni Paolo II ha solamente portato a compimento tutta la costruzione sociale della Chiesa, iniziata con la RN di Leone XIII, che si sviluppò dentro i limiti del riconoscimento del diritto di associazionismo da parte delle classi più deboli, per riuscire a contrastare l’avanzata del capitalismo.
Furono poi i pontefici Pio XI e Pio XII a proseguire l’evoluzione, anche se le guerre intermedie e l’espansionismo colonialista ne limitarono l’opera.
Successivamente Giovanni XXXIII, con l’intuizione del Concilio Ecumenico Vaticano II e con la Constitutio Conciliaris Gaudium et Spes, aprì le porte a tutti i popoli della terra; possiamo dire che fu il primo a parlare di globalizzazione, ma dell’umanesimo, non dei mercati.
Paolo VI estese a tutto il mondo i cardini della sociologia del Nuovo Umanesimo, indicando in tale sociologia il punto di partenza del “Progresso dei popoli”.
Giovanni Paolo II ha girato più volte il mondo intero per portare ai più deboli la parola della solidarietà, predicando la teologia della Croce, della sofferenza, perché in essa c’è la purificazione e la compassione, intesa nel senso letterale della parola cum passio, come atto di amore che porta a soffrire dei mali altrui come se fossero propri. Ormai vecchio, malato, ha proseguito la sua missione suscitando egli stesso compassione, in tutti quelli che lo ascoltavano, quella stessa compassione che lui stesso ha vissuto e che lo ha guidato verso il mondo dei derelitti, verso il popolo dei vinti. Malgrado sofferente, ha sempre offerto la sua sofferenza perché sia alleviata quella degli altri. Ha insegnato al mondo intero che non c’è nulla di più pesante della compassione, nemmeno il nostro dolore è così pesante come un dolore che si prova con un altro, verso un altro, al posto di un altro; è un dolore moltiplicato dalla partecipazione e dalla immaginazione, prolungato da una lunga teoria di echi che risuonano nell’intimo della coscienza.
Alla soluzione, o al tentativo di impostazione programmatica, della questione sociale si oppongono aspre tensioni e implicazioni non troppo oscure, provocate dall’egoismo impositivo di pochi contro l’esigenza di solidarietà di molti. Ai tempi della PP le piaghe dei popoli arretrati non erano così visibili come lo sono oggi; l’accelerazione della storia, della società, dei mezzi di comunicazione hanno ristretto il mondo.. Oggi le comunicazioni in tempo reale ci fanno partecipi della vita di ognuno e anche i popoli più remoti o arretrati sono sotto i nostri occhi, così come il livello di vita dei popoli occidentali è sotto gli occhi di quanti patiscono letteralmente la fame. Il divario economico e di qualità della vita è così grande da far sentire i popoli del terzo mondo esclusi anche dalla dignità di vivere; è l’umanesimo esclusivo, che Papa Montini chiamò “umanesimo inumano”, che si oppone ad uno dei cardini della nuova sociologia umana, che chiameremo, per usare un termine ormai alla moda, “globalizzazione della solidarietà”.
Sono questi i motivi che emergono e che propongono il cammino della tranquillità nell’ordine, spegnendo le tensioni e soffocando i conflitti, specialmente quando nascono per volontà di sopraffare solo per fini economici o di maggior ricchezza a discapito di quei deboli che non trovano difesa.
Nel discorso già citato all’Assemblea dell’ONU il Pontefice indicò in quell’organismo lo strumento di promozione e di equilibrio fra tutti i popoli della terra e incoraggiò l’ONU:

“a diffondere la cultura, a dare una moderna assistenza, a mettere a servizio di tutti le risorse della scienza e della tecnica ai fini di giustizia internazionale”

La realtà contemporanea ci mostra, in tutta la sua gravità, il fallimento dell’ONU, alla cui autorità si sottopongono tutte le nazioni della terra, tranne l’Occidente-America che decide per proprio conto, rifiutando anche l’autorità della Corte Penale Internazionale, diretta diramazione dell’ONU il cui regolamento viene sottoscritto dalle Nazioni contestualmente alla sottoscrizione dello Statuto stesso.
Che tutto ciò rappresenti la realtà nella sua tragica concretezza è stato lo stesso Bush a confermarlo, accentuarlo e imporlo al mondo intero: il 20 settembre 2002 sul “New York Times” fu pubblicato il documento redatto dall’amministrazione Bush noto come The National security strategy of the USA (La strategia della sicurezza nazionale degli USA). Il tono è da Manifesto dell’Occidente, del quale Bush ritiene di essere il vertice supremo e il solo portavoce, una sorta di Enciclica con il carisma della infallibilità. Mi astengo da ogni commento, perché le dichiarazioni contenute in questo manifesto si commentano da sole; mi interessa solamente trascrivere testualmente la parte finale, perché si tratta di un documento che ha tutte le prerogative di una arrogante confessione circa il diritto di esercitare un potere alienato da ogni controllo:

“….. svolgeremo tutte le azioni necessarie per garantire che i nostri sforzi per realizzare gli impegni di sicurezza globale e proteggere gli americani non siano ostacolati da potenziali investigazioni, inchieste o rinvii a giudizio da parte della Corte Penale Internazionale, la cui giurisdizione non può essere estesa agli americani e che noi non accettiamo”.

Quindi fra tutte le azioni necessarie sono previste anche azioni, come la tortura ai prigionieri, che potrebbero essere oggetto di inchiesta da parte della Corte Penale Internazionale, che viene, di fatto, ricusata perché la sua giurisdizione non può essere estesa agli americani. Con l’affermazione citata il presidente americano stimola qualunque azione repressiva, anche la più nefanda, garantendo l’impunità, perché non riconosce l’autorevolezza della Corte Penale Internazionale e, quindi, dell’ONU.
Si combinano, in questa circostanza, da una parte l’arroganza di una superpotenza che non sa ragionare al di fuori dell’uso della forza e l’impotenza del resto del mondo, che non è in grado di contrastare tale arroganza.
Risuonano ancora, nei cuori degli uomini di buona volontà, le parole di Papa Montini pronunciate a Bombay, quando propose la costituzione di un fondo mondiale di soccorso per i popoli più bisognosi, da ricavarsi con una drastica riduzione delle spese per gli armamenti.
Sono tre i doveri che emergono come fattori di giustizia globale ( v. PP. N. 11) dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai paesi in via di sviluppo, dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento delle relazioni commerciali tra popoli forti e popoli deboli, alla luce di reali bisogni e non di interessi di parte, dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti.

La costituzione di una Comunità Politica mondiale è la via maestra indicata dal Pontefice nella PP, sotto l’egida dell’ONU, senza prevaricazioni da parte di nessuna nazione, in quanto l’aspetto più profondo dell’umanesimo deve essere la constatazione della interdipendenza fra i popoli, tutti indistintamente legati ad una sorte comune.



Sabato, 27 ottobre 2007